mercoledì 18 maggio 2016

Vasana



“Ciascuno vede ciò che si porta nel cuore.”
(Johann Wolfgang Goethe)

Gli antichi indù erano grandi conoscitori dell’animo umano infatti avevano scoperto la complessa struttura psicologica dell’essere umano perciò conoscevano anche l’inconscio. I maestri dell'antica India usavano il termine “vasana” per indicare ciò che risiede a livello latente nel subconscio dell’uomo. Vasana è un termine molto usato nel Vedanta per indicare le impressioni mentali che nascono dal subcosciente essendo indotte dalle esperienze e dai pensieri che derivano dal karma accumulato in passato.

Le vasana sono dei “semi” che producono dei pensieri, delle pulsioni e delle espressioni che agiscono a livello latente, e che spingono l’individuo ad agire in un certo qual modo. Le vasana sono come dei solchi che si sono tracciati nella sostanza mentale, e che hanno creato delle “impronte” mentali. Le vasana sono i segni delle disposizioni che abbiamo acquisito, perciò sono dei tratti che ci caratterizzano ma sono anche delle caratteristiche che limitano la mente dell’individuo.

Per gli antichi indù, le vasana rappresentano tendenze che ci dominano, perché sono potenti tendenze interiori che ci spingono a fare ciò che abbiamo fatto in passato. Le vasana ci impongono una dimensione interiore che emerge prepotentemente dal subconscio, e questo è stato osservato anche dalla psicologia moderna che ha evidenziato una pulsione ossessiva a ripetere forzatamente le esperienze del passato.

I maestri del Vedanta dicono che le vasana fanno parte dell’insegnamento sulla paura, e affermano che nell'uomo esiste una tendenza innata a ritrovare le situazioni conosciute. Naturalmente questo atteggiamento non viene messo in pratica in modo consapevole, perché la parte subconscia è più forte di quella cosciente. In effetti vediamo che quello di cui abbiamo maggiore paura è la cosa che più ci attrae.

Il concetto delle vasana che emergono dal subconscio riveste un forte valore psicologico, e ci fa capire il meccanismo che agisce su chi sembra ricercare il fallimento. E questo ci fa comprendere meglio anche l'origine della tendenza distruttiva che predomina in molte persone. I maestri indù conoscevano bene queste cose, infatti avevano distinto 4 aspetti dell’essere umano: la Buddhi, la Chitta, il Manas e l’Ahamkar.

Essi dicono che l’Ahamkar è il senso dell’io, perché è il principio d’individualizzazione che crea il senso dell’ego e forma l’esperienza particolare dell’io. L’Ahamkar viene associato alla Chitta che è il deposito dei semi ossia “il serbatoio” delle tendenze che esistono nel subconscio, mentre il Manas è la mente analitica che ci consente di distinguere la prospettiva dell’individuo particolare.

L’Ahamkar è la coscienza individuale che produce l’io, perciò rappresenta tutto quello che agisce in funzione dell’io. La coscienza individuale ricava i frutti dalle esperienze dell’io, e produce azioni positive o negative che esprimono la natura dell’ego ossia il tratto caratteristico del jiva individualizzato.

Buddhi è l’intelligenza oggettiva che vede e percepisce la realtà così come è realmente, perciò Buddhi è la mente che vede la realtà in modo non limitato. Manas è il pensiero e lo psichismo, in quanto è quello che reagisce interiormente al mondo esterno producendo emozioni e pensieri soggettivi. Manas conserva i pensieri e le emozioni, ma sono emozioni e pensieri che vengono deformati dalla prospettiva personale del soggetto che esperisce.

Chitta è la memoria perciò è la parte dello psichismo che dipende dai condizionamenti del passato. Chitta indica la memoria che è sepolta nell’inconscio perciò rappresenta la memoria presente a livello latente. Chitta è il deposito della memoria di tutto quello che ci condiziona. Chitta è l’inconscio perciò è il deposito delle impressioni mentali che devono essere conservate. Chitta è il deposito delle vasana, perché è il luogo in cui conserviamo le tendenze a ripetere il passato.

La conoscenza psicologica del Vedanta è poco conosciuta perché, in genere, il Vedanta è più conosciuto per la metafisica dell’atman e del brahaman. Ma nessuno ha spiegato meglio la paura dei maestri del Vedanta, infatti essi la inquadrarono come una tendenza a mettersi sempre in situazioni del passato, a prescindere dal fatto che si desideri o meno ripetere l'esperienza. Nel Vedanta si mette in evidenza il concetto che non avremmo paura se non desiderassimo ciò che diciamo di temere e di non desiderare.

E questo punto è molto importante, perché ci spiega il meccanismo dei condizionamenti alcuni millenni prima degli psicologi occidentali. I maestri induisti e buddhisti studiarono la struttura psicologica umana per contribuire al sollievo e alla salute degli esseri umani. In queste tradizioni si insegnava che il cammino della conoscenza di sé include di essere consapevoli delle dimensioni interiori da cui è necessario trovare una via di uscita per ottenere la liberazione. Ma quali sono le grandi paure umane?

La paura più grande è quella che riguarda la propria vita perciò la prima forma di paura è connessa con l’istinto di conservazione. E poi c’è la paura legata a circostanze particolari, ed è il tipo di paura in cui tendiamo a negare che la situazione è quella che è. La paura mostra una forte attrazione verso qualcosa che si vuole, ma questo viene negato. Mentre invece si dovrebbe sapere che può venire attratti non positivamente, e che veniamo attratti soprattutto da quello che ci portiamo dentro.

I maestri indù e quelli buddhisti insegnano che tutto quello che diciamo di non volere, in realtà, è quello che maggiormente vogliamo. Questo fatto è scomodo da ammettere, ma è la pura e semplice verità. Ma questa è la verità che non sappiamo vedere in noi stessi, perché è una verità che non vogliamo capire perciò è una verità che rifiutiamo. Per questo motivo la vita è fatta di un miscuglio di reale e irreale, di vero e di falso: quindi anche la nostra coscienza è fatta con un simile miscuglio .

Shankara dice che l’uomo è un vaso di terracotta colmo di nettare che, una volta che viene infranto, continua comunque a esistere; ma non esiste più nella medesima forma che aveva quando era il vaso. In realtà, ciò che è scomparso con la morte è la limitazione di forma che subiva l’individualità. Il corpo fisico possiede la realtà solo quando la coscienza percepisce i momenti successivi che vengono sostenuti dalla sua consapevolezza. E la coscienza dell’essere è condizionata dalla forma che contiene l’essere individuale.

Buona erranza
Sharatan

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