sabato 19 marzo 2016

La morte in Egitto



“Quello che vediamo dipende principalmente
da quello che stiamo cercando.”
(John Lubbock)

Secondo la tradizione Platone fece un viaggio in Egitto per arricchire la sua formazione e acquisire nozioni di fisiologia, di medicina, di astronomia e forse anche per avere una formazione sapienziale. Ma forse possiamo dubitare che sia venuto in contatto con le dottrine sull’aldilà che erano patrimonio esclusivo della casta sacerdotale da cui dovevano essere certamente esclusi gli stranieri. Perciò sappiamo che Platone non maturò le sue idee sull’anima traendole dalle concezioni degli egiziani, bensì le apprese dal suo maestro Socrate. È a Socrate che dobbiamo la dottrina occidentale dell’anima e la scoperta della dimensione interiore, e la svolta certamente avvenne con il movimento orfico e con le riflessioni delle scuole pitagoriche.

Le idee degli antichi egiziani riguardo all’anima erano molto complesse, ma è sicuro che essi consideravano la morte come un evento che faceva parte dei normali cicli della natura, perché il rinnovarsi delle inondazioni del Nilo gli mostravano un perenne rinascere. Per gli egiziani, il morire faceva parte del vivere e così vanno pensate le formule e i riti che si recitavano sul defunto per salvarlo dal mondo inferiore e aiutarlo a transitare verso la sopravvivenza. 

Alcuni studiosi dicono che la dottrina egiziana era una dottrina stellare, perché il mondo dei morti era il mondo delle stelle. Il mondo celeste veniva chiamato Dat o Duat, e il termine veniva rappresentato da una stella racchiusa in un cerchio, perché la dimensione celeste veniva immaginata sopra la terra e, in parte, anche sotto la terra. Essi credevano nell’esistenza di un cielo superiore e di un cielo superiore. Le due dimensioni venivano rappresentate dal cielo stellato, perciò si credeva che le anime dei morti si rifugiassero nella duplice volta celeste per confondersi con le stelle e avere la vita eterna.

In questa teoria vediamo una distinzione tra la parte materiale dell’uomo che veniva abbandonata sulla terra, e la parte spirituale che sfuggiva dalla materia per godere insieme alle stelle, della vita eterna. A queste idee si sostituì una dottrina solare che, in parte, si legge anche nei Testi delle Piramidi che è un formulario di rituali funebri che erano dedicati esclusivamente ai sovrani. Secondo alcuni, la dottrina stellare e quella solare, non erano in contrasto ma avevano lo stesso scopo, infatti una dottrina trattava il destino degli uomini e l’altra parlava del destino del sovrani.

Per questo motivo, i sacerdoti del dio-Sole ad Eliopoli avevano conservato buona parte della concezione solare e, in particolare, la concezione di Duat perché il sole e le stelle si muovono nel medesimo spazio. In origine si credeva che il sole, dopo aver percorso il cielo superiore durante il giorno, scendeva nel mondo sotterraneo per scaldarlo durante la notte. I teologi di Eliopoli non trovarono altro modo per giustificare il mondo sotterraneo, infatti i Testi delle Piramidi fanno riferimento solo alla Duat superiore.

Queste idee fecero credere a Erodono che l’egiziano avesse una concezione dualistica dell’uomo, e che l’elemento fisico e quello spirituale fossero contrapposti. Ma, la loro idea sulla natura dell’uomo non recava alcuna contrapposizione tra la parte materiale e quella immateriale. L’uomo, per gli antichi egiziani, era un’unità monadica arricchita da tutte le qualità e, in ogni fase della sua esistenza, viveva e agiva sempre come un essere integrato, pieno e completo.

Egli si esprimeva in una pluralità di modi di essere e di esistere, e la pienezza del suo essere si conservava sia durante la vita che nell’esistenza post mortem. La tomba era la casa del defunto, perciò le decoravano e arredavano con la massima ostentazione del rango che avevano, perché la loro personalità non si estingueva neppure con la morte. Gli studiosi, riguardo la creazione e il divenire del mondo, affermano che gli egiziani credevano che gli uomini  fossero nati dalle lacrime del dio creatore e, in particolare, dal dio-Sole.

L'antico mito si basa sull’assonanza della parola uomo (rmt) e lacrima (rmjt) che hanno quasi le stesse consonanti, e la concezione secondo la quale la somiglianza delle parole comporta la somiglianza dei concetti rappresentati da quei termini. Gli dei crearono gli uomini con le loro lacrime, ma questo avvenne solo durante la creazione originaria, invece non accade più quando si creano i singoli uomini. Il dio Khnum si occupa di plasmare l’uomo (il suo ka) con il suo tornio di vasaio, in quanto si credeva che ci fosse una continuità dell’azione creativa del dio.

La prima creazione è unica, ma poi avviene il continuo e perenne plasmarsi degli uomini che si protrae nel tempo e continuerà per l’eternità. Khnum veniva raffigurato davanti al suo tornio da vasaio con accanto due piccole figure umane uguali che assistono al suo lavoro: uno è l’uomo e l’altro è il ka che lo animerà e che gli infonderà la sua personalità. Gli egiziani credevano che l’entità umana contenesse tre elementi spirituali: il ka, il ba e l’akh: e questo concetto è contenuto nei Testi delle Piramidi. Il grafema “ka” viene rappresentato dalla stilizzazione di due braccia sollevate con le mani aperte nel gesto di proteggere o di abbracciare, e il simbolo è posto sopra uno stendardo.

Il termine sembra derivare da una radice che significa “generare” perciò possiede un significato occulto che esprime la realizzazione fisica e spirituale della persona umana, e che rappresenta una sorta di alter ego che è associato al daimon greco oppure al genius latino. Il ka è una qualità impersonale che appare come una forza presente in modo discontinuo a seconda dell’età e della persona. Esso è l'elemento spirituale e invisibile che fa vivere l’uomo e che viene reso anche con il concetto di “forza vitale” poiché la morte era concepita come il momento di passaggio durante il quale la forza vitale lasciava il corpo.

Per conservare la vita dopo la morte l’uomo doveva raggiungere il suo ka nell’aldilà, perciò era necessario un periodo di transizione prima che il rituale funebre potesse preparare la sua rinascita nell’aldilà. Nel frattempo il ka, cioè la sua forza vitale, si riposava. Gli studiosi credono che le statue messe nelle tombe avessero una funzione di appoggio per il ka del defunto. Infatti sono state ritrovati gruppi di statue uguali che dovevano permettere al ka di incorporarsi al loro interno. Altre volte rappresentano il defunto da giovane o da vecchio, affinché il ka potesse entrare nella forma che preferiva.

Alcune volte le statue rappresentavano le mogli, le sorelle, i figli oppure rappresentavano i suoi antenati per significare che vi era una continuità tra le generazioni. Il ka manteneva una sorta di memoria e anche le qualità di cui l’ego era autocoscienze. Il ka era anche un sinonimo di antenato perciò il defunto era accolto nell’aldilà dai suoi antenati cioè dai suoi ka. Nei Testi delle Piramidi i defunti venivano chiamati “i signori del loro ka” poiché raggiungevano la vita eterna superando la morte, e la tomba veniva chiamata “la dimora del ka.”

Invece il “ba” veniva raffigurato come una cicogna con testa e braccia umane per meglio vagare all’interno della tomba. Il ba veniva rappresentato mentre vagava vicino ad uno stagno oppure mentre beve l’acqua che Amonet, la dea del sicomoro, gli versa dall’alto di un albero. Era necessario che il ba potesse muoversi con molta libertà perché questo principio reca degli elementi vitali al corpo del defunto. I sacerdoti recitavano le formule magiche per proteggerlo e per permettergli di uscire e entrare - a suo piacere - nel mondo inferiore. 

Le formule gli permettevano di sfuggire alle trappole dei demoni che cercano di intrappolare le anime. La forma del morto si spostava assieme al suo ba e alla sua ombra perciò si credeva che il ba fosse legato alle apparizioni dei fantasmi che tornavano a vagare sulla terra. In origine si pensava che il ba potesse assumere molte forme perciò le divinità potevano assumere le forme più svariate, infatti il dio-sole, Ra, si credeva che avesse 7 ba, e che il sovrano godesse dello stesso privilegio. 

Si credeva anche che un dio potesse essere nel ba di un’altra divinità, perché il ba aveva un’enorme potenza creatrice. La concezione egiziana metteva il ba in relazione con il cielo vedendolo come il regno dei morti, e sappiamo che la conservazione del corpo era ritenuta essenziale per ascendere al cielo. Sappiamo anche che la tomba e il sarcofago erano interpretati come dei simboli celesti. Il soffitto degli apogei veniva decorato con uno sfondo azzurro punteggiato di stelle che rappresentavano la dea-cielo, Nut, e la dea stessa era raffigurata mentre abbracciava il defunto. 

Nei Testi dei Sarcofagi il ba rappresentava le forze vitali fisiche e psichiche presenti nel defunto, e costituisce uno dei modi con cui il defunto continua a vivere dopo la morte, allo stesso modo del ka e dell’akh. Secondo altri studiosi, il ba è la rappresentazione della capacità di sviluppo dell’individuo perciò il ba è interamente personale e rappresenta il defunto nel suo aspetto particolare a differenza del ka che non è un elemento di origine individuale.

Sembrava infatti che, al momento della spiritualizzazione, dal ka essenziale e collettivo, sostanza primordiale che vive in cielo gli dei ottengono per il sovrano un ka individuale. Dopo la purificazione, il ka si riunisce al corpo, nel castello di Ra. L’essere formato dal corpo e dal suo ka rappresentano l’essere completo che persegue la perfezione, perciò da quel momento, conquista nuovi attributi che lo rendono un abitante del cielo con il nome di ba (anima) e akh (spirito).

L’anima ba è raffigurata come un uccello dotato di testa umana, perciò il ba è il risultato della vita divina e, a volte, non è altro che una forza magica assimilabile al nutrimento. Il ba è una forza divina che si unisce al corpo come il ka, e gli dona la vita divina. Nell’epoca classica pensavano che il ba apportasse al corpo “il soffio di vita” perciò la traduzione di ba è  “soffio” perché quando si diventa ba si può diventare anche “akh” ovvero spirito. L’akh è una componente vitale che, come il ba, non viene mai citata parlando di un vivente. 

Il simbolo che lo rappresenta è l’ibis comata sebbene questa componente non deve essere confusa con una forma semi animale. L’akh è un principio solare, è un’energia divina e cosmica che appartiene alla sfera della creazione. L’akh è il simbolo del cielo e dell’energia creatrice che mantiene e si trasforma per sostenere il creato, perciò è identificato con il dio solare e con le sue manifestazioni di luminosità. La vittoria della vita sulla morte si attua con la “trasfigurazione” che fa nascere una nuova personalità. 

La nuova personalità si mostra sul piano fisico con una rigenerazione di tutte le funzioni del corpo, e la reintegrazione si attua con l’unione a specifiche costellazioni del mondo celeste cioè si compie partecipando alla luminosità degli dei. I defunti diventano i “luminosi” ossia gli “illuminati” perché splendono come le piume multicolori dell’ibis che è il simbolo dell’akh. La tomba diventa il luogo in cui risplendono i defunti perciò è il luogo della trasfigurazione, e l'essere luminoso è lo spirito del morto che sarà dotato del potere magico dell’akh. 

Alcuni dicono che akh significa “resuscitato di nuovo” perché la radice del termine esprime l’azione di “emergere” o “divenire” perciò si crede che akh significhi “l’iniziato” o “l’illuminato.” L’akh ancor prima del ka appare individualizzato perciò questo termine è riferito alle qualità che vengono acquisite, e questo spiega perché si dice che il defunto diventa akh. Il defunto viene incorporato nell’ordine cosmico, e l’essere perfetto prende posto nella barca di Ra e naviga sopra l’universo, con le stelle. 

Egli sale al cielo dove conduce una vita meravigliosa insieme al Signore dell’Orizzonte Orientale ossia con il dio-Sole, Ra. L’elemento sostanziale di questa felicità è il fatto che l'illuminato gode del cibo delizioso offerto dalle divinità. Infatti, nella pianura dei “Campi dei Giunchi” dove risiedono gli dei esiste il “Campo delle Offerte” che viene sempre rifornito di cibi e bevande squisite offerte dai “Reggenti delle Offerte,” dei funzionari celesti che si prendono cura degli dei e dei preferiti di Ra.

Secondo il credo che è alla base dei Testi delle Piramidi, in origine, solo i re e gli dei avevano un akh ma, in seguito, l’akh venne attribuito anche agli uomini comuni. Il sovrano defunto era akh ossia era ”la stella che mai tramonta” e il “cercatore di akh” era quello che raggiungeva la condizione di akh. Questa parola aveva anche il significato di “capacità intellettuale” ovvero di “potere” perché questo principio spirituale era essenziale per la sopravvivenza. 

Come si può vedere, l’akh era associato all’energia che sorge dalle tenebre e al dinamismo del divenire perciò questo simbolo era collegato alla creazione primordiale. L’akh venne identificato con Aton o Atum, il dio supremo che rappresenta il mondo prima e dopo la creazione, perché Atum è somma potenza sia virtuale che manifesta. L’Atum è la forza presente nei cicli di rigenerazione, perciò fu associato al mito di Osiride, il dio che muore e rinasce come akh, e nella figura di Horus che diventa akh dopo il padre Osiride. 

Nei misteri dedicati ad Osiride e durante la festa chiamata Kaherka, i defunti venivano chiamati a presentarsi davanti al Tribunale dell'Oltretomba per essere giudicati. Tutti quelli che avevano seguito i dettami di Osiride venivano assolti divenendo akh, ossia venivano assimilati al dio Osiride assurgendo a nuova vita. I Testi dei Sarcofagi dicono che la conoscenza è un tramite per conquistare l’akh in vita, infatti dicono che anche chi non è nato da una stirpe reale e chi non è ancora defunto può ascendere al cielo tramite la conoscenza.

Buona erranza
Sharatan

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