giovedì 31 marzo 2016

Sicurezza è permanenza



“Il controllo in ogni sua forma
nuoce alla comprensione totale.
Un’esistenza disciplinata è una vita di conformismo;
nel conformismo non c’è libertà dalla paura.
L’abitudine distrugge la libertà... e porta
a una vita superficiale e ottusa.”
(Jiddu Krishnamurti)

“Dovunque ci si rechi nel mondo, in India, in Europa e in America, si vede angoscia, violenza, guerre, terrorismo, uccisioni, droghe... ogni sorta di follia. Si accettano come inevitabili e si sopporta, oppure ci si ribella; ma la ribellione è reazione, come comunismo è reazione al capitalismo o al fascismo.

Quindi, senza ribellarsi, senza andare contro tutto e senza formare il proprio piccolo gruppo, o senza seguire un guru venuto dall’India o da qualche altro luogo, senza accettare nessun genere di autorità – poiché nelle cose spirituali non vi è autorità – possiamo indagare sui problemi che gli esseri umani hanno da secoli e secoli, generazioni e generazioni, i conflitti, le incertezze, i travagli, tutte le cose che gli esseri umani subiscono durante la vita e che finiscono solo con la morte, senza comprendere di che si tratta?

Psicologicamente, interiormente, ogni essere umano, chiunque egli sia, è il mondo. Il mondo è rappresentato nell’individuo, e l’individuo è il mondo. Questo è un fatto psicologico, assoluto; anche se uno ha la pelle bianca e l’altro bruna o nera, è ricco o molto povero, interiormente, in fondo, siamo tutti eguali. Soffriamo per la solitudine, l’angoscia, i conflitti, l’infelicità, la confusione; dipendiamo da qualcuno che ci dice cosa fare, come pensare, cosa pensare; siamo schiavi della propaganda dei vari partiti politici e delle religioni, e così via.

È ciò che avviene interiormente in tutto il mondo; in profondità, noi siamo schiavi della propaganda degli esperti, dei governi e così via, siamo esseri umani condizionati, sia che viviamo in India, in Europa o in America. Perciò un individuo è effettivamente, psicologicamente, il mondo, e il mondo è l’individuo.

Quando uno si rende conto di questo fatto, non verbalmente, non ideologicamente o come evasione dalla realtà, ma sente effettivamente, profondamente il fatto che uno non è diverso dall’altro - per quanto ne sia lontano - interiormente soffre molto ed è terribilmente impaurito, incerto, insicuro, allora non si preoccupa del proprio piccolo io, si preoccupa dell’essere umano totale. Si preoccupa dell’essere umano totale - non di Tizio o di Caio o di qualcun altro - ma dell’entità psicologica totale quale essere umano, dovunque egli viva.

È condizionato in un modo particolare; può essere cattolico o protestante, oppure può essere condizionato da migliaia d’anni di certi tipi di credenze, superstizioni, idee e dèi, come in India: ma sotto quel condizionamento, nel profondo della sua mente, quando è solo, si trova di fronte alla stessa vita di angoscia, sofferenza, dolore e ansia.

Quando si comprende questo come un fatto effettivo, irrevocabile, allora si comincia a pensare in modo interamente diverso e si comincia a osservare, non come persona individuale che ha guai e ansie, ma totalmente, interamente. Questo vi dà una forza e una vitalità straordinaria; uno non è solo, è l’intera storia dell’umanità... se sa come leggere la storia che è racchiusa in lui.

Questa non è retorica: è un fattore serio che interessa profondamente, un fatto che uno nega, perché pensa che uno è così individualistico. Uno è così preso da se stesso, dai propri problemi meschini, dal proprio piccolo guru, dalle proprie credenze; ma quando uno si rende conto di questo fatto straordinario, ciò gli conferisce un’immensa forza e un grande impulso di indagare e di trasformare se stesso, perché l’individuo è l’umanità.

Quando vi è tale trasformazione, l’individuo influisce sulla coscienza totale dell’uomo, perché l’individuo è l’umanità; quando uno cambia fondamentalmente, profondamente, quando vi è questa rivoluzione psicologica, allora naturalmente, poiché l’uno è parte della coscienza totale dell’essere umano, che è il resto dell’umanità, la sua coscienza ne risulta influenzata.

Perciò, uno deve penetrare negli strati della propria coscienza e indagare se è possibile trasformare il contenuto di quella coscienza, in modo che da tale trasformazione possa derivare una dimensione diversa di energia e chiarezza. Un essere umano, che rappresenta il mondo, che è psicologicamente il mondo... quale è la sua esigenza più interiore?

In una parte della sua coscienza è trovare la sicurezza biologica e psicologica; ha bisogno di cibo, indumenti e alloggio... questa è una necessità assoluta. Ma egli esige, desidera e cerca anche la sicurezza psicologica: avere certezza psicologica di tutto. La lotta nel mondo, fisiologicamente e psicologicamente, ha lo scopo di trovare sicurezza. Sicurezza significa permanenza fisica, salute fisica, continuare, avanzare, crescere; e significa anche permanenza psicologica.

Tutto, psicologicamente, se si osserva con molta attenzione, è impermanente; i rapporti di un individuo, psicologicamente, sono molto incerti. Uno può essere temporaneamente sicuro nel proprio rapporto con un altro, uomo o donna, ma è solo temporaneo. Questa sicurezza temporanea è la base della completa insicurezza. Perciò uno domanda: vi è una sicurezza, psicologicamente? Cerca la sicurezza psicologicamente nella famiglia... la famiglia è la moglie, i figli. Uno cerca di trovare un rapporto che sia sicuro, duraturo, permanente... tutto relativo, perché c’è sempre la morte.

E poiché non sempre lo trova, vi sono i divorzi, i dissidi e tutte le infelicità, le gelosie, la collera, l’odio... Si cerca di trovare la sicurezza in una comunità, in un gruppo di persone, grande o piccolo. Si cerca la sicurezza nella nazione – io sono americano, io sono hindu – che dà un senso apparente di sicurezza enorme. Ma quando si cerca di trovare sicurezza, psicologicamente, in una nazione, quella nazione è divisa da un’altra nazione.

Dove vi sono divisioni tra le nazioni – in una delle quali l’individuo ha investito psicologicamente la propria sicurezza – ci sono guerre, ci sono pressioni economiche. È ciò che avviene effettivamente nel mondo. Se uno cerca sicurezza in un’ideologia - l’ideologia comunista, l’ideologia capitalista, le ideologie religiose, con i loro dogmi e le loro immagini - vi è divisione: uno crede in certi ideali che gli piacciono, che gli danno conforto, in cui cerca sicurezza insieme a un gruppo di persone che credono la stessa cosa, ma un altro gruppo crede a un’altra cosa: perciò è diviso da costoro.

Le religioni hanno diviso i popoli. I cristiani, i buddhisti, gli induisti, i mussulmani dividono; sono in dissidio tra loro, e ognuno di essi crede a qualcosa di straordinario, romantico, irrealistico, irreale, non concreto. Vedendo tutto questo - non già come qualcosa da evitare o da considerare con intellettuale disprezzo - vedendo tutto questo molto chiaramente, uno si domanda: esiste la sicurezza psicologica? E se non c’è sicurezza psicologica, allora diventa caos?

Si perde l’identità – uno si era identificato con una nazione, l’America, o con Gesù, con Buddha e così via – quando la ragione, la logica mostra chiaramente che tutto questo è assurdo. Uno dispera perché ha osservato la fallacia di questi processi che dividono, l’irrealtà di queste finzioni, di questi miti, di queste fantasie infondate?

La percezione di tutto ciò è intelligenza... non l’intelligenza di una mente acuta, non l’intelligenza della conoscenza attinta dai libri, ma l’intelligenza che deriva dall’osservazione chiara. In quell’intelligenza, determinata da un’osservazione chiara, vi è sicurezza; quell’intelligenza è sicura. Ma uno non vuole abbandonare, ha troppa paura di abbandonare, per timore di non trovare sicurezza. Uno può smettere di essere cattolico, protestante, comunista e così via, abbastanza facilmente.

Ma quando abbandona, quando si purifica da tutto questo, lo fa come reazione, o lo fa perché ha osservato intelligentemente, olisticamente, con grande chiarezza, l’assurdità delle fantasie e delle finzioni. Poiché osserva senza distorsioni, poiché non aspira a ricavarne qualcosa, perché non pensa in termini di punizione o ricompensa, perché osserva molto chiaramente, allora quella chiarezza di percezione è intelligenza.

In questo vi è una sicurezza straordinaria ... non che voi diventiate sicuri: è l’intelligenza che è sicura. Bisogna pervenire al fatto assoluto – non relativo – il fatto assoluto che non vi è sicurezza psicologica in nulla che sia stato inventato dall’uomo; si comprende che tutte le nostre religioni sono invenzioni, messe insieme dal pensiero.

Quando uno capisce che tutte le nostre iniziative che dividono, e che esistono quando vi sono credenze, dogmi, rituali, che sono la sostanza stessa della religione, quando uno comprende questo molto chiaramente, non come idea, ma come un fatto, allora questo stesso fatto rivela la qualità straordinaria dell’intelligenza in cui vi è la sicurezza completa, totale.” (Jiddu Krishnamurti)

lunedì 28 marzo 2016

Una creatura spirituale



“Una creatura spirituale non è un angelo con le ali, ma qualcosa di infinitamente più grande perché è in comunione con Dio. Voi non dovete vivere come l'essere umano comune, che è in rapporto soltanto con la coscienza dei sensi. La coscienza spirituale consiste nella vittoria completa sulla coscienza umana. Ora, la spiritualità non significa soltanto meditare, ma abbraccia invece un immenso campo di attività equilibrate. Tuttavia la meditazione è il presupposto migliore.

È la strada più diretta per diventare spirituali, la strada più semplice per spiritualizzare la coscienza e porterà nella vostra vita tutto il bene che avete sempre desiderato. Ma, meditare da un lato ed essere arrabbiati o condurre una vita irregolare dall'altro, equivale a mettere i piedi in due barche che vanno in direzioni opposte. Non dovete soltanto meditare, ma anche imparare a comportarvi bene. Avere una coscienza spirituale significa essere in grado di fare quelle cose che rappresentano il vostro principale vantaggio.

Ma io scommetto che il novantanove per cento degli esseri umani non sa in che cosa consista il proprio bene. L'autoanalisi e l'autocritica sono un modo pratico per distinguere il comportamento sbagliato da quello giusto. Tutti dovrebbero tenere un diario mentale. I diari mentali sono di gran lunga migliori dei diari veri e propri che costituiscono motivo di curiosità per gli altri. Molte persone scrivono nel proprio diario bei pensieri e buoni propositi che poi dimenticano immediatamente.

È meglio tenere invece un diario mentale per sorvegliare costantemente i pensieri e le azioni. Ogni tanto, durante il giorno, verificate i vostri meccanismi fisici, mentali e spirituali, per vedere come si comportano. Questo sistema vi aiuterà a sviluppare la coscienza spirituale. Soltanto Dio leggerà il vostro diario mentale. Riempitelo di azioni e di pensieri giusti e diventerà il vostro passaporto per il cielo.

Così, racchiudete nel vostro diario mentale soltanto le cose buone. Non prestate ascolto alle cose negative, non dite cose negative, non pensate cose negative. Evitate di compiere azioni che possano nuocere agli altri; i danni arrecati al prossimo si trasformano in un boomerang e danneggiano soprattutto voi. Il peccato non ha nulla a che vedere con la dinamite che potete fare esplodere a distanza senza subire alcun danno. Il peccato deve essere disinnescato nella vostra anima.

Non siate mai meschini. Non serbate rancore verso nessuno. Preferisco i peccatori dal cuore buono alle cosiddette brave persone, bigotte e senza pietà. Essere spirituali significa avere larghe vedute, saper comprendere e perdonare ed essere amici di tutti. Se dichiarate di essere amici di tutti, deve essere vero. Se offrite la vostra amicizia, dovete offrirla davvero, non dovete mostrarvi gentili o desiderosi di collaborare e provare invece un sentimento contrario.

La legge spirituale è molto potente. Non andate contro i principi spirituali. Non siate sleali e non tradite mai il vostro prossimo. Un amico sa quando essere riservato, quando stare al proprio posto e quando rendersi disponibile a collaborare. Se gli altri sentono la vostra amicizia, se sanno che siete un amico pronto ad aiutarli, avrete un meraviglioso potere che darà forza alla vostra vita. Io ho sempre riscosso la fiducia di tutti.

Il mio guru Sri Yukteswar una volta mi disse: "Se mai dovessi sbagliare, appoggia la mia testa sul tuo petto e benedicimi". Questa era la sua umiltà e la perfetta espressione di che cosa significhi la divina amicizia. Ricordo un ragazzo che frequentava la mia scuola in India, era stato un bambino molto difficile e i suoi genitori lo avevano portato da me. Accettavamo soltanto ragazzi al di sotto dei dodici anni e lui era molto più grande.

Gli parlai con molta sincerità. Gli dissi che le porte della scuola erano sempre aperte e che avrebbe potuto andarsene in ogni momento. Aggiunsi che poteva rimanere soltanto se fosse stato disposto a essere buono. Gli spiegai: "Tu hai deciso di fumare, malgrado il parere contrario dei tuoi genitori. Sei riuscito a sconfiggerli, ma non sei riuscito a sconfiggere la tua infelicità. Come conseguenza del tuo comportamento sbagliato, tu sei il più infelice."

La freccia colpì nel segno. Il ragazzo piangendo disse: "Mi picchiano sempre. " Continuai: "Pensa a ciò che hai fatto a te stesso. Avanti, resterai a condizione che io sia il tuo amico e non certo il tuo guardiano. Fino a quando sarai disposto a correggere i tuoi errori io ti aiuterò. Ma se mi mentirai, non farò niente per te. Le bugie distruggono l'amicizia." Aggiunsi: "Tutte le volte in cui vorrai fumare, non farlo alle mie spalle dimmelo piuttosto, e ti darò io le sigarette." Un giorno venne da me e disse: "Ho una voglia terribile di fumare".

Gli detti i soldi e gli dissi di andarsi a comprare le sigarette. Non credeva ai suoi occhi: “Riprenda il denaro" disse. Lo esortai ad andare, ma il ragazzo non volle. Alla fine, dopo questo tira e molla disse: "Non mi crederà, ma non voglio più fumare." Divenne una brava persona. Ero riuscito a risvegliare in lui la coscienza spirituale. La coscienza spirituale sta nel sincero sforzo interiore di andare controcorrente, verso la vera e definitiva felicità.

Molti dicono di seguire la strada giusta, ma pochi fanno veramente uno sforzo sincero. Non si pretende che diventiate improvvisamente un angelo. Poiché solo l'Assoluto è perfetto, possiamo dire che al cospetto di Dio anche l'angelo migliore è un peccatore. Ma i santi sono quei peccatori che non si sono mai arresi. Quali che siano le vostre difficoltà, se non vi arrendete vuol dire che state progredendo nel vostro sforzo di risalire la corrente.

Combattere equivale a ottenere il favore di Dio. Dovete fare il massimo sforzo. Non fatevi trascinare pigramente dalla corrente della vita. Non potete ingannare Dio perché egli vede i vostri pensieri. Dio non misura il tempo che avete dedicato alla realizzazione spirituale; è l'intensità che conta. Anche se vi siete reincarnati molte volte con un cattivo karma, quando la vostra devozione e la vostra sincerità saranno abbastanza profonde da fare entrare nella vostra coscienza la luce di Dio, tutto il male delle incarnazioni passate sarà bruciato.

Così, anche se i vostri peccati sono profondi come l'oceano Atlantico, fate un costante sforzo mentale per diventare buoni. Per alcune incarnazioni siete stati una creatura umana, ma per l'eternità siete stati i figli di Dio. Non accettate mai l'idea di essere peccatori, perché il peccato e l'ignoranza sono soltanto incubi mortali. Quando ci risveglieremo in Dio, scopriremo che l'anima, la coscienza pura, non ha mai fatto niente di sbagliato.

Non contaminati dalle esperienze mortali, siamo e siamo sempre stati figli di Dio. Possiamo essere paragonati all'oro immerso nel fango, quando il fango dell'ignoranza viene allontanato appare l'oro splendente dell'anima, fatta a immagine di Dio. La coscienza spirituale trae origine da una ferma decisione della mente. Quale che sia il comportamento di coloro che vi circondano, siate buoni. Il vostro più grande nemico siete voi stessi, finché continuate a rimandare il momento in cui cominciare a diventare buoni.

Un tempo mi lasciavo trascinare dalla routine e passavano i mesi senza che io riuscissi a meditare profondamente. Eppure continuai a sforzarmi mentalmente. Progredii velocemente quando mi resi improvvisamente conto che avrei dovuto dominare tutte le mie abitudini ed esercitare la mia spiritualità con maggiore determinazione. Anche voi dovete dominare il vostro comportamento e la vostra coscienza.

Fate le cose che sapete di dover fare e non quelle contrarie alla coscienza spirituale. La coscienza materiale e la coscienza spirituale agiscono secondo modalità opposte. Potete mettervi alla prova per vedere se vi conformate ai criteri della coscienza materiale o della coscienza spirituale. La coscienza spirituale vi suggerisce di includere nella vostra felicità e nella vostra prosperità anche la felicità e il benessere degli altri. La coscienza materiale vi suggerisce invece di fare soldi in qualunque modo e di tenerveli.

Questa depressione ha avuto origine dalla coscienza materiale, che vi consiglia di mangiare la vostra mela e i vostri biscotti. La coscienza Spirituale vi suggerisce invece di condividerli con gli altri. Se qualcuno vi irrita, prendete atto di avere una coscienza materialista. Anche se siete stati maltrattati, dovreste comunque essere pronti a perdonare. Quando perdonate, siete in sintonia con i principi della coscienza spirituale. Perdonare significa offrire al vostro nemico l'opportunità di acquisire una comprensione migliore, mostrarsi vendicativi o irosi vuol dire rendere il vostro nemico più cieco e più arrabbiato.

Potete farvi anche altri nemici perché una persona irata è il bersaglio di tutti. Inoltre, non appena vi lasciate prendere dall'ira cominciate a travisare le cose perché il confortante calore della collera e dei ragionamenti falsi rafforza i vostri sentimenti sbagliati. Non lasciatevi dominare dalla collera. Se avete questa tendenza, eliminatela. È una delle caratteristiche peggiori perché distrugge la spiritualità. È soltanto per il vostro bene che non dovete arrabbiarvi.

La collera distrugge la felicità. Non fate mai salire il vostro termometro mentale. Rimanete interiormente calmi. Controllate l'ira dentro di voi. Non fatele mai trovare posto nel vostro cuore. La coscienza materialista è litigiosa; la coscienza spirituale va d'accordo con tutti. Sforzatevi di essere buoni e allora, automaticamente, indurrete anche gli altri a essere buoni, Questa è la coscienza spirituale.

Siate gentili nelle parole e nei pensieri. Da quando ero bambino non ricordo di essere mai stato intenzionalmente sgarbato. Non criticate. Quando la gente si lamenta degli altri generalmente nutre un senso di rancore nei loro confronti. Gesù ha detto: "Non giudicate e non sarete giudicati'". Se volete giudicare qualcuno, giudicate voi stessi. Se volete parlare dei difetti degli altri, parlate dei vostri. Provate soltanto amore per gli altri nel vostro cuore.

Più vedrete la bontà in loro più la bontà nascerà in voi. Mantenete la coscienza del bene. Per rendere gli altri buoni dovete vedere in loro la bontà. Non rimproverateli. Rimanete calmi, sereni, sempre padroni di voi. Allora scoprirete quanto è facile andare d'accordo. Sono ottimista per quanto riguarda il futuro degli esseri umani perché li amo. Quando amate tutti, vedete Dio in tutti. Se comprendete che ciascuno è un'espressione di Dio, allora essere arrabbiati o scortesi con qualcuno equivale a essere arrabbiati o scortesi con Dio.

Quando siete arrabbiati o meschini o poco compassionevoli innalzate un muro fra la vostra anima e quella altrui. Anche l'arroganza e l'insolenza sono caratteristiche prive di spiritualità e traggono origine da un complesso d'inferiorità. Ammettete per ipotesi che io sia il cuoco di questo ashram e che, se qualcuno mi desse qualche suggerimento sul mio lavoro, io rispondessi di sapere già tutto; la risposta sarebbe una forma di insolenza.

L'insolente rende palesi i limiti della sua conoscenza e anche la sua scarsa educazione. Se volete colpire favorevolmente gli altri, perché denunciate la vostra inferiorità dimostrandovi arroganti e insolenti? In questo modo, dimostrerete soltanto di essere poco educati e poco intelligenti e di avere un carattere impulsivo. L'insolenza e l'arroganza sono forme di ignoranza, abitudini non spirituali allo stato primitivo.” (Paramahansa Yogananda)

venerdì 25 marzo 2016

Il Cerchio Sacro



“Tutto ciò che il Potere del Mondo fa, lo fa in circolo.”
(Alce Nero)

Secondo gli etnologi, inizialmente, i Sioux vivevano nelle regioni del Minnesota e, solo in seguito, si spostarono verso le praterie del Nord Ovest. Recentemente, si sono trovate altre fonti storiche in cui si dice che le genti di lingua sioux si riunivano in bande che si spostavano lungo le regioni dei grandi laghi e le foreste del Minnesota. Le tribù dei Sioux si riunivano nel Consiglio dei Sette fuochi che era formato dalle 7 grandi tribù che costituiscono la Nazione Sioux.

In seguito le popolazioni sioux si suddivisero in due grandi gruppi ed i Lakota fanno parte delle tribù che si spinsero verso l’ovest sotto la pressione di altre tribù native. I Sioux avevano fama di essere grandi guerrieri che non amavano entrare nei giochi di alleanze tra tribù e, ancor meno amavano le alleanze con i bianchi. Questa caratteristica fece in modo che i Sioux fossero tra gli ultimi nativi ad entrare in possesso delle armi da fuoco.

I Lakota si trasferirono nelle praterie occidentali circa alla fine del Settecento. Poco dopo la loro migrazione i Lakota o Teton che vuol dire “abitatori delle praterie” spaziavano in un enorme territorio compreso tra i due Dakota, il Wyoming, il Nebraska e il Montana. I Lakota divennero così numerosi che si divisero in 7 tribù o divisioni, e spesso sconfinavano anche nei territori di tribù rivali. Ma furono i Lakota Teton che fecero da apripista verso le grandi praterie occidentali. Sappiamo che migrarono nelle zone ovest del Missouri perché trovarono un clima più mite di quello estremo delle regioni dei grandi laghi.

Ma soprattutto, sappiamo che le migrazioni nelle praterie occidentali erano dovute al fatto che lì c'erano enormi branchi di bisonti. Insieme ai bisonti sappiamo che incontrarono il cavallo che fu detto Shunka Wakan ossia Cane Sacro. Sappiamo che quando iniziarono a migrare verso le grandi pianure, gli indiani viaggiavano con loro tutto quello che avevano, perciò viaggiavano con le tende, le suppellettili, i bambini e gli anziani caricati su slitte tirate da cani. Gli indiani avevano un ottimo rapporto con gli animali e soprattutto con i cani che erano usati come animali da tiro.

I cani vivevano negli accampamenti indiani e le marce della tribù erano seguite da grandi mute di cani, perciò i cani erano molto amati e rispettati. La leggenda dice che, quando l’uomo viveva in armonia con gli animali era in grado di capire anche il linguaggio degli animali. Sappiamo che gli indiani seguivano le grandi mandrie dei bufali, perché quando avevano fame, chiedevano perdono allo spirito dell'animale che stavano per uccidere, ma poi lo cacciavano e lo mangiavano.

La leggenda dice che, un giorno gli indiani videro che i bisonti scappavano mentre uno strano animale restava immobile e li fissava. Lo strano animale non sembrava spaventato, ma incuriosito e non fuggiva, perciò anche i Sioux si avvicinarono per guardarlo con più attenzione. Allora videro che aveva un corpo snello e aggraziato, delle zampe lunghe e scattanti. Videro che il suo muso e lo sguardo erano dolci come quelli del cervo, e che la sua testa aveva una lunga capigliatura.

Allora un guerriero prese un laccio e iniziò a lanciarlo per catturare l'animale misterioso, ma non riuscì a prenderlo. La creatura sembrò seccata da tutta l'agitazione degli uomini perciò si allontanò, ma i Sioux la seguirono continuando a lanciare lacci. Infatti, un laccio si strinse intorno alla testa dell’animale, e la misteriosa creatura fu circondata dagli indiani. Il guerriero che l'aveva catturato vinse la sua paura, e gli saltò in groppa.

Il laccio con cui era stato catturato fu usato per guidare la sua corsa e il guerriero riuscì a cavalcarlo. Fu così che i Sioux scoprirono un modo veloce e comodo per spostarsi e poiché amavano molto i loro cani, lo vollero chiamare Shunka Watan, Cane Sacro. L'animale che avevano addomesticato diventò lo strumento principale del nomadismo indiano. Per merito del cavallo, i Sioux divennero grandi cacciatori e guerrieri, e abbandonarono la tentazione della sedentarietà diventando i grandi nomadi delle praterie.

I Sioux furono i signori delle praterie perché si muovevano dietro i branchi di bisonti, e si spostavano dentro un territorio che oggi, comprende l’estensione di 7 Stati Federali. Gli storici dicono che i Sioux Teton divennero i padroni dell'enorme territorio compreso tra Dakota, Minnesota, Wisconsin, Wyoming, Nebraska, Iowa, Montana e si spinsero fino al Kansas e al Texas. Sicuramente arrivarono fino in Canada perché si sono trovate prove della loro presenza perfino nella Baia di Hudson.


Il periodo d’oro dei Sioux Teton va dal 1750 al 1850 e dopo questo periodo, si verificò una lenta decadenza che li porterà a essere confinati nelle riserve. Ma gli indiani Sioux furono quelli che si opposero con più forza alla “civilizzazione” che gli veniva imposta con la forza dalla civiltà dei bianchi. Negli ultimi decenni abbiamo iniziato a conoscere meglio la spiritualità indiana, e gli storici hanno iniziato a evidenziare la bellezza di queste culture.

Mircea Eliade dice che, in tutte le tradizioni spirituali il cielo è il simbolo della trascendenza perché rappresenta l’immutabilità e la forza e perché il cielo esiste da sempre. Il cielo è il simbolo di tutto ciò che è infinito, eterno e potente. Anche per le popolazioni native d’America è così.

Il cielo è sacro ma anche il sole, il vento, il tuono e il fulmine possiedono la forza magico-religiosa del cielo. Per questo, tutti i fenomeni che vengono dal cielo sono wakan cioé sacri, perché dietro e al di sopra di tutti questi fenomeni c’è sempre Wakan-Tanka. Il nome Wakan-Tanka viene tradotto come “Il Grande Spirito” ma la traduzione è imprecisa perché sarebbe meglio chiamarlo “Il Grande Sacro” oppure “Il Grande Mistero” perché wakan significa anche “misterioso” oltre che “sacro.”

Il senso del “sacro” e della sacralità della natura sono parte essenziale dell’anima indiana e formano la visione dei lakota. Questa vocazione alla sacralità si ritrova già nel loro mito sull’origine del cosmo. Gli anziani lakota dicono che, al tempo del primo movimento, la Roccia, Inyan, era una massa morbida percorsa, al suo interno, da una calda corrente di sangue di colore blu. Inyan non volle essere sola perciò decise di estrarre dal suo corpo una parte di materiale per plasmare un disco che chiamò Maka, la Terra.

Poi Inyan volle che Maka fosse grande e viva perciò si aprì le vene e lasciò che il suo sangue scorresse fuori. Una parte del sangue di Inyan diventò Mahpiyato, il Cielo, invece un’altra parte si diffuse in cerchio e diventò Mni, il Mare. Per questo i Lakota dicono che la Terra è il più antico essere vivente, in quanto nacque dalle Rocce, il Cuore Pulsante, e poi ha attraversato quattro evoluzioni. A quei tempi, dice la leggenda, il sole tramontava ad est e c’erano dei continenti che, in seguito sono scomparsi.

I saggi dicono che i Lakota discesero su Maka molto, molto tempo dopo questi fatti, infatti essi sono arrivati sulla Terra dopo essere discesi da un mondo spirituale cioè “dalle 7 sorelle che vivono in cielo” ossia dalla Costellazione delle Pleiadi. Secondi gli anziani questo avvenne 250.000 anni fa, perciò i Lakota dicono che, in precedenza, loro vivevano nel mondo dello Spirito. Dicono che la loro comprensione proviene dal cielo, perché è il cielo che dona la comprensione di chi siamo e del perché siamo nati.

La cultura Lakota ricorda sempre il suo legame con la Costellazione delle Pleiadi e lo afferma in ogni contesto sacro. Infatti il organo di governo tradizionale si chiama “Consiglio dei Sette Fuochi” perché il numero 7 è considerato un numero sacro per eccellenza. Nella cultura lakota sono 7 le virtù umane tradizionali, cioè coraggio, forza d’animo, generosità, pazienza, tolleranza, pietà, umiltà e saggezza. E sono 7 anche le tribù che costituiscono la nazione Lakota, cioè Oglala, Sichangu, Minneconjou, Hunkpapa, Sihasapa, Itazipo e Oohenumpa.

Anche il 4 è un numero sacro ricorrente essendo il numero cardinale del mondo. Infatti le direzioni della terra sono 4 cioè nord, sud, est, ovest, e anche le razze della terra sono 4 cioè rossa, bianca, gialla e nera. Il numero 4 viene sempre associato alla circolarità della vita, perché rappresenta tutto ciò che si ripete e si rinnova. Il 4 viene associato alla simbologia del cerchio che rappresenta tutto quello che si trasforma cioè la circolarità della vita.

Tutto si muove in cerchio come mostrano le stagioni che si susseguono una all’altra mostrando che nulla può fermare il Grande Mistero. I Lakota dicono che finché sarà rispettato l'equilibro cosmico tutto scorrerà armoniosamente nel grande Cerchio Sacro. A questo proposito Alce Nero, l’uomo sacro dei Lakota Teton Oglala, dice: “Il cielo è rotondo, e ho sentito dire che la terra è rotonda come una palla, e che così sono le stelle. Il vento quando è più potente , gira in turbini.

Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, perché la loro religione è la stessa nostra. Il sole sorge e tramonta sempre in circolo. La luna fa lo stesso, e tutt’e due sono rotondi. Perfino le stagioni formano un grande circolo, nel loro mutamento, e sempre ritornano al punto di prima. La vita dell’uomo è un circolo, dall’infanzia all’infanzia, e lo stesso accade con ogni cosa dove un potere si muove.

Le nostre tende erano rotonde, come i nidi degli uccelli, e inoltre erano sempre disposte in circolo, il cerchio della nazione, un nido di molti nidi, dove il Grande Spirito voleva che noi covassimo i nostri piccoli.” E poi aggiunge che questo accadeva prima che i suoi fratelli venissero chiusi in case grigie e quadrate: e il quadrato, è risaputo che non ha nessun potere magico.


Infatti il talismano più sacro per i Sioux è la Ruota della Medicina che raffigura un cerchio in cui è inserita una croce. Nella Ruota della Medicina vi è un cerchio perché, secondo gli sciamani, il cerchio è il simbolo di Wakan-Tanka, Infatti, Il Grande Mistero è come un circolo, perciò non ha mai fine. La croce racchiusa nel cerchio rappresenta le 4 direzioni fondamentali della Terra, i 4 venti che la percorrono e i 4 Spiriti che rappresentano le 4 direzioni della Terra.

Tutto questo è uscito da Wakan-Tanka, perciò la Ruota si riunisce al centro in cui l’uomo trova un equilibrio. Il punto d’incontro tra la linea verticale che discende dal Cielo e la linea orizzontale che scorre sulla Terra è la croce che è il simbolo dell’incontro tra Cielo e Terra. Secondo i Lakota, la croce è il simbolo della nascita della vita per volontà Divina.

Il punto d’incontro, in molte Ruote della Medicina viene ornato con due piume d’aquila poste di fianco. Le piume dell’aquila rappresentano la forza e sono il simbolo di Wakan-Tanka, perché l’aquila è l’unico volatile che può volare fino al sole unendo la terra al cielo. Il riferimento primario della spiritualità Lakota è sempre il concetto del Grande Mistero che è riferito all’Uno che è anche Molti.

Il Grande Mistero, Wakan-Tanka, è Dio Sommo, Grande Padre, Creatore ed Esecutore del suo ordine. Egli è anche gli Esseri Superiori e le Gerarchie che gli obbediscono. Egli è oltre il bene e il male, è tutto quello che vediamo e anche quello che non vediamo. Wakan-Tanka è Spirito e Materia, perciò è il Tutto, ma l’uomo non lo può capirlo perciò - per l’uomo - Wakan-Tanka è un Grande Mistero.

Wakan-Tanka è al vertice di una complessa gerarchia di Esseri Superiori perché Egli è onnipotente e sostiene tutta la creazione. La gerarchia degli esseri spirituali che gli sono inferiori è numerata con il numero 4 e con i suoi multipli, perché il 4 rappresenta la manifestazione. Gli ultimi Wicasa Wakan ossia gli ultimi Uomini Sacri, dicevano che accanto a Wakan-Tanka c’erano 4 gruppi di Entità Divine: le Entità Superiori, le Entità Aggiunte, le Entità Subordinate e i Simili a Divinità.

I Sioux credevano che un uomo diventa veramente tale soltanto se sapeva affinare il suo “Sicun” ossia il suo potere personale. Questo avviene solo attraverso il contatto con entità soprannaturali da cui ricevono energie che rinforzano il nostro potere personale. In questo, un ruolo primario è rivestito dal rapporto con gli spiriti degli animali, perché i Lakota attribuiscono un ruolo primario al loro rapporto con gli animali.

Per i Sioux l’unica differenza tra uomo e animale è il fatto che l’uomo può avere coscienza delle cose, mentre l’animale non può averla. Gli animali possiedono anime non individuali, infatti hanno un’anima di specie. Essi hanno un’anima di gruppo la cui intima essenza è strettamente collegata alle energie del cosmo. Questo potere gli viene direttamente da Wakan-Tanka e viene ospitato nel corpo di aquile, bisonti, lupi, falchi e orsi che sono definiti “animali di potere”.

L’uomo può entrare in contatto con il potere degli animali assorbendo le energie che le specie animali sanno captare e trattenere in loro. Da quanto detto si può immaginare che il culto del Grande Mistero e degli Spiriti a lui associati fosse un culto solitario e silenzioso. Gli indiani delle praterie si ritiravano nei grandi spazi e negli scenari naturali da cui traevano le energie necessarie per entrare in contatto con Wakan-Tanka.

Nella solitudine delle grandi praterie, l’indiano cercava il contatto con gli Spiriti della natura e con quelli degli Animali, oppure con gli Spiriti posti a guardia delle 4 Direzioni della Terra. Il contatto con gli ampi scenari naturali infondevano nell’anima dei nativi di rispetto, solennità e sacralità per l’armonia della natura e dei suoi ritmi. Nel corso dei fenomeni stagionali essi vedevano il rinnovarsi del mistero, e vedevano l’insondabile ripetersi nella manifestazione.

Per i nomadi della prateria, nulla poteva eguagliare la gioia di dormire sotto le stelle, di risvegliarsi all’alba con la luce della Stella del Mattino, e di sentirsi liberi nella natura. Il custode del Mistero era il Wicasa Wakan che assommava nella sua figura, le caratteristiche dello sciamano, del guaritore e della guida spirituale della tribù. Ma questo saggio andrebbe pensato come un “Uomo Sacro.” A questo proposito Cervo Zoppo, Uomo Sacro dei Sioux Lakota, racconta la sua esperienza spirituale con queste parole:


“Un Uomo Sacro ama il silenzio, ci si avvolge come una coperta: un silenzio che parla, con voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose. Uno sciamano desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti. Se ne sta seduto, con il volto rivolto a ovest, e chiede aiuto. Parla con le piante ed esse rispondono.

Ascolta con attenzione le voci degli animali. Diventa uno di loro. Da ogni creatura affluisce qualcosa dentro di lui. Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo so, ma è così. Io l’ho vissuto. Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere la natura come un uomo bianco sa leggere un libro.”

Buona erranza
Sharatan

domenica 20 marzo 2016

Il Dono della Sacra Pipa



“Una mattina di buonora, or sono molti, molti inverni, due Lakota erano a caccia con archi e frecce e, mentre dall’alto di un colle scrutavano la zona in cerca di selvaggina, videro qualcosa che di lontano procedeva verso di loro in maniera molto strana e misteriosa. Quando la cosa misteriosa si fu avvicinata videro che era una donna bellissima. Era vestita di pelle di daino bianca e portava un involto sulle spalle.

Era talmente bella che a uno del Lakota vennero cattive intenzioni. Confidò all’amico il suo desiderio ma l’altro, che era buono, gli disse che non doveva farsi venire di quei pensieri perché quella era sicuramente una donna wakan (sacra). La misteriosa creatura adesso era molto vicina ai due.

Posò a terra l’involto e chiese a quello con cattive intenzioni di andare da lei. Come il giovane si fu avvicinato alla donna misteriosa, lui e lei vennero avvolti da una grande nuvola che, sollevatasi poco dopo, rivelò la sacra donna e, ai suoi piedi, l’uomo con i cattivi pensieri divorato da serpenti terribili e ormai ridotto alle sole ossa.

“Poni mente a quello che vedi! - disse la strana donna all’uomo buono - Sto andando dalla tua gente e desidero parlare al tuo capo Corno Cavo in Piedi. Va’ da lui e digli di allestire un grande tipì in cui adunare tutto il popolo. Preparatevi alla mia venuta. Desidero dirvi qualcosa di molto importante!”

Allora il giovane si recò al tipì del suo capo e raccontò tutto quello che era successo; disse anche che la donna sacra si accingeva a fare una visita e che tutti si dovevano preparare. Allora il capo, Corno Cavo in Piedi, fece smontare parecchi tipì e con essi ne fece costruire uno grande, come aveva ordinato la donna sacra. Mandò poi un banditore a dire al popolo di indossare gli abiti migliori e di adunarsi immediatamente nella grande tenda.

Naturalmente tutti erano eccitatissimi mentre attendevano nella grande tenda l’arrivo della donna sacra: tutti si domandavano da dove venisse la donna misteriosa e cosa avesse da dire. Di lì a poco i giovani che si erano messi di vedetta per scorgere l’arrivo della watan annunciarono di aver visto qualcosa di lontano che avanzava verso di loro con belle movenze, ed ecco che improvvisamente ella entrò nella tenda, la percorse tutta secondo il cammino del sole e si fermò di fronte a Corno Cavo in Piedi.

Scaricò l’involto che portava sulle spalle e, reggendolo con tutte e due le mani davanti al capo, disse: “Osservatelo e amatelo sempre! Esso è “lela watan”(molto sacro) e dovete trattarlo come tale. A nessun uomo impuro sarà mai permesso posarvi gli occhi sopra, perché questo involto contiene una pipa sacra. Con essa, negli inverni che verranno, invierete le vostre voci a Watan-Tanka, vostro Padre e Progenitore.”

Detto questo, la donna misteriosa estrasse una pipa con il cannello rivolto verso i cieli, e disse: “Con questa sacra pipa camminerete sulla Terra, poiché la Terra è vostra Progenitrice e vostra Madre, ed Essa è sacra. Ogni passo mosso sopra di Lei dovrebbe essere come una preghiera. Il fornello di questa pipa è di pietra rossa; esso è la Terra.

Inciso nella pietra e rivolto verso il centro c’è questo vitello di bisonte che rappresenta tutti i quadrupedi che vivono su vostra Madre. Il cannello di pipa è di legno e rappresenta tutto quello che cresce sulla Terra. E queste dodici penne che pendono qui dove il cannello si incastra sul fornello vengono da Wanbli Galeshka, l’Aquila Chiazzata, e rappresentano l’aquila e tutti gli esseri alati dell’aria.

Tutti questi popoli e tutte le cose dell’universo si uniscono a voi che fumate la pipa, tutti mandano le loro voci a Wakan-Tanka, il Grande Spirito. Quando pregherete con questa pipa pregherete per e con ogni cosa.” Allora la donna watan mise a contatto la base della pipa con la pietra rotonda che era a terra, e disse:

”Con questa pipa sarete legati a tutti i vostri parenti: al vostro Progenitore e Padre, alla vostra Progenitrice e . questo sasso rotondo, che è della stessa pietra rossa del fornello della pipa, anch’esso vi è stato dato dal vostra Padre Watan-Tanka. Esso è la Terra, vostra Progenitrice e Madre, ed è dove voi vivrete e vi moltiplicherete.

Questa Terra che Egli vi ha dato è rossa, e gli esseri a due gambe che vivono sulla Terra sono pure rossi, e il Grande Spirito vi ha dato anche un giorno rosso e una via rossa. Tutto questo è sacro, non dimenticatevelo. Ogni alba che spunta è un sacro evento, e ogni giorno è sacro perché la luce viene da vostro Padre Wakan-Tanka; e dovrete anche ricordarvi sempre che gli esseri a due gambe e tutti gli altri popoli che sono su questa terra sono sacri e dovrebbero essere trattati come tali.

D’ora in avanti la pipa sacra sarà su questa Terra rossa, e gli esseri a due gambe prenderanno la pipa per mandare le loro voci a Wakan-Tanka. Questi sette cerchi che vedete sulla pietra sono pregni di significato perché rappresentano i sette riti in cui la pipa sarà adoperata. Il primo cerchio grande rappresenta il primo rito che io vi insegnerò: gli altri sei cerchi rappresentano i riti che, con il tempo, vi saranno rivelati direttamente.

Corno Cavo in Piedi, sii buono con il tuo popolo e onora questi doni perché essi sono wakan, sacri! Con questa pipa gli esseri a due gambe si moltiplicheranno e a loro verrà tutto quello che è buono. Wakan-Tanka ti invia dal cielo questa pipa sacra affinché per suo tramite tu possa avere la conoscenza. Devi essere sempre grato di questo grande dono!

Ma ora, prima di andarmene, desidero darti istruzioni sul primo rito in cui il tuo popolo userà questa pipa. Deve essere per te un giorno sacro quando muore uno della tua gente. Allora dovrai custodirgli l’anima, come ti insegnerò, e così facendo acquisterai molto potere; perché se quell’anima sarà custodita essa aumenterà in te la cura e l’amore per il tuo prossimo.

Fintanto che la persona, nella sua anima, viene custodita presso il tuo popolo, tramite lei potrai inviare la tua voce a Wakan-Tanka. Deve essere un giorno sacro anche quando un’anima è liberata e torna a casa, da Wakan-Tanka, perché quel giorno saranno rese sacre quattro donne che in futuro genereranno figli, i quali percorreranno il sentiero della vita in modo sacro, assurgendo a esempio del tuo popolo.

Guarda Me, perché sono Io che essi metteranno in bocca, ed è così facendo che diventeranno wakan. Colui che custodisce l’anima di una persona deve essere un uomo buono e puro e deve adoperare la pipa in modo che tutto il popolo, con l’anima, mandi la propria voce a Wakan-Tanka. I frutti di una Madre, la Terra, e i frutti di tutto quello che essa ha il potere di generare saranno benedetti in questo modo e allora la tua gente percorrerà il sentiero della vita in maniera sacra.

Non dimenticare che Wakan-Tanka ti ha dato sette modi per inviargli le tue voci. Fintanto che lo ricorderai vivrai; il resto lo saprai da Wakan-Tanka direttamente.” La donna sacra si accingeva a lasciare la tenda ma volgendosi di nuovo a Corno Cavo in Piedi disse: “Osserva questa pipa! Ricorda sempre quanto essa è sacra e trattala come tale perché ti porterà fino alla fine. Ricorda: in me ci sono quattro età. Ora sto per andarmene ma mi volgerò a guardare il tuo popolo in ogni età, e alla fine ritornerò.”

Rifatto il giro della grande tenda secondo il cammino del sole, la donna misteriosa partì ma, percorso un breve tratto, volse lo sguardo verso il popolo e si sedette. Quando si alzò il popolo vide con stupore che era diventata un vitello di bisonte rosso e marrone. Poi il vitello si allontanò, si sdraiò, si rotolò a terra volgendosi a guardare i popolo e quando si rialzò era un bisonte bianco.

Il bisonte bianco riprese a camminare, si rotolò a terra e divenne un bisonte nero. Poi questo bisonte si allontanò ancora dal popolo, si fermò e, dopo essersi inchinato a ognuno dei quattro quadranti dell’universo, scomparve oltre il colle.” (Alce Nero, sciamano dei Sioux Oglala)

sabato 19 marzo 2016

La morte in Egitto



“Quello che vediamo dipende principalmente
da quello che stiamo cercando.”
(John Lubbock)

Secondo la tradizione Platone fece un viaggio in Egitto per arricchire la sua formazione e acquisire nozioni di fisiologia, di medicina, di astronomia e forse anche per avere una formazione sapienziale. Ma forse possiamo dubitare che sia venuto in contatto con le dottrine sull’aldilà che erano patrimonio esclusivo della casta sacerdotale da cui dovevano essere certamente esclusi gli stranieri. Perciò sappiamo che Platone non maturò le sue idee sull’anima traendole dalle concezioni degli egiziani, bensì le apprese dal suo maestro Socrate. È a Socrate che dobbiamo la dottrina occidentale dell’anima e la scoperta della dimensione interiore, e la svolta certamente avvenne con il movimento orfico e con le riflessioni delle scuole pitagoriche.

Le idee degli antichi egiziani riguardo all’anima erano molto complesse, ma è sicuro che essi consideravano la morte come un evento che faceva parte dei normali cicli della natura, perché il rinnovarsi delle inondazioni del Nilo gli mostravano un perenne rinascere. Per gli egiziani, il morire faceva parte del vivere e così vanno pensate le formule e i riti che si recitavano sul defunto per salvarlo dal mondo inferiore e aiutarlo a transitare verso la sopravvivenza. 

Alcuni studiosi dicono che la dottrina egiziana era una dottrina stellare, perché il mondo dei morti era il mondo delle stelle. Il mondo celeste veniva chiamato Dat o Duat, e il termine veniva rappresentato da una stella racchiusa in un cerchio, perché la dimensione celeste veniva immaginata sopra la terra e, in parte, anche sotto la terra. Essi credevano nell’esistenza di un cielo superiore e di un cielo superiore. Le due dimensioni venivano rappresentate dal cielo stellato, perciò si credeva che le anime dei morti si rifugiassero nella duplice volta celeste per confondersi con le stelle e avere la vita eterna.

In questa teoria vediamo una distinzione tra la parte materiale dell’uomo che veniva abbandonata sulla terra, e la parte spirituale che sfuggiva dalla materia per godere insieme alle stelle, della vita eterna. A queste idee si sostituì una dottrina solare che, in parte, si legge anche nei Testi delle Piramidi che è un formulario di rituali funebri che erano dedicati esclusivamente ai sovrani. Secondo alcuni, la dottrina stellare e quella solare, non erano in contrasto ma avevano lo stesso scopo, infatti una dottrina trattava il destino degli uomini e l’altra parlava del destino del sovrani.

Per questo motivo, i sacerdoti del dio-Sole ad Eliopoli avevano conservato buona parte della concezione solare e, in particolare, la concezione di Duat perché il sole e le stelle si muovono nel medesimo spazio. In origine si credeva che il sole, dopo aver percorso il cielo superiore durante il giorno, scendeva nel mondo sotterraneo per scaldarlo durante la notte. I teologi di Eliopoli non trovarono altro modo per giustificare il mondo sotterraneo, infatti i Testi delle Piramidi fanno riferimento solo alla Duat superiore.

Queste idee fecero credere a Erodono che l’egiziano avesse una concezione dualistica dell’uomo, e che l’elemento fisico e quello spirituale fossero contrapposti. Ma, la loro idea sulla natura dell’uomo non recava alcuna contrapposizione tra la parte materiale e quella immateriale. L’uomo, per gli antichi egiziani, era un’unità monadica arricchita da tutte le qualità e, in ogni fase della sua esistenza, viveva e agiva sempre come un essere integrato, pieno e completo.

Egli si esprimeva in una pluralità di modi di essere e di esistere, e la pienezza del suo essere si conservava sia durante la vita che nell’esistenza post mortem. La tomba era la casa del defunto, perciò le decoravano e arredavano con la massima ostentazione del rango che avevano, perché la loro personalità non si estingueva neppure con la morte. Gli studiosi, riguardo la creazione e il divenire del mondo, affermano che gli egiziani credevano che gli uomini  fossero nati dalle lacrime del dio creatore e, in particolare, dal dio-Sole.

L'antico mito si basa sull’assonanza della parola uomo (rmt) e lacrima (rmjt) che hanno quasi le stesse consonanti, e la concezione secondo la quale la somiglianza delle parole comporta la somiglianza dei concetti rappresentati da quei termini. Gli dei crearono gli uomini con le loro lacrime, ma questo avvenne solo durante la creazione originaria, invece non accade più quando si creano i singoli uomini. Il dio Khnum si occupa di plasmare l’uomo (il suo ka) con il suo tornio di vasaio, in quanto si credeva che ci fosse una continuità dell’azione creativa del dio.

La prima creazione è unica, ma poi avviene il continuo e perenne plasmarsi degli uomini che si protrae nel tempo e continuerà per l’eternità. Khnum veniva raffigurato davanti al suo tornio da vasaio con accanto due piccole figure umane uguali che assistono al suo lavoro: uno è l’uomo e l’altro è il ka che lo animerà e che gli infonderà la sua personalità. Gli egiziani credevano che l’entità umana contenesse tre elementi spirituali: il ka, il ba e l’akh: e questo concetto è contenuto nei Testi delle Piramidi. Il grafema “ka” viene rappresentato dalla stilizzazione di due braccia sollevate con le mani aperte nel gesto di proteggere o di abbracciare, e il simbolo è posto sopra uno stendardo.

Il termine sembra derivare da una radice che significa “generare” perciò possiede un significato occulto che esprime la realizzazione fisica e spirituale della persona umana, e che rappresenta una sorta di alter ego che è associato al daimon greco oppure al genius latino. Il ka è una qualità impersonale che appare come una forza presente in modo discontinuo a seconda dell’età e della persona. Esso è l'elemento spirituale e invisibile che fa vivere l’uomo e che viene reso anche con il concetto di “forza vitale” poiché la morte era concepita come il momento di passaggio durante il quale la forza vitale lasciava il corpo.

Per conservare la vita dopo la morte l’uomo doveva raggiungere il suo ka nell’aldilà, perciò era necessario un periodo di transizione prima che il rituale funebre potesse preparare la sua rinascita nell’aldilà. Nel frattempo il ka, cioè la sua forza vitale, si riposava. Gli studiosi credono che le statue messe nelle tombe avessero una funzione di appoggio per il ka del defunto. Infatti sono state ritrovati gruppi di statue uguali che dovevano permettere al ka di incorporarsi al loro interno. Altre volte rappresentano il defunto da giovane o da vecchio, affinché il ka potesse entrare nella forma che preferiva.

Alcune volte le statue rappresentavano le mogli, le sorelle, i figli oppure rappresentavano i suoi antenati per significare che vi era una continuità tra le generazioni. Il ka manteneva una sorta di memoria e anche le qualità di cui l’ego era autocoscienze. Il ka era anche un sinonimo di antenato perciò il defunto era accolto nell’aldilà dai suoi antenati cioè dai suoi ka. Nei Testi delle Piramidi i defunti venivano chiamati “i signori del loro ka” poiché raggiungevano la vita eterna superando la morte, e la tomba veniva chiamata “la dimora del ka.”

Invece il “ba” veniva raffigurato come una cicogna con testa e braccia umane per meglio vagare all’interno della tomba. Il ba veniva rappresentato mentre vagava vicino ad uno stagno oppure mentre beve l’acqua che Amonet, la dea del sicomoro, gli versa dall’alto di un albero. Era necessario che il ba potesse muoversi con molta libertà perché questo principio reca degli elementi vitali al corpo del defunto. I sacerdoti recitavano le formule magiche per proteggerlo e per permettergli di uscire e entrare - a suo piacere - nel mondo inferiore. 

Le formule gli permettevano di sfuggire alle trappole dei demoni che cercano di intrappolare le anime. La forma del morto si spostava assieme al suo ba e alla sua ombra perciò si credeva che il ba fosse legato alle apparizioni dei fantasmi che tornavano a vagare sulla terra. In origine si pensava che il ba potesse assumere molte forme perciò le divinità potevano assumere le forme più svariate, infatti il dio-sole, Ra, si credeva che avesse 7 ba, e che il sovrano godesse dello stesso privilegio. 

Si credeva anche che un dio potesse essere nel ba di un’altra divinità, perché il ba aveva un’enorme potenza creatrice. La concezione egiziana metteva il ba in relazione con il cielo vedendolo come il regno dei morti, e sappiamo che la conservazione del corpo era ritenuta essenziale per ascendere al cielo. Sappiamo anche che la tomba e il sarcofago erano interpretati come dei simboli celesti. Il soffitto degli apogei veniva decorato con uno sfondo azzurro punteggiato di stelle che rappresentavano la dea-cielo, Nut, e la dea stessa era raffigurata mentre abbracciava il defunto. 

Nei Testi dei Sarcofagi il ba rappresentava le forze vitali fisiche e psichiche presenti nel defunto, e costituisce uno dei modi con cui il defunto continua a vivere dopo la morte, allo stesso modo del ka e dell’akh. Secondo altri studiosi, il ba è la rappresentazione della capacità di sviluppo dell’individuo perciò il ba è interamente personale e rappresenta il defunto nel suo aspetto particolare a differenza del ka che non è un elemento di origine individuale.

Sembrava infatti che, al momento della spiritualizzazione, dal ka essenziale e collettivo, sostanza primordiale che vive in cielo gli dei ottengono per il sovrano un ka individuale. Dopo la purificazione, il ka si riunisce al corpo, nel castello di Ra. L’essere formato dal corpo e dal suo ka rappresentano l’essere completo che persegue la perfezione, perciò da quel momento, conquista nuovi attributi che lo rendono un abitante del cielo con il nome di ba (anima) e akh (spirito).

L’anima ba è raffigurata come un uccello dotato di testa umana, perciò il ba è il risultato della vita divina e, a volte, non è altro che una forza magica assimilabile al nutrimento. Il ba è una forza divina che si unisce al corpo come il ka, e gli dona la vita divina. Nell’epoca classica pensavano che il ba apportasse al corpo “il soffio di vita” perciò la traduzione di ba è  “soffio” perché quando si diventa ba si può diventare anche “akh” ovvero spirito. L’akh è una componente vitale che, come il ba, non viene mai citata parlando di un vivente. 

Il simbolo che lo rappresenta è l’ibis comata sebbene questa componente non deve essere confusa con una forma semi animale. L’akh è un principio solare, è un’energia divina e cosmica che appartiene alla sfera della creazione. L’akh è il simbolo del cielo e dell’energia creatrice che mantiene e si trasforma per sostenere il creato, perciò è identificato con il dio solare e con le sue manifestazioni di luminosità. La vittoria della vita sulla morte si attua con la “trasfigurazione” che fa nascere una nuova personalità. 

La nuova personalità si mostra sul piano fisico con una rigenerazione di tutte le funzioni del corpo, e la reintegrazione si attua con l’unione a specifiche costellazioni del mondo celeste cioè si compie partecipando alla luminosità degli dei. I defunti diventano i “luminosi” ossia gli “illuminati” perché splendono come le piume multicolori dell’ibis che è il simbolo dell’akh. La tomba diventa il luogo in cui risplendono i defunti perciò è il luogo della trasfigurazione, e l'essere luminoso è lo spirito del morto che sarà dotato del potere magico dell’akh. 

Alcuni dicono che akh significa “resuscitato di nuovo” perché la radice del termine esprime l’azione di “emergere” o “divenire” perciò si crede che akh significhi “l’iniziato” o “l’illuminato.” L’akh ancor prima del ka appare individualizzato perciò questo termine è riferito alle qualità che vengono acquisite, e questo spiega perché si dice che il defunto diventa akh. Il defunto viene incorporato nell’ordine cosmico, e l’essere perfetto prende posto nella barca di Ra e naviga sopra l’universo, con le stelle. 

Egli sale al cielo dove conduce una vita meravigliosa insieme al Signore dell’Orizzonte Orientale ossia con il dio-Sole, Ra. L’elemento sostanziale di questa felicità è il fatto che l'illuminato gode del cibo delizioso offerto dalle divinità. Infatti, nella pianura dei “Campi dei Giunchi” dove risiedono gli dei esiste il “Campo delle Offerte” che viene sempre rifornito di cibi e bevande squisite offerte dai “Reggenti delle Offerte,” dei funzionari celesti che si prendono cura degli dei e dei preferiti di Ra.

Secondo il credo che è alla base dei Testi delle Piramidi, in origine, solo i re e gli dei avevano un akh ma, in seguito, l’akh venne attribuito anche agli uomini comuni. Il sovrano defunto era akh ossia era ”la stella che mai tramonta” e il “cercatore di akh” era quello che raggiungeva la condizione di akh. Questa parola aveva anche il significato di “capacità intellettuale” ovvero di “potere” perché questo principio spirituale era essenziale per la sopravvivenza. 

Come si può vedere, l’akh era associato all’energia che sorge dalle tenebre e al dinamismo del divenire perciò questo simbolo era collegato alla creazione primordiale. L’akh venne identificato con Aton o Atum, il dio supremo che rappresenta il mondo prima e dopo la creazione, perché Atum è somma potenza sia virtuale che manifesta. L’Atum è la forza presente nei cicli di rigenerazione, perciò fu associato al mito di Osiride, il dio che muore e rinasce come akh, e nella figura di Horus che diventa akh dopo il padre Osiride. 

Nei misteri dedicati ad Osiride e durante la festa chiamata Kaherka, i defunti venivano chiamati a presentarsi davanti al Tribunale dell'Oltretomba per essere giudicati. Tutti quelli che avevano seguito i dettami di Osiride venivano assolti divenendo akh, ossia venivano assimilati al dio Osiride assurgendo a nuova vita. I Testi dei Sarcofagi dicono che la conoscenza è un tramite per conquistare l’akh in vita, infatti dicono che anche chi non è nato da una stirpe reale e chi non è ancora defunto può ascendere al cielo tramite la conoscenza.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 18 marzo 2016

L'essere interiore



Il vostro essere interiore
altro non è che il cielo vuoto.
Le nubi vanno e vengono,
i pianeti nascono e scompaiono,
le stelle sorgono per poi morire,
e quel cielo interiore rimane intatto,
identico a se stesso, immacolato, limpido.

Quel cielo interiore è chiamato sakshin, il testimone,
ed è quella la meta della meditazione.
Entra in te, e godi di quel cielo interiore.
Ricorda: tutto ciò che puoi vedere,
non sei tu.

Puoi vedere i tuoi pensieri,
dunque non sei i pensieri;
puoi vedere i tuoi sentimenti,
dunque non sei i tuoi sentimenti;
puoi vedere i tuoi sogni,
i desideri, i ricordi, le immaginazioni, le proiezioni,
dunque non sei nulla di tutto ciò.

Vai avanti, eliminando tutto ciò che sei in grado di vedere.
E un giorno sorgerà un istante incredibile,
l'istante più ricco di significato nella vita di un uomo,
l'istante in cui non resta più nulla da scartare.
Tutto ciò che può essere visto è scomparso
solo il veggente rimane.

Colui che vede è il cielo vuoto.
Conoscerlo rende liberi da ogni timore,
conoscerlo rende ricolmi d'amore,
conoscerlo significa essere Dio,
essere immortali.

(Osho Rajneesh)

martedì 15 marzo 2016

Basta guardarsi



Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli: “Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?” “Gridano perché perdono la calma” rispose uno di loro. “Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?” disse nuovamente il pensatore. “Bene, gridiamo perché desideriamo che l’altra persona ci ascolti” replicò un altro discepolo. E il maestro tornò a domandare:”Allora non è possibile parlargli a voce bassa?”

Varie altre risposte furono date ma nessuna risposta convinse il pensatore. Allora egli esclamò: “Voi sapete perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’un l’altro.

D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini che i loro cuori nemmeno parlano, solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi.” (Mahatma Gandhi)