domenica 27 novembre 2011

Un punto intermedio


“L’intima natura delle cose ama nascondersi”
(Eraclito di Efeso)

Quando vogliamo conoscere le massime estensioni è come se pensassimo di vedere tutto ciò che esiste camminando da paese a paese, attraversando boschi e prati, vedendo cieli, villaggi e strade diverse, senza pensare che così vedremmo solo delle porzioni limitate di territorio. Possiamo credere di poter salire sulla vetta del monte per abbracciare un orizzonte molto più vasto, ma così otteniamo una vista completa del panorama, ma è una panoramica troppo generale che difetta dell‘esame dei particolari. Questa è la metafora usata da Steiner per illustrare i limiti della conoscenza e per spiegare i difetti della scienza che studia l’uomo, cioè l’antropologia.

Nella conoscenza ci si può muovere dal particolare al generale, così come nel mondo si può scendere negli abissi ed elevarsi fino alle vette delle conoscenze più elevate, perché l'orizzonte mentale si può allargare a dismisura se usiamo i mezzi adatti per indagare. L’uomo ha la capacità di scendere nel particolare o di ascendere alle cose più eccelse, però c'è anche una posizione intermedia che corrisponde alla prospettiva che si gode guardando dalla metà della montagna. Se osserviamo dal basso non possiamo avere il punto di vista che considera il quadro generale, ma se guardiamo dall'alto della montagna si vede ciò che è in basso come qualcosa che è troppo distante, perciò si vede solo il cielo.

Restando a metà possiamo vedere bene sia ciò che è sotto, così come il "qualcosa" che è al di sopra, perciò possiamo avere i vantaggi di entrambi le prospettive. Il paragone forse non è molto calzante, dice Steiner, però è utile per capire che salire oltre la visione umana cioè ascendere oltre la vetta fa salire al Sé superiore, ma dobbiamo avere uno sguardo che sia adeguato alla visione. Salire sulla vetta che è oltre l’uomo diventa una meta molto ambiziosa, ma anche vedere solo quello che è al di sotto diventa una visuale troppo parziale, perciò entrambi le vie non indicano la giusta direzione.

La conoscenza ordinaria è situata nello spazio che è sotto all’uomo, mentre il vedere dal punto intermedio ci fa vedere l’uomo, perché l’uomo è situato tra la natura e lo spirito. L’uomo è alla metà, perché ciò che è al di sopra dell’uomo penetra in lui ed è lo Spirito, però l’uomo contempla anche il mondo sensibile e lo vede con occhi umani, perciò egli non può prendere come punto di partenza la vetta a cui deve tendere. L’uomo può vedere lo Spirito e deve vederlo come qualcosa che gli è superiore, perché lo percepisce come qualcosa che scende in lui, ma contemporaneamente l’uomo sente premere ciò che gli sta sotto, perciò sente quello che entra salendo e penetrandolo interiormente, infatti ai suoi piedi l'uomo vede la realtà materiale.

Nella ricerca della conoscenza vi è il pericolo che l’uomo possa sorvolare la sua struttura, perciò c'è il pericolo che l’uomo possa perdere l'opportunità di conoscere qualcosa di utile, infatti si corre il rischio di perdere il contatto con la realtà. La giusta misura, dice Steiner, è nel restare collocati a metà tra Dio e la natura e far parlare “l’uomo che è in te […] su ciò che sta al di sopra di te e su ciò che sta al di sotto” e allora otteniamo “la saggezza enunciata dall’uomo,” che è lo scopo della ricerca antroposofica. Questo punto è il punto di partenza che ci fornisce la saggezza per trovare la quantità di conoscenza che apporta il meglio di ciò che possiamo ottenere partendo da un punto di vista che è centrale.

Molte scienze analizzano ciò che appartiene all’uomo, ma lo vedono solo dal punto di vista della sua natura e di quello che si può vedere al microscopio, perciò esse vedono l’uomo valutandone anche il particolare infinitesimale, ma non tengono conto di ciò che si potrebbe fare e comprendere maggiormente. Queste scienze vedono solo le facoltà al di sotto dell’uomo, perciò vedono l’uomo come una natura che è ancorata al suolo e lo vedono come un organismo che non sa sciogliere gli enigmi della sua natura, perciò una conoscenza così riduttiva non può sciogliere i nodi problematici dell’esistenza.

Dall’altro lato abbiamo le concezioni che si elevano alle altezze più sublimi cercando di trovare una soluzione ai più astrusi quesiti sull’esistenza umana, perciò vediamo delle architetture metafisiche che non hanno le basi concrete, perciò abbiamo delle ambiziose concezioni campate in aria. Queste filosofie non valutano il passo dell’uomo e non vedono che l'essere umano non riesce a seguirle, perciò non sanno fornire il modo di ascendere alle vette da cui tutto l’insieme diventa evidente con il rapido scorrere dello sguardo. L’uomo, nella sua ascesa, non riesce ad essere adeguatamente sostenuto dall’immaginazione, dall’ispirazione e dall’intuizione, perciò egli non sa vedere la sua meta finale.

Anche chi vuole risalire non possiede i mezzi con cui poter fare la scalata, perché i nostri concetti sono diventati dei concetti “dissanguati e sfruttati dal pensiero umano,” perciò è come avere asceso il monte per accorgersi di aver dimenticato il binocolo, dice Steiner, perciò è come aver faticato senza ottenere nulla. Il binocolo è l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione, perché nel trascorrere dei secoli la capacità umana di poter ascendere alla vetta è sempre più diminuita. Anche oggi abbiamo questa incapacità, sebbene non la si voglia ammettere, perché nei tempi antichi c'era una chiaroveggenza naturale che sapeva vedere all'interno delle cose, però questa capacità è divenuta più rigida, perciò non è facile che oggi si possa manifestare nell’anima: ecco perché la vita moderna ricerca dei significati usando dei mezzi falsi e inadeguati.

Se osserviamo la storia conosciamo dei fatti, però dovremmo studiare la filosofia della storia, cioè dovremmo saper vedere il divenire storico vedendo le tendenze che sono insite nelle cose, però questa capacità di analizzare ci sfugge totalmente. Nei tempi antichi, nel tempio di Diana in Efeso, dei maestri indagavano i misteri e aiutavano i loro discepoli a salire fino ai regni spirituali, perciò quello che era indagato veniva comunicato all’esterno e veniva proclamato pubblicamente, sebbene anche allora non tutti gli uomini riuscissero a capire il vero senso dei misteri. Ai tempi di Eraclito già non ricordavano più gli insegnamenti, infatti Eraclito era detto “l’Oscuro” o “il Tenebroso” per la complessità dei suoi insegnamenti.

Ancora oggi leggendo i frammenti di Eraclito, si possono intuire le tracce dei misteri di cui il filosofo ebbe la diretta esperienza, perciò la sua conoscenza delle regioni spirituali superiori. Ciò che resta delle conoscenze filosofie è stato ridotto al fantasma di un pensiero da cui tutta la forza vitale è stata spremuta e sfruttata, perché i concetti sono studiati come fossero uno “scheletro concettuale.” Oggi ci sono tanti filosofi che credono che lo scheletro di aridi concetti possa essere qualcosa di vivo, ma la vera conoscenza parte da un punto intermedio che non corrisponde al livello subumano e le teorie spirituali non sono delle bolle ideologiche, infatti sarebbe come ammettere di voler raggiungere una vetta da cui non si può vedere nulla.

Tutto il pensiero è divenuto il tessere di concetti mentali intessuti al telaio mentale, ma nulla riesce a fornire una visione spirituale che sia piena di vita, infatti l’uomo non può vivere credendo in concetti astratti, perché la realtà umana è intessuta sia di materie concrete che di energie spirituali. Anche i concetti mentali devono fornire una forza interiore, perciò devono illuminare sia il basso che l’alto, perché non dobbiamo dimenticato che il vero oggetto dell’osservazione resta l'uomo, perciò dobbiamo partire dal corpo fisico, perché il corpo materiale è il frutto di una complessa evoluzione dell‘attività delle forze spirituali.

Il corpo umano è molto complesso perché proviene da una evoluzione che inizia ai tempi dell’antico Saturno e che si è protratta nell’antico Sole, fino all’epoca della Luna e quella della terra, infatti nei tempi solari fu formato il corpo eterico, nell‘epoca lunare fu formato il corpo astrale, perciò tutte le nostre componenti furono formate per produrre il divenire dell‘uomo. Per comprendere il nostro corpo non è necessario conoscere nel dettaglio tutto il corso evolutivo, però è necessario conoscere i suoi organi e saperli vedere negli aspetti materiali e spirituali conoscendo il livello evolutivo a cui l’organo è pervenuto per poterlo comprendere, perciò facciamo l’esempio del cuore.

Il cuore umano, dice Steiner, per come è conformato oggi, dimostra di essere un organo che si è evoluto recentemente, anche se il germe della sua formazione è molto più antico. Nell’epoca solare il cuore dipendeva dalle forze solari, ma quando il sole si separò dalla luna a cui era unito, il cuore ebbe l'evoluzione in cui le forze solari iniziarono ad agire dall’esterno, perciò il cuore si differenziò in una parte solare e in una parte lunare. Quando il sole, la luna e la terra erano unite seppero elaborare le strutture per ospitare il cuore, ma dopo il ciclo cosmico in cui la terra si distaccò dal sole, vi fu il distacco simultaneo del sole, della luna e della terra, perciò iniziò l'influsso dell’epoca terrestre presente.

Se le forze cosmiche del sole, della luna e della terra vivono in armonia nel nostro cuore, allora il nostro cuore è sano, ma se alcune parti diventano preponderanti, allora il cuore è malato, perché la malattia dipende dal fatto che ciò che è in armonia nel cosmo resti in armonia anche nell’uomo. Ogni guarigione si poggia sul fatto che la parte che ha il difetto sia rinforzata e che la parte troppo preponderante venga ridimensionata per ristabilire l’armonia, dice Steiner. Però non è sufficiente parlare di armonia per avere la certezza di poterla avere, perché è necessario saper penetrare nella saggezza del mondo e bisogna conoscere la vera fisiologia ossia l’armonia occulta che esiste nell’uomo per avere la completa comprensione dell’uomo.

Ciò che vediamo è il fatto che lo Spirito ci parla e che ci rivela la sua singolare particolarità, e la sua particolarità parla alla parte solare e alla parte lunare del cuore, perché lo Spirito si esprime usando il corpo e gli organi che agiscono all’interno dell’uomo, perciò possiamo vedere che alcune parti dell’uomo hanno arrestato il loro progresso. Vedendo nell’uomo valutiamo le sue componenti, perciò vediamo l’aspetto eterico, l’astrale, il lato senziente, il lato razionale e la parte cosciente, e scopriamo la realtà dell’uomo: e questo è il vedere in modo antroposofico. Ma per avere la visuale corretta dobbiamo partire dal basso di ciò che vive nel mondo fisico, perché la conoscenza sorge dal basso dei sensi fisici mentre lo spirituale agisce, da sopra, dentro l'uomo.

Buona erranza
Sharatan

martedì 22 novembre 2011

Prospettive


“Non si possono scoprire nuovi oceani se non si ha il coraggio
di perdere di vista la costa.”
(André Gide)

Esistono una moltitudine di mondi e gli uomini non vivono solo in un mondo, infatti esistono molti mondi differenti ed esistono parallelamente gli uni negli altri, anche se la mentalità corrente non li sa vedere. L’idea è quella che viviamo in mondi differenti che sono concatenati e che si intrecciano in relazioni differenti, a seconda del livello che occupano. Noi chiamiamo “mondo” quello in cui viviamo, dice Gurdjieff, perché l’umanità fa parte della vita organica sulla terra, perciò il mondo più vicino all’uomo è quello degli animali e delle piante.

Il mondo della vita è la terra, ma il mondo della terra è il mondo dei pianeti del sistema solare di cui la terra fa parte. Il mondo dei pianeti del sistema solare è la Via Lattea che è un insieme di sistemi. Se guardiamo più lontano vediamo che esistono molteplici mondi a distanze incommensurabili, infatti esiste uno spazio che racchiude tutti i mondi, perciò l’insieme dei mondi costituisce la Totalità. Senza voler fare dei discorsi troppo filosofici, dice Gurdjieff, risulta evidente che esiste un insieme che raggruppa tutti i mondi, ed è l’Unità che è il Tutto che chiamiamo l’Assoluto o l’Indipendente, perché non può essere che indivisibile e infinito perciò indipendente da ogni cosa.

L’Assoluto è lo stato di cose per cui l’insieme diventa un Tutto allo stato primordiale da cui derivarono, per divisione e per differenziazione, tutta la diversità dei fenomeni che vediamo. L’uomo esiste in tutti i mondi ma in modo differenziato, perché con i mondi lontani il suo contatto non è immediato, infatti l’influenza è direttamente proporzionale alla lontananza tra il mondo e l’uomo. La distanza diventa importante per saper valutare la forza dell’influenza che quel mondo esercita sull'uomo, perciò è chiaro che l’influenza diretta dell’Assoluto non si vede, mentre è più evidente l’influenza delle stelle e dei pianeti, perché sono nel mondo a cui siamo più vicini.

Per ciò che riguarda l’influenza dell’Assoluto sull’uomo, essa diventa evidente conoscendo le leggi che regolano la realtà della diversità dei fenomeni. La legge che fonda la percezione dei fenomeni come diversità, ma che dimostra il nostro legame con l’Assoluto è la Legge dei Tre Principi o Legge delle Tre Forze. Secondo questa legge i fenomeni di tutti i livelli, perciò i fenomeni che vediamo dalla molecola al cosmo, sono il prodotto dell'azione di tre forze che si incontrano. L'uomo vede solo gli opposti: la forza e la resistenza, il magnetismo negativo e il positivo, il maschio e la femmina etc., perché la realtà si vede meglio nella lotta degli opposti.

La terza forza non la vediamo e la scienza la ignora, però la conoscenza è molto diversa da questo modo di pensare, infatti si afferma che due forze non possono causare dei fenomeni, perché è necessario avere l’azione di un terzo elemento. La legge delle Tre forze afferma che, alla base della manifestazione esiste una forza attiva e positiva, poi esiste una forza passiva e negativa, e infine c'è una forza neutralizzante. Questi sono i nomi dati alle tre forze che agiscono sul mondo, anche se il nome non corrisponde veramente alla qualità della loro azione, perché tutte le forze sono degli elementi attivi, ma l'azione delle forze si manifestano come attive, passive o neutre nel manifestarsi del loro punto d’unione.

Le tre forze si caratterizzano con una determinata qualità solo quando entrano in relazione tra loro, perciò le prime due forze le vediamo agire con chiarezza, mentre l’azione della terza forza è difficile da vedere, perché la sua qualità si determina solo “nel punto di applicazione delle forze, sia nel loro ambiente, sia nel loro risultato.” Tutto questo rende difficile capire come la terza forza riesca ad agire, perché abbiamo dei limiti psicologici dovuti al nostro tipo di percezione, infatti siamo legati alla sensazione del tempo e dello spazio che imprimono il difetto e la limitazione della nostra percezione.

Gli uomini non sanno vedere la terza forza come non sanno vedere la quarta dimensione, dice Gurdjieff, però studiando se stessi e studiando come avviene la manifestazione del pensiero, della coscienza, delle abitudini, dei desideri, etc., si può vedere come la terza forza possa agire su di noi. Nell’esempio del lavoro, il carattere attivo è visibile nel desiderio di voler cambiare i pensieri e le abitudini per poter migliorare la vita, mentre la forza negativa è rivelata dall’inerzia e dal desiderio di non voler cambiare le abitudini che offrono le certezze, perciò dal timore di poter percorrere delle strade sconosciute.

L’effetto bilanciante va trovato se non vogliamo che l’uomo sia un pendolo che può oscillare eternamente tra il “si” e il “no,” perché un conflitto può durare tutta la vita. L’iniziativa può essere continuamente frenata dall’inerzia, perciò diventa determinante attivare l'azione del terzo elemento. L'elemento che sblocca la situazione è la terza forza che giunge sotto forma di un “nuovo sapere” che può mostrare il vantaggio del cambiamento, infatti deve intervenire l'elemento che sa sostenere la volontà e la necessità del lavoro: è così che vediamo l’azione di una terza forza che sostiene l’iniziativa.

L’azione di una terza forza è visibile nella nostra struttura, nei fenomeni della nostra vita psichica, nella vita della comunità umana e nell’umanità in generale, perciò in tutti i fenomeni che esistono in natura. Ogni fenomeno necessita dell’azione di tre forze, infatti se vediamo che una situazione è bloccata questo avviene perché non è entrato in azione l'elemento che porta alla soluzione. Non sappiamo vedere i fenomeni scorgendo l’azione delle tre forze, perché gli stati soggettivi della nostra coscienza impediscono di vedere il mondo oggettivo, perciò il mondo sfugge alla percezione.

Se riuscissimo a vedere l’azione delle tre forze vedremmo il mondo in se stesso, perciò lo vedremmo com’è veramente, infatti i fenomeni sono molto più complessi di ciò che sembrano, perché le situazioni possono subire delle influenze invisibili. La terza forza è quella del mondo reale, perciò non vediamo il mondo reale ma vediamo un mondo fenomenico che è solo relativamente reale. Nel mondo in cui viviamo, così come in tutto l’Assoluto, esistono queste forze attive perché esiste un’attività che si manifesta in triplice forma, infatti la concezione è alla base degli insegnamenti antichi per spiegare la piena e completa coscienza, perciò la totale percezione.

L’idea dell’unità delle forze è nella Trinità cristiana e della Trimurti induista, perché in queste concezioni si dice che il Tutto si è separato pur restando unito nella sua volontà, perciò per sua propria decisione creò il punto di congiunzione dei fenomeni, cioè il mondo. I mondi furono creati per volontà dell’Assoluto e dipendono interamente dalla sua volontà, perciò questa volontà costituisce tutta la realtà cosmica. Nei mondi agiscono le forze, ma poiché la Totalità si è differenziata, queste forze non sembrano il prodotto di una volontà unica. Vediamo esistere tre volontà, tre coscienze e tre unità, perché ciascuna delle tre forze contiene in sé la potenzialità delle altre due, perciò è necessario trovare il punto d’incontro del vedere, altrimenti vedremo in forma separata solo uno dei principi, perciò vedremo solo l'attivo, il passivo o il neutralizzante.

Le tre forze sono la trinità che permette l’esistenza dei nuovi fenomeni, anche se la trinità che vediamo è quella relativa a un mondo di ordine e di livello inferiore. Nell’Assoluto la volontà esiste come unica e indifferenziata, mentre nei livelli inferiori la volontà sembra separata, perché la manifestazione mostra leggi separate e indipendenti tra loro, perché è attivo solo un punto di incontro accidentale e meccanico. La volontà dell’Assoluto ha creato dei mondi di secondo ordine e li governa, ma l'Assoluto non governa l’aspetto creativo in cui l’elemento meccanico ha fatto la sua apparizione.

Nei mondi esiste la presenza simultanea di varie influenze, infatti tutte le forze agiscono assieme anche se provengono da fonti diverse, ma una forza può prevalere sull’altra, e questo avviene a seconda del momento, perciò l’uomo può scegliere liberamente il tipo di influenza a cui si sottopone. La Legge delle Tre forze esiste in tutto quello che facciamo o che studiamo, infatti in ogni campo si può vedere l'applicazione di questa conoscenza, e questa conoscenza ci fa comprendere cose che non conosciamo e la chimica è la prova dell'esattezza della legge, anche se la chimica non studia le proprietà cosmiche degli elementi.

Le sostanze cosmiche esistono in ogni materia e la loro qualità è costituita - in primo luogo - dal posto che la sostanza occupa, e - in secondo luogo - dalla qualità delle forze che agiscono sulla materia in un certo momento. Ma, indipendentemente dalla sua posizione, la natura della sostanza subisce enormi cambiamenti in relazione alla qualità della forza che si può manifestare attraverso di essa. Ogni sostanza può diventare la conduttrice di una delle tre forze, perciò la sostanza può essere attiva, passiva o neutralizzante. Ma la medesima sostanza può anche non avere delle forze che si manifestano, soprattutto se essa esiste senza avere alcuna relazione con il manifestarsi delle tre forze.

Buona erranza
Sharatan


giovedì 17 novembre 2011

Come un’onda


“Lo spirito è energia in movimento,
e in tutto l’universo i moti dello spirito
regnano su tutta la materia”
(Sutta-Pitàka)

Vedendo l'uomo fisico lo vediamo racchiuso nella pelle, perciò pensiamo che l'uomo è chiuso rispetto all'ambiente esterno. Ma non è così che dobbiamo pensare se vogliamo conoscere l’uomo animico-spirituale, perciò pensiamo al flusso di correnti che pulsano e che fluiscono dall’interiorità e comunicano con le correnti del mondo animico-spirituale universale. Se dovessimo pensare al rapporto tra l'uomo e l'universo, allora immaginiamo l’uomo che nuota nell'oceano del cosmo, dice Steiner.

Nell'oceano cosmico vediamo fluttuare l’onda dell’organismo animico-spirituale umano, mentre le correnti universali si restringono e si dilatano in un movimento lento e sinuoso. Le correnti si avvicinano all’uomo perché lui le attira a sé, perciò le correnti cosmiche si intrecciano alle correnti individuali, ma poi si allontanano. L’uomo è penetrato dalle correnti cosmiche, infatti vive circondato dall'elemento fluttuante della materia aurica che si increspa generando dei vortici energetici quando le correnti del cosmo incontrano il suo organismo.

L’uomo vive circondato dalle correnti vorticose che lo impregnano quando entrano nel suo elemento, perciò dovremmo immaginare tutto questo quando pensiamo al rapporto che esiste tra l’uomo e il suo ambiente animico-spirituale. Nell’incontro tra la componente individuale e quella universale, la corrente cosmica s’incontra con le parti inferiori della coscienza umana, perché il cosmo resta sempre in contatto con le nostre tendenze subconscie profonde. Queste tendenze corrispondono ai processi fisici di cui non siamo coscienti, perché hanno la stessa natura delle correnti dell’universo.

Come l’uomo incontra l'ambiente esterno così, al suo interno, avviene l'incontro delle componenti coscienti con quelle incoscienti. All’interno possediamo dei blocchi nei punti in cui le nostre componenti animico-spirituali s’incontrano con quelle universali, perciò i blocchi formano l’onda interna dell’uomo. A livello fisico, l'onda circola lungo il percorso dei nervi motori e sensori, perciò la vediamo risalire lungo la nostra colonna dorsale.

All’interno abbiamo una barriera, però la barriera c'è anche nel mondo esterno e se non ci fossero questi sbarramenti potremmo sprofondare dentro di noi, perciò affogheremmo nel nostro mare. L’uomo ha una parte che gli viene preclusa, perciò resta chiusa alla coscienza, infatti non possiamo sostenere totalmente noi stessi. Ciò che si forma all’interno può solo rispecchiarsi, e la manifestazione dell’io che si rispecchia forma il ricordo nella memoria, infatti quando ricordiamo attiviamo un punto che fissa e che blocca qualcosa.

Se non avessimo un punto di blocco, ogni sensazione, ogni impressione e ogni idea ci attraverserebbe ma non sarebbe permanente, perciò saremmo permeabili a tutto, ma nulla resterebbe in modo durevole. Noi tratteniamo le impressioni del mondo perché sono fermate dal blocco interiore, infatti possiamo recuperare ciò che è avvenuto nella fissazione del ricordo.

Pensando alla barriera vediamo una lastra che respinge ciò che non deve passare, infatti nello stato di veglia restiamo uniti al mondo facendo il controllo del confine con il sonno. Se non avessimo il blocco che permette di riconoscere le percezioni che giungono non avremmo il ricordo e tutto ci attraverserebbe lasciandoci indifferenti, perciò le impressioni non ridesterebbero la nostra coscienza, e non potremmo costruire nessuna memoria.

Per l’uomo è impossibile vedere tutta la sua struttura interna perché - per quello che è il nostro livello evolutivo - vedremo solo un ribollire caotico e un fluttuare confuso che non può rallegrare, dice Steiner, perciò gli uomini non possono vedere ciò che la loro coscienza non può sopportare. Ciò che forma il ricordo è quello di cui abbiamo bisogno per costruire la nostra vita interiore, ma è la stessa cosa che è all’origine della nostra memoria, perciò essa fonda il senso di quello che sentiamo come essenziale.

Questo substrato è come il rivestimento dello specchio, perciò è la cosa che abbiamo sempre presente e viva nella coscienza, perché è quello che non passa, ma è sempre trattenuto e riprodotto come ricordo. Tutta la nostra vita si rispecchia nei nostri ricordi, perché il ricordo costruisce “la vita del nostro io,” infatti ciò che siamo lo vediamo in ciò che conserviamo gelosamente nella memoria. La vita interiore si forma nel confine tra l’onda interna e l’onda esterna, infatti noi evolviamo dall'essere delle nature permeabili e immemori se sappiamo riflettere e rendere permanente tutto ciò che amiamo.

Questo è il ruolo del ricordo nella costruzione della nostra coscienza, infatti ricordiamo quello che sappiamo conoscere e dimentichiamo quello che la coscienza non sa sostenere. Escludiamo quello che non rivestiamo di senso e conserviamo quello che sentiamo importante, e se non facessimo la selezione saremmo “esseri freddi e incapaci di amare.” Se tutto avesse lo stesso valore e se nulla avesse un significato particolare, nulla saprebbe darci il diletto e il piacere, perciò saremmo esseri insensibili e freddi come le nature mefistofeliche.

Il fatto di organizzare il mondo interiore usando i concetti animico-spirituali che scegliamo nell’ambiente, e che usiamo per rivestire i concetti astratti crea le nostre facoltà intellettuali e ci permette di amare. L’amore non è il prodotto della sintesi chimica, perché conoscere una reazione chimica non fornisce la prova che sappiamo amare, perciò la capacità di ricordare e di amare sono i due blocchi che sperimentiamo vivendo, infatti sono i veri limiti della natura umana.

Il primo limite da infrangere è la capacità di ricordare, perché sotto il ricordo si nasconde il subconscio, mentre l’altra sfida è la nostra capacità di amare che riguarda il nostro rapporto con l’elemento animico-spirituale universale. La parte inconscia che si trova sotto la linea della coscienza arriva fin dove l’interiorità umana sa vedere, mentre la zona dell’elemento universale si può estendere all'infinito, ma parte dal confine della prima zona.

Nell’uomo possiamo parlare di zona dell’amore e di zona del ricordo per poter racchiudere ciò che costituisce l'intera componente animico-spirituale. Se cerchiamo oltre la coscienza troviamo ciò che è strettamente collegato alla corporeità e alle attività corporee. In realtà, dice Steiner, le cose sono molto più complesse, perché le due zone si intrecciano sempre e non si distinguono mai nettamente, infatti ciò che entra all'interno subisce la trasformazione del contatto, perciò ciò che è evidente nasconde sempre le parti meno ovvie.

In questi legami vediamo che la vita fisica della terra possiede una profonda componente spirituale cosciente che s’intreccia con la parte incosciente che si fonde con l’universo. La componente spirituale è intessuta in modo leggero e impalpabile con la materia, infatti possiede una trama delicata e impalpabile che si riflette nella luce della testa dell’uomo. Con la materia questa luce spirituale non ha nulla a che fare, perciò non ne condivide alcuna affinità, infatti non si può congiungere alla materia e ne resta disgiunta.

Alla parte spirituale viene fornita una materia che proviene dalle forze formatrici acquisite nella precedente incarnazione, perciò le forme della nostra testa sono le idee, gli ideali e le preferenze che abbiamo solidificato, perciò oggi forniscono il contenuto del capo formando gli ideali che amiamo. L'uomo possiede una composizione animico-spirituale che sa formare la struttura che corrisponde alle azioni che ha formato nella sua precedente incarnazione.

Facendo l’analisi fisiognomica, perciò investigando l’uomo con lo studio dei tratti della sua testa, non vediamo quello che viene dall’interiorità, ma vediamo quello che abbiamo formato come adeguamento all’azione formatrice dell'universo. La fisionomia va interpretata come ciò che viene impresso dall’azione esteriore, e la forza costruisce la struttura dell’uomo e la forma del suo capo, infatti nell’impronta del capo c'è la spia delle azioni della nostra vita precedente.

Nell’uomo c'è un mare cosmico che fluttua nella zona incosciente, e corrisponde alla componente materiale e alle strutture del corpo. La componente incosciente dell’uomo risiede nel corpo impregnandolo totalmente, però la materia si intreccia con la componente spirituale al punto che esso non può manifestarsi come tale, perciò non può svincolarsi dal corpo. E se avessimo lo sguardo che sa affondare nell’uomo vedremmo il “confluire confuso di elemento spirituale e elemento corporeo che sta dietro la soglia del ricordo.”

Così sono preparate le forze che formeranno il capo della successiva incarnazione, perché la nostra trama è un filo che lega il nostro presente, il passato e il futuro. Tutte le forze formatrici subiscono delle metamorfosi che gli permettono di manifestarsi come delle forme materiali, ma il capo possiede delle forze formatrici che eccedono il normale sviluppo del cervello fisico, infatti le forze che lo formano sono più antiche dell’età del nostro sviluppo cerebrale.

Ogni elemento fisico è la riproduzione di un elemento spirituale che, nella sua forma esteriore, non è ancora progredito fino a diventare uomo. Se potessimo vedere ciò che è stato riversato nell’interno dell’uomo e se potessimo vedere senza avere il limite della coscienza, vedremmo l’elemento luciferino che possediamo. Ma se potessimo vedere anche quello che è stato riversato nella nostra forma materiale vedremmo la figura arimanica che permea la materia.

Diventare consapevoli della nostra vera natura e della nostra struttura energetica è essenziale, perché l’uomo è l'essere che sa oscillare tra l’influsso luciferino e quello arimanico. Comprendere il vero significato di questa conoscenza oltrepassa l'importanza del singolo, infatti essa può determinare il futuro dell’umanità e stabilirà la qualità dei processi evolutivi futuri.

Buona erranza
Sharatan


venerdì 11 novembre 2011

L’essenza del tempo che viviamo


“Noi veniamo troppo tardi per gli dei,
e troppo presto per l’uomo.”
(Martin Heidegger)

L’uomo odierno sa pensare? La domanda può sembrare ovvia o presuntuosa, dice Heiddeger, perché i tempi moderni abbondano di pensatori e di filosofi e anche l’interesse per la filosofia sembra molto diffuso, infatti i filosofi della concezione comune sono i “pensatori” per antonomasia. Come possiamo argomentare sul pensare, se non fosse che l’interesse per le filosofie fornisce la prova della nostra incapacità di pensare. Oggi, tutto quello da cui è attratto l’interesse diventa velocemente un fatto per cui nutriamo disinteresse, perciò si sta tra le cose stando tra di esse, ma non perseverando in loro, infatti non esiste il pensare profondo, perciò l’interessante diventa subito un fatto noioso. L’interesse e l’indifferenza si scambiano velocemente le parti perché l’uomo di oggi non sa pensare, e l’analisi della storia dimostra come l’uomo abbia sempre agito troppo e pensato troppo poco.

Il pensare è una prerogativa umana, perché il pensiero è lo strumento con cui, progressivamente, l’uomo si rende signore dell’essente, perciò il pensiero può renderci signori di tutto ciò che esiste. L’uomo è il vivente che possiede il pensiero come il fabbro possiede il martello, perché il pensiero è il progettare cioè il rendere presente nella nostra immaginazione, quello che è lontano. L’uomo rende presente nel “memorare,” perché il pensiero che sia volto al passato, al presente o al futuro, è sempre un rendere presente, cioè un porre presente davanti a sé, cioè il rappresentare. Il rappresentare è una nostra azione cioè la facoltà con cui agiamo sull’essente, manipolandolo cioè facendo in modo che ciò che è in un modo (ciò che è futuro, lontano o passato) divenga qualcosa di diverso (presente).

Cos’è il pensare? Sembra una domanda inutile, perché con il pensiero hanno costruito degli edifici metafisici, però la risposta più logica è che ancora non sappiamo pensare. Che non pensiamo, dice Heidegger, non dipende dal fatto che non ci rivolgiamo “a ciò che di per sé desidererebbe di essere considerato” ma dipende dal fatto che ciò che è da pensarsi ci distoglie dall’uomo. L’incapacità non è una trascuratezza, perché già il credere che possa essere un’attività che trascuriamo può fornire il rimedio, infatti questo è il “destino” del sottrarsi al pensiero che è l’essenza di tutta la storia occidentale che giunge a compimento nell’epoca odierna, infatti il rimanere non pensato di ciò che andrebbe massimamente pensato è l’essenza del tempo che viviamo.

Questo è il destino “dell’epoca della crisi” in cui vediamo la decadenza e la distruzione, e la minacciosa distruzione del mondo emerge chiaramente in coloro che “si dilettano solo di degradazione e di bassifondi.” Questo non è una dimensione di pessimismo o di ottimismo, non è una valutazione ma è la constatazione obiettiva della realtà della storia occidentale. Non pensiamo perché ciò che è massimamente da pensare si è sottratto, perciò dalla stessa incapacità di pensare emerge l’essenza stessa del pensiero, infatti l’uomo non è capace di pensare l’essere, perché il pensare corrisponde all’oblio dell’essere e del suo problema. Il non saper pensare non è un fatto eccezionale o fortuito che accade nel momento presente del nostro oggi, infatti si pensa che non è indispensabile fare una ricerca intorno al problema dell’essere.

“Essere e tempo” del 1927 è l’opera in cui Heidegger analizza l’oblio dell’essere e del sottrarsi di ciò che deve essere massimamente pensato, perché l’oblio dell’essere è il carattere del pensare contemporaneo. Secondo Heidegger, possiamo ripercorrere la “ripetizione” dei temi che ci hanno spinto all’oblio, ma non possiamo trovare la soluzione, però possiamo definirlo e riconoscere i modi con cui l’oblio si manifesta. Possiamo muovere il pensiero solo all’interno del fatto che in ciò che è obliato non possiamo riconoscere che ciò che ci è stato sottratto e che è restato continuamente obliato. La caratteristica dell’oblio, dice Heidegger, la sua condizione fondamentale è il fatto di non riconoscersi come tale, perciò la “mancanza di pensiero” possiede la medesima caratteristica dell’oblio. Infatti la “mancanza di pensiero consiste in un processo che attacca la midolla più intima dell’uomo di oggi: l’uomo odierno è in fuga davanti al pensare.”

Ma l’uomo non ammetterà mai la sua incapacità, ma piuttosto la negherà affermando con forza che lo sa fare e che pensa molto bene. L’incapacità di pensare è una “ripetizione” continua dello stesso problema, perciò il senso va cercato nel fatto che ci poniamo il quesito, infatti il senso è “nell’esserci.” Se l’essere è ciò che cerchiamo e se essere significa l’essere dell’ente, ne consegue che il problema dell’essere è l’ente stesso. Ma in quale ente si coglie il senso dell’essere? In quale ente avviene l’aprimento dell’essere? Questo ente che noi stessi siamo, dice Heidegger, lo designiamo con il nome di “esserci” e il primato dell’esserci è nel suo interrogarsi e nello sviluppo di una analitica esistenziale.

L’essere si interroga intorno al suo oblio, perciò si interroga in merito alla sua parte non autentica, che è quella che non sa nulla dell’essere suo proprio. Nel termine “ci” si allude alla quotidianità media, in cui l’essere si mostra nel suo ritrarsi, perciò “la sua presenza è nell’oblio,” ma nell’esserci della quotidianità vi è la “cura” dell’essere, cioè ci sono i modi di essere dell’essente, perciò vi è l’essere che è “a portata di mano” che è l’essere che è utilizzabile. La cura, è “l’insieme delle strutture della quotidianità e dell’esserci” che sono le strutture dell’oblio dell’essere.

Ma cosa significa cura? La cura è il tentativo di far tacere l’angoscia che l’essere prova nel suo “essere-gettato” e nel suo “poter essere,” perciò la cura è il tentativo di far tacere il sentimento di spaesamento che è insito nell’esserci. I modi che usiamo nel tentativo è quello di tentare una “saldatura” tra l’essere e il mondo, perciò tra il soggetto e il mondo degli oggetti. Prendersi cura dell’essente significa inserirlo in un progetto di esserci che prende avvio dal quotidiano, perché così l’essere si salvaguarda dal rischio di cadere nel nulla che è preannunciato dall’angoscia. Nell’esserci c’è il tentativo “dell’insignorimento dell’uomo,” infatti l’uomo cerca di proporsi sia come soggetto che come sostanza e come essere dell’essente.

Nella cura ci sono tutte le forme dell’oblio dell’essere dell’essente in generale, “sia cioè dell’essente ultramondano scorto solo nella sua ‘utilizzabilità,’ sia dell’essente che ha la forma dell’esserci disperso nel non esser suo-proprio della chiacchiera e della curiosità.” La cura che vede solo l’aspetto dell’utilizzabilità è la sanzione dell’oblio dell’essere, ed è la forma del non pensare, perciò essendo una sanzione essa non è originaria, ma è il risultato di un lungo processo. Il quotidiano prendersi cura diventa una forma limitativa e il criterio per definire l’essere e il non essere dell’altro, che è proprio perché è una prerogativa di chi manipola e utilizza quell’usabilità: questo è l’oblio dell’essere dell’essente.

Ma come trovare il senso della cura? Ricercare il senso, dice Heidegger, significa raccogliere in unità ciò che viene esposto e si rende evidente in modo frammentario, attuando un’analisi esistenziale, perciò equivale a cercare le tracce dell’insieme che è dietro l’articolazione variegata, perciò la cura è nel comprendere. Rispetto alla riuscita, dobbiamo sapere che il risultato della cura è valido solo nell’ambito della temporalità, perciò il senso della cura è la temporalità, perché la temporalità dell’esserci con il prendere cura è il senso più profondo dell’oblio dell’essere. Perciò l’essere non viene lasciato consistere nell’essente, perché viene inserito in un disegno in cui è visto solo come un mezzo da usare.

La cura e il male consistono nel fatto che il senso è nell’esserci e che l’esserci fonda anche il nostro oblio, perciò il sottrarsi diventa l’unico modo con cui l’essere s’invia e tutta la storia è sia nell’essere che nell’oblio, perché l’essere diventa la semplice utilizzabilità e la semplice presenza. L’essere diventa interpretabile solo nella determinazione temporale e in particolare nella determinazione del presente come è affermato nella filosofia greca. Già in Parmenide e in Platone, fino a Cartesio l’idea è un’estensione, cioè è vista come una presenza del presente che si annuncia e che si chiarisce diventando utilizzabile cioè come possibilità di essere manipolata.

Nell’età moderna, dice Heidegger, perdurando il più assoluto oblio dell’essere vediamo il riconoscimento della totalità dell’essente nella più immediata manipolazione. Ma perché l’essere è diventato questo? La cura esercita il suo dominio facendo uso dell’intelletto scientifico che è stato organizzato sui principi della logica, perciò l’assenza del pensiero ha fondato il “tempo della miseria” in cui è collocato il nostro mondo occidentale. Il principio della ragione afferma una concezione di verità e di essere che è il frutto più amaro della riduzione della verità a semplici discorsi assertori e di quell’essere dell’essente che è diventato solo un mezzo da utilizzare.

Questo è stato fatto con il principio della ragione quando il discorso scientifico diventa illusorio, perciò quando l’essere diventa un nulla. Il principio di ragione riesce a fare una nullificazione e ha fondato il tempo di miseria in cui si colloca l’uomo moderno. Cosa resta del quieto abitare dell’uomo tra il cielo e la terra? Esiste ancora uno spirito meditativo? Esiste ancora una patria in cui l’uomo può radicarsi? Esiste ancora un’abitare e un luogo in cui può avere dimora l’uomo? La risposta di Heidegger è negativa, perché perdere la patria non significa solo sentirsi sradicati dalla terra in cui si è nati, infatti anche chi vive nella sua patria può sentirsi nella condizione dell’esule.

Tutto quello che ci circonda ci fa vedere un mondo che non è più un mondo, perché la tecnologia avvince l’uomo finché l’aspetto tecnologico diventa più vivo e più importante degli esseri viventi che gli sono accanto. La perdita e lo sradicamento dipendono dai tempi in cui siamo nati, perché facciamo parte dei tempi della miseria che è connotata dalla doppia mancanza, che è il tempo in cui “non ci sono più” gli dei e il non “sono ancora” del dio che verrà. L’essere senza patria è il segno dell’oblio e la sensazione di sradicamento è dovuta al fatto che l’uomo è sempre intento a manipolare ciò che è utilizzabile e solo intorno a questo si adopera.

L’essere dell’uomo moderno è solo nella sua utilizzazione, perciò il prendersi cura è diventato un maneggiare che usa le cose in virtù della loro utilizzazione e tutto il manipolare è governato solo dalla sua conoscenza. Il mondo non ci viene incontro con la sua essenza e con la sua realtà, ma vediamo solo ciò che possiamo usare per i nostri fini, perciò come dei mezzi. I mezzi sono le penne, la carta, lo scrittoio, il tavolo, la lampada, le tende, i mobili, le finestre e la porta e tutte le altre cose che non vediamo come sono, perciò come tali in sé per sé. Ciò che nelle cose viene per primo è il fatto di essere un mezzo, perciò non vediamo la realtà della stanza, ma vediamo la stanza come un mezzo di abitazione.

Tutto il modo di essere dell’uomo odierno si riduce nell’anonimo “si” che è l’odiernità, perciò l’utilizzabilità: e questo oblio coincide con l’oscurarsi del nostro pensiero, perché il pensiero decade al rango di un puro strumento. Tutto è livellato al medesimo livello, perciò tutto diventa come un piano di vetro appannato, perciò si assiste al ”depotenziamento dello spirito.” Vediamo il totale oblio dell’essenza del pensiero, perché il pensare diventa l’uso strumentale dell’intelligenza, che è una questione di ingegno, di esercizio o di disimpegno di uno strumento che è posto al servizio della regolamentazione, della schematizzazione e dell’elaborazione di tutto ciò che è dato.

Questo è il processo dell’oblio progressivo dell’essenza del pensare che caratterizza l’odiernità e l’ultimo frutto amaro, dice Heidegger, è nella presenza dell’essere solo in funzione della sua usabilità. Questo è lo spirito dell’età atomica e dell’epoca della tecnica in cui è stato fatto il radicale rovesciamento delle rappresentazioni fondamentali, di cui la prima è la capacità di pensare. Ora il mondo è diventato un oggetto a cui il pensiero calcolatore porta degli assalti a cui non resiste, perciò la natura è diventata una colossale riserva da sfruttare e una fonte per l’industria e per la tecnica moderna. Tanto radicale è stato il ribaltamento che l’abilità fondamentale del pensare è creduta solo lo strumento di cui l’uomo si avvale per affermare il suo dominio.

La signoria dell'uomo oggi si vuole estendere a tutta la totalità dell’essente, che è visto solo come qualcosa che può essere usato e tutto il pensare diventa un calcolare “come” poter fare, perciò tutto il pensare è tanto falsificato che l’uomo stesso, che era il padrone, diventa l’oggetto della pianificazione tecnicistica. Tutto è manipolabile come avviene con l’opinione pubblica, i mezzi di informazione, le convinzioni quotidiane e tutto quello che si alleva e si sfrutta, ma tutto avviene in modo irrazionale. Il maggior pericolo per l’uomo odierno è nell’assenza del pensiero, perciò nel lasciarsi vincolare, ingannare, abbagliare o stregare dall’assenza di pensieri che è il completo smarrimento dell’essere dell’essente.

Il pericolo, dice Heidegger, è nel completo disinteresse e nell’indifferenza, perciò arriverà il tempo di quello che Nietzsche chiamava “il più spregevole essere” e “l’ultimo uomo” che sarà colui che, ragionando solo con il suo pensare calcolatore, crederà possibile di potersi creare un “cantuccio caldo e comodo” per rifugiarsi in esso, e per distogliersi da tutto il resto del mondo. Quando l’uomo non vorrà più gettare la sua freccia oltre se stesso e la corda del suo arco non vorrà più vibrare, allora la terra diverrà troppo piccola e su essa potrà saltellare solo quell’uomo spregevole che tutto rimpiccolisce.

In quel tempo gli uomini avranno smarrito il pensare e il senso del mistero, e avranno appiattito tutto al livello della quotidianità. In quel tempo l’uomo non partorirà più nessuna stella e si chiederà: Cos’è l’amore? Cos’è la creazione? Cos’è il desiderio? Cos’è una stella? In quel tempo tutto sarà pianificato, persino la vita e la morte, infatti un po’ di veleno verrà sparso qua e là, perché qualche goccia di veleno può essere utile per procurarsi dei sogni stimolanti e, alla fine, aumentando la dose del veleno si troverà il modo di morire piacevolmente.

Buona erranza
Sharatan


mercoledì 9 novembre 2011

Una tecnica della natura


“Questa è una legge precisa.
Più il maestro è grande e più è difficile seguirlo.
(Georges Ivanovich Gurdjieff)

Nelle discipline spirituali sono usate delle metafore tratte dall’agricoltura, infatti l’uomo è paragonato all’albero e il paragone è ricco di assonanze molto istruttive, perché il paragone offre spunti molto utili su cui meditare. Studiando la nostra struttura giudichiamo di avere delle funzioni inferiori e delle funzioni superiori, perché il pensiero e le strutture sensoriali sono considerate funzioni nobili essendo usate per percepire le materie più sottili, mentre le funzioni della digestione e dell’escrezione sono ritenute delle funzioni inferiori perciò ignobili, infatti le funzioni del corpo sono credute vergognose.

In natura non esistono funzioni nobili e ignobili, perché non si può mai separare il basso dall’alto perciò non va disprezzato nulla di ciò che abbiamo. Ogni divisione che facciamo nei riguardi dell’uomo va ritenuta errata, perché le funzioni ritenute superiori attingono le loro forze dalle energie delle funzioni ritenute inferiori, perché le pulsioni e gli istinti sono delle radici mediante le quali l’albero umano attinge il nutrimento che è offerto dalla terra. Come avviene nell’albero, la linfa grezza va trasformata in linfa raffinata se vogliamo nutrire i prodotti che avremo, perciò è nelle foglie (le nostre azioni) che avviene la trasformazione.

Il sole permette l’elaborazione, insegnano i maestri, perché la luce del sole è lo slancio spirituale che trasforma la linfa grezza delle tendenze inferiori in linfa raffinata che produce degli abbondanti raccolti. La natura ci ammaestra, infatti in agricoltura si usa la tecnica per ottenere dei frutti più gustosi, ed essa consiste nell’innesto del ramo di un albero di ottima qualità nel fusto di un albero selvatico, ma solido e forte. La natura sfrutta la forza della pianta selvatica per ottenere un albero robusto che produce dei frutti ottimi, perciò la stessa operazione può essere fatta nella vita psichica e spirituale.

Molti credono che le tendenze istintive siano troppo scomode perciò vogliono contrastarle e distruggerle, perché ignorano che è il nostro impegno nel contrasto che ottiene l’innesto di qualità migliori nella vita interiore. Più le passioni (le radici) sono forti, imperiose e ardenti più sapranno fare dei frutti squisiti, perciò tutte le opere diventano sempre più meritevoli. Le “spine dolorose” che provengono dalle nostre debolezze ci spingono a lavorare in profondità, perciò le nostre carenze diventano la base migliore per sviluppare i nostri punti di forza, infatti essi stimolano lo sviluppo di nuove abilità.

Le debolezze sono delle spine dolorose infisse nelle carni per spingerci a al miglioramento il carattere: le carenze sono le caratteristiche scomode che sono date per farci scavare in profondità, perché è nelle viscere della terra che sono nascosti i tesori più preziosi. Nella metafora si insegna che dobbiamo usare la linfa grezza degli istinti inferiori per nutrire degli ideali elevati e raffinati che sanno arricchire la vita, se la luce della consapevolezza giunge a illuminare questa verità. Noi crediamo che i maestri vengano dotati dalla natura di qualità eccelse, perché non sappiamo nulla della dura disciplina a cui si sono sottoposti, poiché nulla si ottiene senza dover lavorare.

Anche i grandi maestri dovettero fronteggiare delle tendenze scomode e dolorose contenute nella loro natura, perché la natura umana è sempre intessuta di luci e di ombre, perciò anche i maestri faticarono per evolvere. Quando degli uomini diventano consapevoli del loro vero essere riescono a conoscere tutte le loro tendenze, perciò possono evolvere perché sanno dove possono fare degli innesti. Le radici sono le passioni e gli istinti, perciò più sono ardenti e vigorose le nostre passioni, e maggiore sarà la forza vitale che avremo per fare dei frutti pregiati, perché l’innesto trasforma la qualità di frutti aspri mutandoli in frutta di ottima qualità.

Per usare con profitto la tecnica dobbiamo avere l’affinità e la corrispondenza negli alberi che sono usati, perciò dobbiamo avere la precauzione di incrociare la medesima specie, perciò la precauzione usata nella vita agricola va applicata anche al campo psicologico e spirituale. Facendo l’esempio concreto pensiamo all’uomo collerico in cui la collera diventa la forza cieca che rovina i rapporti e la vita, perciò pensiamo al collerico che usa l’energia dell’ira per avere attentati al suo benessere. Avendo una grande forza esplosiva essa va innestata e messa al servizio di un ideale positivo, perciò l'ira va trasformata nell’energia del combattente indomito, invece di essere l'ira fatale dell‘autolesionista: e questo è l’esempio dell’innesto che è ben eseguito.

La sostituzione delle impronte e l’innesto sono due tecniche distinte che possiamo usare per lavorare interiormente, seppure i due metodi vadano usati in modo diverso, infatti le impronte sostituiscono le abitudini negative con quelle positive, mentre gli innesti sono delle aggiunte alle caratteristiche che già abbiamo. L’ulteriore precauzione riguarda la salvaguardia delle radici, perché le radici vanno sempre protette e non possono essere tagliate, infatti dalle radici proviene la nostra forza. La stessa cura riguarda anche il tronco, perché è sul tronco che innestiamo, infatti le nostre energie vanno dirette verso gli esseri spirituali più elevati per ottenere ulteriori risorse.

Le forze sublimi solo le più elevate, perciò pensiamo agli angeli e agli arcangeli se vogliamo ottenere l’ispirazione all'avanzamento, infatti possiamo ricevere le loro energie per avere una maggiore produzione. Per lo stesso scopo possiamo usare l’immagine di personaggi del passato per creare l’ideale da cui trarre l’ispirazione, perché la relazione con dei maestri morti è sempre meno rischiosa di quella che abbiamo con i maestri viventi. Usare i maestri viventi per fare innesti è pericoloso, perché tutti gli uomini nascono con dei difetti perciò è difficile non restarne disillusi.

Un maestro deve stimolare con gli innesti, perciò la sua saggezza e il suo amore sono valutati vedendo il calore che usa per stimolare i discepoli, perché il maestro stimola e spinge per sviluppare le migliori qualità interiori, ma per farlo con grande amore usando la luce e la saggezza deve essere il maestro più grande. Per gli uomini è difficile poter comprendere la scienza dell’innesto finché vibrano al livello energetico più basso, infatti finché essi non percepiscono le energie più raffinate resteranno indifferenti ai sentimenti e agli ideali elevati, perché le loro esperienze sublimi sono collegate solo al livello del mangiare, del bere e dei piaceri grossolani.

Su costoro agisce solo ciò che è inferiore perciò il mondo superiore non esiste, però se si procede nell’evoluzione l’uomo diventa sempre più sensibile perché vengono delle cose nuove che sanno risvegliarlo al fatto che è necessario lasciarsi alle spalle le abitudini vecchie per saper apprezzare le forze più pure. L’evoluzione prevede un lungo lavoro e una preparazione faticosa, perché è necessario imparare a vederci in modo lucido e sincero, ma è necessario anche eliminare le vecchie opinioni per ammettere la nostra imperfezione.

Se sappiamo accettare le limitazioni ammettiamo anche di essere come i frutti aspri dell’ippocastano che sembrano castagne ma che sono immangiabili, però accettiamo la fatica e il duro lavoro per diventare delle gustose castagne da consumare. Le tendenze interiori vengono raffinate dal fuoco che fonde e che trasforma, perciò se gli uomini non vogliono cambiare e trascurano l’evoluzione diventano troppo duri. Ma se la durezza limita l'evoluzione, è la vita stessa che s’incarica di convincere gli ostinati che non vogliono migliorare, perciò la vita li pungola in ogni modo per poter favorire e affrettare la loro evoluzione.

Buona erranza
Sharatan



giovedì 3 novembre 2011

La nostra natura animale


“Si può paragonare l’uomo ad una specie d’incrocio
tra tutte le influenze sia cosmiche che telluriche,
punto d’incontro della strada dell’animalità
e di quella della coscienza superiore.”

(Anne e Daniel Merois-Givaudan)

I maestri dicono che l’uomo è la sintesi di tutto ciò che esiste nell’universo, infatti nell’uomo esiste la natura del minerale, del vegetale e dell’animale. Essi dicono che in ogni organismo vi è la tendenza all’elevazione verso il livello superiore, perciò il vegetale aspira a diventare un animale, l’animale vuole evolvere verso il livello dell’uomo e l’uomo deve fare l'evoluzione fino alla natura angelica.

Prima della caduta tutte le forze e le nature erano presenti nell’uomo originario e si manifestavano come una perfetta sintesi armonica, ma dopo la discesa tutte le nature divennero disarmoniche, perciò si devono riportare all’armonia e all’unità. Prima della caduta, l’uomo sperimentava la gioia della fusione della luce, dell’amore e della bellezza, ma dopo la caduta, l'uomo fatica per addomesticare, armonizzare e conciliare tutte le strutture della sua natura.

Nell’uomo esistono dei prati, delle foreste, delle montagne e dei laghi, perciò troviamo anche dei fiori e dei frutti che convivono assieme alle materie metalliche nella nostra interiorità. Nella nostra base passionale e istintiva si rivela la natura animale, perché nel nostro subconscio esistono le forze dell’impulso, dell’istinto e della passionalità, perciò la vita istintiva e passionale risente dell’influsso delle forze animali che subirono la scissione della caduta originale.

Molte delle nostre tendenze interiori sono sperimentate in forma animale, perciò dovremmo comprendere che il nostro scopo è quello di conoscere e di addomesticare il serraglio animale che dorme al nostro interno. Rispetto alla natura umana, si crede comunemente che possediamo una natura inferiore e una natura superiore, perciò si crede che i nostri comportamenti e le nostre passioni possano essere ispirati da impulsi nobili oppure da tendenze inferiori.

Secondo il pensiero consueto abbiamo delle parti e delle tendenze nobili che sono contrapposte alle tendenze ignobili, perciò volendo definire un comportamento vile, egoistico o aggressivo si dice che è un atteggiamento tipico dell'animale, perché crediamo che la forma animale abbia una natura che non è degna dell'essere umano. Dimentichiamo che nell’uomo esiste una doppia natura, perché conserviamo il retaggio del passato animale, perciò diventa necessario avere la coscienza della qualità delle tendenze e degli istinti animali che ospitiamo.

Nessuno è libero dall'influsso del suo retaggio animale, perché l’istinto è normale nell’organismo che tende alla conservazione, infatti la sopravvivenza è collegata alla capacità di nutrirsi, di ripararsi, di riprodursi e di difendersi, perciò è naturale avere un forte istinto di conservazione. La differenza tra l’animale e l’uomo consiste nel fatto che l’animale soggiace alla sua istintività non avendo gli strumenti mentali per potersi affrancare, mentre l’uomo può addomesticare e può usare la sua base di animalità istintiva.

Molti dei nostri stati interiori mostrano questi aspetti, perciò conosciamo e sperimentiamo delle espressioni animali che possono essere armoniose e aggraziate oppure manifestiamo un'impulsività che può rivelarsi feroce e inquietante. Tante persone ospitano e manifestano la potenza espressiva di forme animali come quelle del leone, della tigre, della gazzella oppure si avverte l’inquietudine dei rettili e dei mostri che popolano gli abissi marini.

Sebbene siano estinti da molto tempo, all’interno dell’uomo, sopravvivono degli animali preistorici che rappresentano la forza degli istinti atavici più oscuri, perché i più pericolosi mostri in forma animale abitano nei piani mentali e nelle zone astrali più basse. La natura animale che sopravvive viene indicata in modo simbolico, perché viene associata all’essenza e al simbolismo dell’animale rappresentato, infatti a ogni animale viene attribuita una natura e delle caratteristiche con delle qualità specifiche.

L’assonanza animale viene rimarcata anche dalla struttura fisiognomica, infatti hanno studiato la forma del viso e della figura umana collegandole all’animale che è riecheggiato nella somiglianza. A livello simbolico, all’animale sono associate alcune peculiarità, perciò del coniglio viene citata la paura, del lupo si teme la ferocia, del leone si ammira la fierezza e l’audacia, della tigre si dice che è una feroce assassina, dell’aquila si loda la vista acuta e l'amore per le altezze, del caprone si cita la sensualità, del maiale ricordiamo l'amore per lo sporco, del cane ricordiamo la fedeltà, etc..

A tutti gli animali si attribuiscono delle virtù e dei difetti che possiamo vedere anche nell’uomo, perciò il vizio e il pregio si trovano in tutte le nature. Osservando come si manifesta l’istinto e la passionalità umana si può trovare l’analogia con la psicologia degli animali di terra, dell’acqua o del cielo, di cui vediamo dei tratti peculiari che ritroviamo nella nostra natura, perché la struttura animale si esprime nella struttura emozionale umana.

Osservando la struttura dell'uomo vediamo che gli uccelli corrispondono ai nostri pensieri, mentre i sentimenti e le passioni si esprimono con le qualità di molti animali diversi, perché il sentimento e la passione possono avere l'espressività e la forma dei rettili, dei quadrupedi, degli animali mitologici, ma possono anche esprimersi con delle forze larvali di spiriti animali, perché nessuna tribù animale si è mai estinta all‘interno dell‘uomo.

Se leggessimo le memorie dell’akasha sapremmo che vi è stato un tempo in cui l’uomo era in armonia e in sintesi perfetta, perciò scopriremmo lo scopo primario nella creazione. La nostra caduta ci ha fatto dimenticare ciò che siamo e ciò che dobbiamo fare, perciò si deve ritrovare il cammino per il recupero delle nostre potenzialità. Spesso ci dimentichiamo che tutte le nature vanno educate e usate nell’evoluzione, perciò si lascia indisciplinata la natura animale oppure si rinnega la sua presenza, perciò la nostra vita interiore diventa un serraglio di bestie feroci che sfogano i loro istinti, i loro appetiti senza alcun controllo.

I sentimenti peggiori come la gelosia, l’odio e il desiderio di vendetta diventano delle bestie feroci che ci possono dilaniare se le facciamo agire in modo incontrollato, perciò dobbiamo usare la nostra volontà per addomesticarli e costringerli a lavorare per il nostro vantaggio. Chi sa domare le bestie interiori può trarre enorme vantaggio per il suo benessere, perché se le forze istintive sono incontrollate diventano delle tendenze letali che possono soffocare i pensieri e i sentimenti più elevati, perciò gli animali possono distruggere anche l'istinto di sopravvivenza.

Non dobbiamo credere che l’uomo abbia abbandonato la sua natura animale, perché la nostra materia conserva ancora queste forme espressive, perciò dobbiamo usare i nostri animali interiori dopo averli resi domestici e inoffensivi. Nell’agricoltura vediamo che gli animali più forti possono svolgere i lavori più faticosi, perciò il contadino usa le loro forze per farsi aiutare nel lavoro della terra e sfrutta a suo vantaggio i loro sforzi.

Saper domare gli animali interiori significa che sappiamo usare la forza dei nostri istinti e delle passioni in modo benefico, perché sappiamo restare vigili, in modo che i pensieri e i sentimenti non vengano controllati dalle forze di animali sconosciuti che sanno distruggere le nostre migliori ispirazioni. Per controllare gli animali interiori è necessario accrescere l’amore per la luce e per la purezza, perché gli animali sentono istintivamente l’aura di coloro che incontrano, infatti essi sanno di doversi sottomettere a chi gli è superiore perché è più forte, perciò incontrando l'uomo che sa essere padrone di se stesso, essi lo percepiscono e gli obbediscono.

Buona erranza
Sharatan