martedì 27 agosto 2013

Il mantra della scimmia



“La mente di un buddha o di un essere santo
non può venire trapiantata in voi.
Pace, felicità e appagamento
devono provenire dalla vostra mente.”
(Lama Zopa Rinpoche)

Un povero contadino andò da un grande saggio e gli chiese: “Maestro, dammi qualcosa che renda la mia vita meravigliosa. Insegnami una pratica che mi faccia felice oppure insegnami un mantra. Ripeterò tutto ciò che mi dirai al meglio e osserverò ogni precetto che mi indicherai.” Il maestro gli diede una pratica meditativa e un mantra da cantare, ma mentre il contadino stava per andarsene tutto felice, il maestro lo richiamò e gli disse:

“Aspetta! Non andare via, perché ti devo avvisare. Quando ti siederai per meditare e prima di cantare il mantra che ti ho insegnato, mi raccomando di non pensare alle scimmie. Il mantra è molto efficace, ma se penserai alle scimmie perderà tutto il suo potere. Non pensare mai alle scimmie, altrimenti tutto quello che farai sarà inutile.”

Il contadino gli rispose: “Non vedo alcun problema. In vita mia non ho mai pensato alle scimmie, e non vedo ragione per iniziare a pensarci da oggi. Possiedo un campo che è coltivato a riso e grano, perciò le scimmie non sono mai venute a rubarmi nulla. Sono animali con cui non ho mai avuto problemi, perciò non credo che mi sarà difficile ignorarle come ho sempre fatto.”

Detto questo il contadino se ne tornò a casa e volle iniziare a meditare prima di cantare il mantra. Ma, non aveva neppure iniziato la sessione meditativa che gli venne in mente l’immagine di una scimmia seduta sotto un albero. Il contadino pensò: “Forse una scimmia sta gironzolando intorno a casa e io risento del suo influsso. Le sue vibrazioni energetiche mi risuonano dentro, e la mia mente concentrata le percepisce. Non è la mia mente che è agitata, ma è l’influsso della scimmia che è vicina che mi disturba.

Forse vuole che io mi interessi a lei, perciò conviene che io rimandi la pratica a questa notte. Di notte le scimmie dormono, perciò non potranno disturbarmi. Vorrà dire che aspetterò che giunga la notte, e poi inizierò a meditare e cantare il mantra.” Dopo aver deciso di fare in quel modo, aspettò la notte poi si alzò dal letto per praticare e cantare il mantra della felicità.

Ma, appena fu nella posizione di meditazione, dalla sua mente uscì l’immagine di una scimmia che saltava da un ramo ad un altro. E non ci fu verso di praticare, perché l’immagine della scimmia era continuamente presente, sia che provasse a meditare o cantare il mantra. E questo avvenne di giorno e di notte. Ogni volta che si metteva seduto, subito veniva la scimmia e il fenomeno non si limitò a quel giorno, infatti diventò un’ossessione onnipresente.

In ogni momento della giornata era perseguitato dalla scimmia, e l’ossessione entrò a far parte anche del sonno. La scimmia era la prima cosa che pensava, fin dal momento del suo risveglio. Poi la scimmia entrò anche nei suoi sogni trasformandoli in incubi notturni pieni di scimmie. Dopo aver passato tre giorni spaventosi privi di pace e di sonno, il povero contadino era giunto allo stremo delle forze e ai limiti della sopportazione, perché la scimmia gli impediva di vivere, dormire, lavorare e persino di mangiare.

Chiaramente non riusciva a fare nessuna meditazione o recitazione di mantra, perché non riusciva neppure a vivere. Allora non gli restò altra soluzione che ritornare disperato dal saggio per implorarlo: “Maestro, liberami da questo incubo, ti prego liberami da questa pratica della felicità. Sto diventando pazzo, non faccio più nulla e non riesco neppure a vivere normalmente come facevo prima. Ti scongiuro, liberami dalla scimmia e dal mantra che attrae le scimmie.”

Questa storia indù ci aiuta a comprendere la natura della mente. La mente inconsapevole vede i problemi nelle cose esterne, ma la mente della persona consapevole vede ogni causa di felicità e di infelicità solo al suo interno. Chi è diventato almeno in parte, un essere consapevole non si occupa delle cose esterne, ma comprende che il problema principale risiede all’interno della sua mente e non risiede nella mente degli altri.

Chi è consapevole non si occupa di ciò che avviene dall’esterno, ma comprende che la felicità nasce dalla cura che pone nella coltivazione della sua mente. Se viene eliminato ogni valutazione interiore riguardo a ciò che viene ritenuto giusto o sbagliato negli altri, se si abbandona ogni giudizio riguardo ai comportamenti altrui si conquista l’armonia interiore.

La persona consapevole non impiega il suo tempo a giudicare gli errori e le conquiste altrui, ma impiega il tempo a curare la sua mente, perciò scopre il mantra che offre la pace interiore. La prima cosa è quella di capire ciò che turba la propria mente, e questo va fatto sia con la meditazione che nella pratica del vivere.

Nell’induismo si crede che l’universo possiede 5 dimensioni che sono sperimentate con i 5 sensi, infatti l’olfatto è collegato con l’elemento della terra, il gusto con l’elemento dell’acqua, il tatto con l’elemento dell’aria, il suono con l’elemento dell’etere, e le forme con l’elemento del fuoco (fuoco e luce sono la medesima cosa).

Gli induisti credono che nell’universo esistono 5 dimensioni, 5 sensi e 5 elementi, perciò essi sono presenti in ciascuno di noi in modo sottile e impercettibile. Anche il corpo è composto da 5 componenti, perciò anche la mente possiede 5 elementi che si manifestano di volta in volta, e che prendono il sopravvento cercando di dominare la nostra dimensione interiore.

I 5 elementi governano la situazione interiore, ma nessuno di loro governa in modo esclusivo, infatti ognuno di loro regna nella mente e da origine a sensazioni e stati d’animo diversi. Tutti gli stati d’animo che sperimentiamo sono causati dall’insorgere di sensazioni che sono collegate ai 5 elementi.

Il senso di solidità e pesantezza sono collegati all’elemento terra, la rabbia, la tensione e l’agitazione febbrile sono collegati all’elemento del fuoco, il movimento, il desiderio di fuga sono collegati all’elemento dell’aria. La forza, l’unità, il senso di galleggiamento sono collegati all’elemento dell’acqua mentre il timore, l’amore e il disagio oppure il benessere totale sono collegati all’etere.

Quando uno degli elementi regna incontrastato origina delle sensazioni, dei sentimenti, delle emozioni e delle azioni coerenti con l’elemento che prevale. Nel momento in cui prevale e domina un determinato elemento noi veniamo soggiogati da qualcosa che sembra sorgere dalla testa, perciò veniamo trascinati dal manifestarsi di questi fenomeni.

Noi non siamo nessuno di questi elementi, perciò nessuno di loro può restare in noi per sempre. Se impariamo ad osservare quello che avviene vediamo che gli elementi restano solo per un certo tempo, ma se ignoriamo queste cose permettiamo che gli elementi permangano per un tempo molto più lungo.

Tutto questo avviene semplicemente perché non abbiamo la capacità di riconoscere e di lasciare andare le sensazioni: questa è la condizione della prigionia della mente. La verità è che nulla ci lega, perché tutto in natura si muove e si trasforma se non fossimo noi che lo tratteniamo.

Il paradosso della mente è che essa resta imprigionata da tutto ciò che non sa lasciare andare. Gli elementi desiderano andare e fluire, ma noi li tratteniamo perché cerchiamo di controllarli. La libertà consiste nella capacità di vedere la natura della mente, perciò la felicità consiste nella capacità di essere testimoni di stati mentali provvisori e transitori.

Non siamo in grado di comprendere che gli eventi sono transitori e che noi siamo il puro spazio libero in cui tutto quello che esiste si deve manifestare. Se riuscissimo a vedere che il corpo e la mente sono fatti di terra, di acqua, di aria, di fuoco e di etere riusciremmo a separare tutto questo e sapremmo creare un senso di appartenenza e di totalità.

Se riuscissimo a rilassare la mente potremmo trovare il modo di sfogare l’energia che fluisce e riusciremmo ad esprimere la pace e la felicità senza aver bisogno di cantare mantra, perciò diverremmo degli esseri perfettamente pacifici e tranquilli.

Buona erranza
Sharatan

domenica 25 agosto 2013

Manifestare l'amore



“Ma chi è questo amore, e da dove è venuto?
Chi sei e cos’è questa strana forza che indebolisce
e ravviva al tempo stesso il mio cuore?
Chi sono io e cos’è ciò che chiamo me stesso?
(Gibran Kahlil Gibran)

“Non sapete come manifestarvi reciprocamente amore, vivete su un pianeta dove l’amore altruista è un’idea sconosciuta, dove l’amore incondizionato è praticato molto di rado e dove l’amore illimitato è considerato “sbagliato.” Gli esseri umani hanno creato uno stile di vita in cui sentirsi una cosa sola con tutti gli altri, tutto il tempo, può mettere una persona nei guai. Potremmo addirittura definire i tre assassini dell’amore: il bisogno, l’aspettativa e la gelosia.

Non si può amare veramente un’altra persona se una di queste tre cose è presente. E certamente non è possibile amare un Dio che indulge in tali sentimenti. Eppure questo è proprio il Dio che voi vi immaginate. Quindi, se il vostro stesso Dio può essere pieno di pretese, di aspettative e gelosie, certamente è giusto che lo siate anche voi. Questo è l’ambiente in cui cercate di creare e sostenere il vostro amore gli uni per gli altri.

Vi è stato insegnato che Dio è geloso, ha aspettative enormi ed è così bisognoso che se il Suo amore per voi non è corrisposto, vi punisce con la dannazione eterna. Tali insegnamenti ormai fanno parte della vostra storia culturale. Sono profondamente radicati nella vostra mente e sradicarli è un’impresa estremamente difficile. Eppure, finché non lo farete, non potrete mai sperare sul serio di amarvi l’un l’altro, o di amare Me.

Per risolvere un problema, la prima cosa da fare è comprenderlo. Perciò, esaminiamo questo problema specifico considerando un elemento alla volta. Il bisogno è il più potente assassino dell’amore mai esistito. Eppure la maggior parte di voi non conosce la differenza tra il bisogno e l’amore, e li confonde. “Bisogno” è quando immaginate che esista qualcosa al di fuori di voi che non avete e che vi è necessaria per poter essere felici, poiché credete di avere bisogno di quella cosa farete di tutto per averla.

Molte persone cercano di acquistare ciò di cui pensano di avere bisogno. Danno ciò che possiedono in cambio di ciò che vogliono avere: e questo processo lo chiamano amore. È importante comprendere come siete arrivati ad avere queste idea dell’amore. Voi immaginate che questo sia il modo giusto di mostrare il vostro amore gli uni per gli altri, perché vi è stato insegnato che è così che Dio vi ama. Dio avrebbe fatto con voi un patto: se Mi amate, vi lascerò entrare in paradiso, altrimenti niente da fare.

Qualcuno vi ha detto che Dio è fatto così, e anche voi siete diventati così. Così, nella vostra mitologia umana, avete creato una leggenda che vivete ogni giorno: l’amore è condizionato. Eppure questa non è la verità, ma un mito. Fa parte della vostra storia culturale, ma non della realtà di Dio. Dio non ha bisogno di nulla, perciò non chiede nulla a voi. Come può un Dio avere bisogno di qualcosa? Dio è il Tutto-in-Tutto, il Motore Immobile, la Fonte di ogni cosa.

Allora ascolta con attenzione, perché ora arriva la parte più chiara. Voi siete fatti a immagine e somiglianza di Dio. Lo sapete già, perché è ciò che vi hanno insegnato. Così voi, essendo fatti a Mia immagine e somiglianza, avete pensato che sperimentare desideri di questo tipo sia normale e avete creato le vostre attrazioni fatali. Ma ora io vi dico che Io non ho bisogni. Ciò che ho dentro di Me è tutto ciò che mi serve per esprimere ciò che sono al di fuori di Me. Questa è la vera natura di Dio, del Dio di cui voi siete stati creati a immagine e somiglianza.

Comprendete la meraviglia di questo fatto? Riuscite a vederne le implicazioni? Anche voi non avete bisogni. Non c’è nulla che vi sia necessario per poter essere completamente felici. La felicità più profonda e perfetta si trova dentro di voi e, una volta che l’avrete trovata, nessun fattore interno potrà uguagliarla né distruggerla. Cerchi di sperimentare la parte più grandiosa di te al di fuori del tuo Sé. Cerchi di sperimentare Chi Sei attraverso gli altri, invece di permettere agli altri di sperimentare Chi Sono loro attraverso di te.

Quasi tutti gli esseri umani lo fanno. Ma se tu raggiungi il livello di Maestro permetti agli altri di sperimentare Chi Sono attraverso di te. Quello è il modo di riconoscere un Maestro, quando ne incontri uno: il Maestro ti vede. Il Maestro ti restituisce a te stesso, perché tu ti ri-conosce, cioè ti conosce di nuovo. E così tu puoi ri-conoscere il tuo Sé come Chi Sei Realmente. Quindi passi questa conoscenza ad altri. Sei diventato a tua volta un Maestro e non cerchi più di conoscere il tuo Sé attraverso gli altri, ma scegli di fare in modo che gli altri possano conoscersi attraverso di te.

Perciò, il vero Maestro non è quello con il maggior numero di studenti, ma quello che crea il maggior numero di Maestri. Entra in te. Per trovare quello che è dentro di te, devi entrare in te. Perché se non entri, esci. Anche tu sei stato rivelato a Te Stesso. E quella rivelazione si trova sepolta profondamente dentro la tua anima. Nessun sentimento proveniente da uno stimolo o da una fonte esteriore è lontanamente simile alla totale beatitudine della comunione interiore.

Te lo dico di nuovo: è dentro di te che è possibile trovare la beatitudine. È li che ricorderai Chi sei e sperimenterai di nuovo che non hai bisogno di nulla di esterno a Te Stesso. Lì vedrai la tua immagine a somiglianza di Me. E quel giorno il tuo bisogno di qualcun altro finirà e sarai finalmente in grado di amare veramente e sinceramente. […]

Anche se riesci a eliminare il bisogno dei tuoi rapporti con gli altri e con Me, forse dovrai lottare ancora con l’aspettativa. Questo è uno stato in cui tu hai la netta convinzione che l’altra persona debba comportarsi in un certo modo, confermando di essere come tu l’avevi immaginata, o come pensi che dovrebbe essere. Come il bisogno, l’aspettativa è letale, perché riduce la libertà, e la libertà è l’essenza dell’amore.

Quando ami qualcuno, devi garantirgli una libertà totale di essere quello che è. Questo è il maggior regalo che tu possa fargli, e l’amore offre sempre i regali più belli. È il dono che ho dato a voi, eppure voi non immaginate di averlo ricevuto, perché non riuscite a immaginare un amore così grande. Perciò avete deciso che Io vi avevo dato solo la libertà di fare quello che volevo che faceste. Sì, le vostre religioni dicono che vi ho dato la libertà di fare qualunque cosa, di scegliere ciò che desiderate.

Ma chiedo di nuovo : se ogni volta che fate una scelta “sbagliata” rischiate di essere torturati e dannati in eterno da Dio, questa è vera libertà? No. È solo capacità. Siete liberi di fare qualunque scelta vogliate, ma non siete liberi di farla. Almeno, se pensate al risultato di quella scelta. E naturalmente ci pensate. Perciò questa è stata la vostra costruzione: per garantirvi la ricompensa eterna in paradiso, Io mi aspetto in cambio che facciate le cose a mio modo. E questo per voi è l’amore di Dio.

Tra di voi usate lo stesso sistema di aspettative e lo chiamate amore. Ma non si tratta di amore, in nessuno dei due casi, perché l’amore non si aspetta nulla, eccetto ciò che viene dato liberamente, e la libertà non sa nulla delle aspettative. Quando non esigete più che una persona sia come voi immaginate che debba essere, siete in grado di accantonare le aspettative e di amarla esattamente così com’è, per ciò che è. Ma questo può accadere soltanto se amate voi stessi così come siete. E questo, a sua volta, può accadere solo se amate Me così come sono.

Certamente. È possibile ricevere l’amore di un altro soltanto nel modo in cui date il vostro. Lui o lei può amarvi a modo suo finché gli pare, ma voi potete ricevere il suo amore soltanto a modo vostro. Non potete sperimentare ciò che non permettete agli altri di sperimentare. E questo ci porta all’ultimo punto in esame: la gelosia. Per la vostra decisione di amare Dio gelosamente, avete creato il mito di un Dio che ama con gelosia. Avete cercato con tutte le vostre forze di cooptare il mio amore, di esserne i soli proprietari.

Avete avanzato diritti di proprietà su di Me, dichiarando che io amo voi, e soltanto voi. Voi siete il popolo eletto, la nazione sotto l’egida di Dio, l’unica vera Chiesa! Voi siete tutti molto gelosi di questa prerogativa che vi siete attribuiti da soli. Se qualcuno osa sostenere che Dio ama tutti i popoli allo stesso modo, accetta tutte le fedi, si riconosce in ogni nazione, lo considerate blasfemo. Secondo voi, dire che Dio può amare in modo diverso da quello in cui voi avete detto che vi ama, è una bestemmia.

Un amore dominato dalla gelosia non è affatto il mio modo di amare, ma è così che voi avete concepito il Mio amore, perché è in questo modo che Mi amate. E questo è il modo in cui vi amate anche tra di voi, ed è un modo che vi sta uccidendo. Sto parlando in senso letterale, perché sono secoli che vi uccidete a causa della gelosia. Se amate un’altra persona, le dite che deve amare voi e soltanto voi.

Se ama qualcun altro diventate gelosi. E non finisce qui, perché non siete gelosi soltanto delle persone, ma anche del lavoro, degli hobby, dei bambini, di qualunque cosa in grado di allontanare da voi l’attenzione della persona amata. Alcuni sono gelosi anche del cane o di una partita a golf. La gelosia ha molte facce, ma nessuna è bella.

Liberati dall’idea che la felicità dipenda da una cosa qualsiasi al di fuori date, e ti sarai liberato dalla gelosia. Rinuncia a pensare che l’amore sia ciò che ricevi in cambio di ciò che dai, e ti sarai liberato dalla gelosia. Accantona le tue pretese sul tempo, sulle risorse o sull’amore delle altre persone, e ti sarai liberato dalla gelosia.

Vivi la tua vita puntando su un nuovo obiettivo. Comprendi che lo scopo dell’esistenza non ha nulla a che vedere con ciò che ricevi, e tutto a che vedere con quello che dai. Questo vale anche per i rapporti con gli altri. Lo scopo della vita è quello di creare te stesso, nella maggiore versione della più fulgida visione che tu abbia mai avuto su Chi sei. È quello di annunciare e divenire, esprimere e realizzare, sperimentare e conoscere il tuo vero Sé. Per fare tutto ciò non hai bisogno assolutamente di nulla dagli altri. Quindi puoi amarli senza esigere nulla da loro.”

(Neale Donald Walsch - Amicizia con Dio: un dialogo fuori dal comune – Sperling & Kupfer, 2002)

giovedì 22 agosto 2013

In mondi diversi



"Non tutti gli esseri umani vedono il mondo allo stesso modo. Ciascuno vive nella sua piccola sfera limitata: alcuni dimorano in un regno bellissimo fatto di poesia e di musica. Altri in una regione grossolana nella quale predominano il richiamo dei sensi e i desideri materiali. Nel mondo di una persona possono regnare la pace e l'armonia, nel mondo di un'altra, la discordia e la guerra.

Tuttavia, quali che siano le circostanze, ogni uomo vive in due mondi: uno interiore e l'altro esteriore. il mondo esteriore è quello in cui agite e reagite. Il mondo interiore è quello che dà origine alla felicità o all'infelicità, all'armonia e alla disarmonia, che manifestate nel mondo esteriore. La mano di Colui che ha creato questi mondi li ha sintonizzati affinché si armonizzassero reciprocamente.

L'armonia è innata in loro. Se appaiono disarmonici, la colpa è di chi fa un cattivo uso delle potenzialità di queste creazioni divine. In uno dei suoi libri, Mark Twain racconta la storia di due turisti che si alzano dal letto e, dopo essersi avvolti nelle coperte, si precipitarono a vedere il sole che sorgeva sulle Alpi. Ma il loro orologio mentale era capovolto.

Mentre contemplavano deliziati il magnifico spettacolo della luce e delle nuvole colorate, costernati si accorsero che il sole tramontava invece di sorgere nel cielo! Stanchi per il viaggio, avevano dormito tutto il giorno. Gli esseri umani sono convinti che le proprie percezioni siano 'fatti reali,'fin quando le prove non dimostrano il contrario.

Chi può persuaderli, nella loro mancanza di obiettività, che l'universo intero si muove in un eterno ritmo cosmico e che tutte le anomalie sono interpretazioni errate dovute soltanto a una visione limitata o distorta delle cose? Chi può udire, oda; chi può vedere, veda; chi ha cuore ricettivo, percepisca l'armonia divina che pervade la creazione intera.

Sono molti i filosofi e i pensatori occidentali che, giudicando il mondo solo in base alla percezione dei sensi, vedono la natura come un insieme di conflitti e di disarmonie. Nel temporale, scorgono una storia di violenza; nel terremoto, un racconto di sventure che la terra deve sopportare.

Secondo il loro modo di pensare, la lotta intrapresa dalla natura intera per procurarsi il cibo, appare come una sgradevole nota dissonante nel canto del Creatore. "Come possiamo parlare di armonia - si domandano questi pensatori - quando la morte delle piante rappresenta la vita degli animali, e il sangue e le ossa degli animali rappresentano il cibo degli uomini?"

La natura stessa è costretta a lottare per il predominio e per la sopravvivenza: una specie combatte contro l'altra; una razza si oppone all'altra; una nazione attacca l'altra. Come possiamo parlare di armonia? Ad un orecchio inesperto, alcune composizioni musicali possono sembrare suoni confusi. Ad un occhio impreparato, un quadro famoso può sembrare un insieme di stravaganti pennellate del pittore.

La mente non è in sintonia con l'amore di Dio, non comprende il significato delle anomalie presenti nella sua creazione. Persino Nietzsche, nonostante le sue geniali intuizioni, non è riuscito a scoprire l'armonia interiore che costituisce la vera essenza di tutte le manifestazioni. C'è dunque da meravigliarsi se menti meno perspicaci non comprendono questa verità? Per penetrare il vero significato della creazione è necessario ricorrere all'intuizione yoga."

(Paramahansa Yogananda - Verso la realizzazione del Sé - Astrolabio)

sabato 17 agosto 2013

La scala di Giacobbe



“Pranayama significa controllare l’energia nel corpo
e dirigerla verso l’alto attraverso la spina dorsale,
fino al cervello e al Centro Cristico, tra le sopracciglia.
Solo questo è il sentiero del risveglio.”
(Paramhansa Yogananda)

Un mito è una porta verso livelli di comprensione amplificata e il mito biblico di Giacobbe è uno dei più ricchi e complessi. Giacobbe è divenuto l’ingannatore che ha strappato al padre la benedizione destinata a suo fratello, e quando Esaù sa dell'inganno decide di vendicarsi e di ucciderlo. Giacobbe è avvertito dalla madre che lo manda a rifugiarsi in casa di suo zio, Labano, che vive a Carran. Così Giacobbe fugge da Betsabea e, andando verso oriente, cerca un rifugio in terra straniera.

Questo mito, secondo i cabalisti, esprime la perdita del sé espressa dall'esilio e dalla cacciata dalla terra natale, perciò quando Giacobbe va verso oriente espresso dal termine kedma, si allude all'oriente che significa sempre una caduta spirituale. Andare ad Oriente significa venire estraniati dal proprio ambiente naturale, infatti Giacobbe fugge perché si è isolato a causa delle sue menzogne.

Durante il viaggio giunse in un luogo ed era giunta la notte, perciò prese una pietra come guanciale, e cadde nel sonno. Nel sonno fece un sogno, in cui c’era una scala che poggiava sulla terra e giungeva al cielo, e sulla scala c'erano angeli che salivano e scendevano. Il Signore gli stava davanti e gli disse che l'avrebbe protetto e l'avrebbe aiutato a ritornare nella sua terra. Giacobbe si svegliò spaventato per la potenza del luogo e promise che quando fosse tornato, vi avrebbe eretto un tempio e lo chiamò Betel, cioé la Casa di Dio.

Nella Bibbia la condizione di Giacobbe viene descritta con "levado" che è tradotto con “restò solo” ma il termine esprime l'isolamento e la solitudine di chi ha smarrito la consapevolezza spirituale. Perciò il simbolismo della scala per giungere a Dio esprime il senso della caduta e della reintegrazione della consapevolezza. Secondo Annick di Souzenelle, il termine scala è costruito sulla radice s-k-l che si trova in tutte le parole che indicano la scalata, cioè scala, scuola e scheletro, perciò esprime quello che aiuta a procedere.

L'uomo si evolve tra cielo e terra, perciò il sogno di Giacobbe conferma l'immagine dei due poli del magnete cosmico entro i quali l'uomo deve essere una vibrazione. Se l'uomo perde il contatto con uno dei due poli viene a trovarsi fuori dalla corrente della vita. La colonna vertebrale è il luogo in cui scorre il fiume di fuoco delle energie vitali, perciò rappresenta il luogo in cui l'essere è invitato a salire lungo i gradini che ognuna delle vertebre simbolizza.

Ad ogni gradino che l’uomo riesce a salire, ad ogni stadio di conquista che egli riesce ad attuare riceve, a seconda della propria misura, una gradazione del fuoco dell’amore divino che può sostenere e che fluisce dal torrente divino. In cima alla scala sta in piedi l’Adam, l’uomo che trae il suo nome dal fatto di essere plasmato con argilla rossa, perciò Adam rappresenta l’Uomo Rosso.

Adam ha scambiato il ferro che dà il colore rosso al sangue con il Magnesio dell’albero verde che è l’angelo del gradino, e l’intensità dello scambio diventa tale che, alla sommità della scala, il ferro è diventato Oro. L’Uomo Verde è al-Khidr quello che, nella sura 18 del Corano viene incontrato da Mosè, ed è lo strano uomo che compie delle azioni apparentemente folli e ingiuste che si rivelano, in realtà, giuste e guidate dal Signore.

Con le sue azioni apparentemente folli, l’Uomo Verde mette alla prova l’intuizione di Mosè che era convinto di avere una grande saggezza. Giacobbe viene messo davanti alla scala che giungeva al cielo e, in cima, vede Yahweh, cioè l’Io Sono che ognuno di noi è chiamato a divenire. Anche Mosè vide uscire dal fuoco del roveto la medesima divinità che affermava di essere il suo Dio, cioè il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Anche Mosè ebbe la rivelazione che Dio è personale, e che quei patriarchi erano riusciti a diventare Figli di Dio.

Il Dio che parla a Giacobbe e che vede Mosè è Colui che rivela di essere l’Io Sono, cioè Colui che è l’Essere in divenire, perciò rivela di essere una divinità sempre presente per colui che è in cammino per diventare se stesso. La colonna vertebrale umana vede "Sedeq" o meglio la Giustezza come fondamento stesso di questa via regale, infatti se le energie salgono e scendono lungo la colonna dorsale diventano una forza che imprime il dinamismo alla vita umana.

Dopo la caduta, questa forza spinge l’uomo esclusivamente verso l’esterno di se stesso e lo mantiene in una condizione di asservimento e infantilismo. Ogni essere umano che fa circolare le energie nel suo corpo, fa circolare una linfa vitale, infatti alcuni rituali sciamanici usano dei riti di iniziazione in cui si fa scalare un albero.

Anche l’Albero della Vita del mito biblico da cui l’uomo fu allontanato, al momento della cacciata, e al quale furono messi come guardiani, dei cherubini con la spada fiammante è la medesima cosa. L’uomo venne scacciato dall’asse divino dopo aver subito la scissione tra il suo aspetto maschile e quello femminile, perciò venne scacciato dopo aver perduto una piena coscienza di se stesso.

L’uomo venne condannato a partorire se stesso con il dolore, perciò un parto doloroso accompagna la conquista della dimensione divina. Seppure fosse cacciato nell’oscurità del transito terrestre, l’uomo viene illuminato nell’ascesa della colonna vertebrale che diventa la via giusta per chi sa vedere il senso di quel cammino.

Gli indù chiamano la colonna vertebrale, Brahmadanda ossia il bastone di Brama, infatti lungo di esso risale la Kundalini ossia il Serpente di Fuoco che guarisce da ogni malattia e che dona la vita. La frase di Gesù che dice: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo” in Giovanni, 3,14, esprime il concetto del risveglio delle forze che sono dormienti nella colonna vertebrale.

Quando il Figlio di Dio è sceso ha tracciato la via attraverso la quale il figlio dell’uomo può diventare un dio, perciò se Gesù afferma di essere “la via, la vita” (Giovanni, 14,6) oppure “la porta” (Giovanni, 10,7) vuole insegnare questo. Lo stesso concetto è vissuto dagli indù che lo vedono come la capacità di catturare lo spirito nel corpo, e di incanalarlo lungo la spina dorsale per aprire i chakra che sono le porte energetiche ossia i centri di forza delle energie.

Le forze che sono catturate “si riversano nell’essere - dice Annick - al fine di portarlo per gradi successivi a partecipare pienamente dell’energia divina.” I 7 chakra principali si snodano lungo la colonna dorsale, dalla base del chakra fondamentale fino al chakra della Corona: tra essi si erge il chakra dell’ombelico, quello del cuore, quello della laringe e il chakra frontale.

Molti miti usano l’immagine della scala, della colonna o dell’albero per rappresentare questo concetto, mentre i cinesi usano il Tao cioè la via della riunificazione dei contrari: per i cristiani diventa il Cristo che afferma: “Io sono la via, la verità e la vita” in Giovanni 14,6. L’uomo è posto tra gli estremi della nascita e della morte, perciò questo è il primo simbolo della nostra dualità.

Tra questi due estremi si dipana la vita, perciò le porte della nascita e della morte diventano il luogo in cui la vita si incarna e il luogo in cui l’uomo deve trascendere la storia. Gli antichi romani adoravano Giano, una divinità che era rappresentata con una testa unica con due volti opposti. Uno dei visi era quello di un giovane mentre l’altro era quello di un vecchio, e la divinità era festeggiata ai due solstizi principali ossia nel solstizio d’estate e in quello d’inverno.

Giano insegnava il senso del tempo, perché il viso vecchio dice che il passato è quello che ha finito il suo corso, mentre il giovane rappresenta il futuro che appare sempre gradevole e pieno di promesse. L’unico viso che non si può rappresentare è quello del presente, perché il presente è sempre immateriale e inafferrabile. Nel presente avvengono le trasformazioni e si attuano le potenzialità, perciò il presente è inafferrabile essendo fuori dal tempo.

Il Cristo rappresenta il concetto inafferrabile che si rende afferrabile, perché l’Eterno divenne storico quando la divinità si rese mortale per indicare all’uomo la sua dimensione divina. Cristo rappresenta l’istante in cui l’uomo trova il suo vero volto, perciò solo nel presente si può vivere, a nostra misura, l’eternità. Quando l’uomo trova la dimensione della sua Coscienza Cristica, può superare il tempo pur vivendo nel tempo: l’istante diventa il momento cruciale essenziale dell’uomo.

La maggioranza lo rifiuta, perché è difficile vivere restando centrati nel momento presente. Il presente è legato per essenza all’eternità, perciò “il presente è il portatore dell’assoluto” ma l’uomo vive nella contraddizione di volerlo e di fuggirlo. L’uomo lo cerca perché il suo significato è impastato nella nostra essenza, ma lo rifugge quando pretende che sia la vita a donarglielo: lo ricerca all’esterno di se stesso e non lo cerca all’interno.

L’uomo cerca l’eternità ma la pretende dal passato in cui molti si rifugiano idealizzandolo, come fanno i vecchi. Oppure aspettiamo una realizzazione futura spingendo la felicità sempre più avanti, come fanno i giovani. Quando giunge l'istante di felicità si cerca di prolungare quel momento in eterno, perché si teme che la nostra gioia possa svanire.

L’uomo non sa vivere il presente, dice Annick, perché lo teme e lo fugge, ma facendo questo fugge anche da se stesso, perciò si distrugge. Anche il cristianesimo degli ultimi 10 secoli mostra la verità drammatica che si teme di abbandonare la tradizione per rinnovarsi, credendo che il futuro possa essere fatale. La vera tradizione non è legata al passato o al futuro, ma si realizza nel “momento profetico” presente che “s’immerge nell’atemporale e s’incarna nell’istante” dice Annick.

Il lato sinistro femminile del corpo è ontologicamente legato al passato che è l’origine dell’aspetto permanente, mentre il lato destro maschile rappresenta il movimento che ci spinge verso il futuro. La colonna vertebrale è l’istante perché è il luogo in cui possiamo risolvere le antinomie, infatti è il luogo dove possiamo riassestare l’essere essenziale, spirituale e divino. Se l’uomo non conquista un asse più equilibrato si escluderà dalla vita e si farà divorare dal tempo.

L’aspetto del tempo che divora è espresso nel mito greco di Crono che viene aiutato dai Titani a togliere il trono al padre Urano, il dio del cielo. Questo mito rappresenta il tema del tempo nei riguardi dell’eternità, perché il tempo presiede alla nascita, alla maturazione e alla ripetizione della vita davanti all’eternità.

Quando Crono divora i suoi figli vediamo il tempo che distrugge gli istanti, perché l'istante viene annullato quando è divorato dal futuro che lo fa diventare passato. Ma tutto non è perduto, infatti Gea la sposa di Crono, riesce a salvare uno dei suoi figli, Zeus. Zeus è l’istante che diventa immortale quando conquista la sua dimensione divina. Ogni istante viene salvato e reso all’eternità di cui fa parte, infatti Zeus restaura il regno di Urano perché la divinità presente in noi non si lascia divorare.

Zeus combatte aiutato dai Ciclopi, e ingoia i Titani che sono la violenza delle forze istintuali, perciò li getta con Crono nel fuoco dei vulcani. Il fuoco che arde all’interno della terra rappresenta il fuoco dell’amore che arde nell’interno dell’essere. Il fuoco evolutivo dell’amore purifica e libera, perché distrugge tutto quello che non fa parte dell’essere divino.

I Ciclopi sono esseri con un solo occhio in mezzo alla fronte, e la tradizione indù li associa a chi ha “il terzo occhio” che rappresenta l’essere con l’occhio spalancato della tradizione giudaico-cristiana. I Ciclopi sono le forze della Conoscenza che si rapportano al dio Shiva, che è uno degli dei della Trimurti induista, che ha due occhi normali e un terzo occhio al centro della fronte che usa per distruggere la creazione.

La distruzione di Shiva è la stessa che avviene con il passaggio tra tempo e non dimensione dell’eternità. L’eternità si crea con la successione di tutti gli istanti della permanenza, e da questa catena di istanti susseguenti si crea la dimensione del tempo, che è una parte dell’eternità. Ogni istante è pregno di eternità potenziale, dice Annick, perciò la vita è stata collocata nello spazio della colonna centrale su cui salgono e scendono tutte le energie.

La colonna vertebrale è il cammino verso noi stessi e rappresenta la via della nostra deificazione. Rappresenta il luogo d’incontro della dualità interiore maschile e femminile, cioè il lato incompiuto e il lato realizzato. Questo è il senso della riconciliazione tra maschile e femminile, perciò la colonna dorsale è dove inizia il processo del discernimento e della disidentificazione, e dove avviene la fase in cui raddrizziamo la schiena e ci eleviamo verso il cielo.

Risalendo la colonna dorsale, ad ogni vertebra liberiamo una diversa forma di energia, perciò ogni potere costrittivo viene eliminato e la luce che entra nella colonna ci conduce verso la luce dell’alto. Ma la colonna dorsale rivela anche tutte le liberazioni, le paure, i successi, i rifiuti, le tensioni e le sofferenze che sono causate dal nostro vivere come degli esseri squilibrati.

Buona erranza
Sharatan

martedì 13 agosto 2013

Della materia dei sogni



“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d'un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.”
(William Shakespeare – La tempesta)

Ogni uomo è chiamato a crescere per andare verso il suo angelo, perciò ognuno deve operare con l’alchimia spirituale per evolvere. La trasmutazione ideale è quella che inizia nella materia in cui lo spirito giace avvinto dalla carne, per ascendere fino alla natura perfetta del Signore ossia del Sé. L'elevazione era indicata dal monito:“Conosci te stesso!” perché il monito invitava anche a cercare la conoscenza dell’universo e degli dei che lo popolano.

L’alchimia spirituale a cui si indirizzava comporta la conquista di una progressiva intuizione, di una capacità di penetrazione nelle cose che avviene solo con una vista interiore. Lo sguardo interiore vede oltre lo strato grezzo delle materie. Solo così si può vedere la trama di forze che la intessono, poiché uno sguardo profondo può superare le apparenze formali per vedere il lato nascosto dei fenomeni.

L’alchimista lavora sulla sua materia grezza e, con una serie di operazioni, può affinare un livello grossolano e rendendolo sottile. Mentre si opera sulla trasformazione si devono integrare le nuove sostanze alle parti più dense che abbiamo. L’alchimista riconduce la molteplicità, all'unità che è nascosta nella materia. Attraverso la trasformazione dei “metalli” si attua una trasformazione intima dell’essere, e il suo mutamento si riflette sulla qualità delle sue azioni.

La trasformazione dei metalli trasforma l’anima e la mutazione, a sua volta, agisce sulle cause formatrici e sui poteri che ci hanno strutturato. Tutto il processo alchemico è un lavoro compiuto sul lato invisibile della nostra formazione. L’operatore viene interamente mutato dalle operazioni, e la conoscenza spirituale acquisita, aiuta a sviluppare un intelletto che supera il sapere logico e analitico comune.

Egli ottiene una conoscenza che trasforma tutti i metalli. L’alchimista struttura una conformazione interiore che gli consente di agire sui regni minerali, vegetali e animali e gli permette di ottenere molte altre trasformazioni. I mistici islamici dicono che l’uomo vive in tre mondi, infatti usa i sensi, l’immaginazione e l’intelletto per conoscerli. Questa conformazione viene mostrata dalla nostra partizione di corpo, anima e spirito.

Perciò è necessario compiere uno sviluppo simultaneo di queste facoltà, infatti uno sviluppo armonioso porta – di grado in grado – dal grezzo al sottile. Regolando e armonizzando tutte le sostanze si può offrire un corpo a ciò che è sottile, così come si rendono sottili i grossolani: così riesce ad agire l’alchimia spirituale.

La facoltà immaginativa è una funzione essenziale dell’anima, perché corrisponde alla capacità di vedere l’influsso delle forze spirituali. Questo tipo di immaginazione non corrisponde all'immaginazione passiva delle fantasie che creano mondi immaginari e sviluppano idee adatte a menti che amano sognare.

Sia i teosofi che i sufi dicono che tra il mondo sensibile e quello intelligibile esiste una terza dimensione costituita dal mondo immaginale. Questa realtà non è fatta di materia materiale, ma è fatta di materia sottile che possiede figura ed estensione, mentre i mondi intelligibili che trascendono la materia hanno sia una materia che una forma.

Gli esseri del mondo immaginale sono separati dalla materia, ma hanno l'estensione e la struttura della coscienza immaginativa che vi agisce, almeno secondo Henry Corbin. Ma le forme che assume la coscienza immaginativa esistono solo in quella coscienza, mentre invece il mondo immaginale esiste in modo oggettivo ed extra-mentale. Il mondo immaginale è un mondo immateriale che entra in contatto con il mondo non materiale dell’intelligenza.

Ma, poiché non possiede neppure una forma e una estensione ha dei rapporti con il mondo materiale e sensibile. Il mondo immaginale, nel suo rapporto con il livello sensibile, svolge una funzione ordinatrice. Infatti esso informa tutto il mondo sensibile offrendogli una trama ordinata che riesce a trasformare il caos in un cosmo.

Tutto quello che accade nel sensibile non è mai casuale o accidentale, perché tutto quello che accade ha un senso che viene rivelato soltanto se sappiamo vedere il mondo spirituale che è alla base di tutte le cose. Ad ogni realtà sensibile corrisponde una realtà invisibile che è dotata di principi e di leggi che sono diverse oppure opposte a quelle che vediamo nella realtà ordinaria.

Per questo, tutte le regole che vediamo nel mondo immaginale sembrano “improbabili” o “impossibili” rispetto a ciò che conosciamo. Quando l’operatore incontra questo regno che è privo di qualità e definizioni, la sua esperienza concreta deve far posto alla prova e alla capacità d’intuizione.

L'immaginazione attiva permette di entrare nel mondo spirituale, ma solo se lasciamo la logica usuale. Il mondo immaginale precede la realtà sensibile e imita la realtà intelligibile, perché come il mondo fisico ha forma ed estensione e come il mondo intelligibile è fatto di luce. È, nel contempo, un mondo fatto sia di materia immateriale che di materia sottile, cioè “dell’incorporale che è reso sottile.”

I mistici parlano di alchimia spirituale, perché l’operatore agisce nella realtà intermedia in cui gli spiriti prendono corpo, e i corpi diventano spirito. Questo universo è “barzakh” ossia è un inter-mondo, un confine, un limite e uno schermo. In esso agiscono delle immagini archetipe che non sono percepite dai sensi, ma sono viste con l’immaginazione attiva che è l’organo di percezione di questo terzo mondo.

Questa realtà non segue una logica classica, perché è un mondo di avvenimenti psico-spirituali fatti di visioni, di azioni e di influssi che lottare contro ogni logica formale consueta. Esso appare come un mondo irreale o illusorio se non sappiamo lasciare il banale dualismo materia-spirito che viene prodotta dall'incapacità di concepire l'esistenza di un mondo intermedio.

L’immaginazione attiva realizza la trasmutazione del grezzo mondo sensibile nella purezza del mondo sottile con una visione che opera tramite simboli da decifrare che mostrano la natura dell’anima che li produce e ne definisce la qualità. Mentre l’anima agisce, essa conosce il mondo, ma conosce anche il suo senso, e questo viene ad irradiare la sensibilità che si modifica sempre più a causa dell’influsso, perciò riesce a percepire il reale sotto un aspetto diverso.

L’anima non può trarre il suo senso dall’esterno, perché essa veicolando l’esterno agisce da mediatore del rapporto che proviene dal livello immaginale: è così che l’anima imprime il suo sigillo sulla materia. Quello che l’essere percepisce è ciò che l'anima sa decifrare e che trasformare in simboli quando sviluppa la percezione superiore dell’immaginazione attiva.

Chi riesce ad ascendere – di grado in grado – verso il mondo immaginale accede alla percezione che fa conoscere una superiore realtà, perciò trova una spiritualità profonda che lo colma di gioia indicibile. La ricerca dell’alchimista aspira a modificare la sua coscienza finché diventa un essere che sembra visionario, perché esso è entrato nel mondo immaginale.

L’opera alchemica implica che l’alchimista abbia una natura mistica che vuole la realizzazione, perciò avviene una crescente e progressiva sensibilizzazione che accede a regni spirituali sempre più elevati. Il mondo immaginale è detto “Terra di Hurqalya” ossia l’Ottavo Clima in cui si attuano tutte le trasfigurazioni. Gli studiosi della scuola Shaykhie, alla fine del secolo 18°, dissero che vedere questa terra celeste trasforma l’essere di fango in argilla mistica, e che la dinamizzazione causa la trasformazione angelica del mondo immaginale.

Questi pensatori credevano che “una stessa energia fatta di luce spirituale” fosse la struttura che sottintendeva sia la realtà materiale che quella spirituale. L’alchimia vuole conciliare la realtà di questi mondi opposti, perciò vuole ridurre lo distanza che separa il livello grezzo da quello sottile, perciò riesce a produrre un "misto" alchemico.

Gli spiriti sono esseri di luce allo stato fluido, mentre i corpi sono esseri di luce allo stato solidificato, perciò l’operazione alchemica crea un “solido liquido” capace di spiritualizzare i corpi e di “corporificare gli spiriti.” La coscienza possiede una natura meditativa che interiorizza le trasformazione che attua, perciò può creare il corpo angelico che è il frutto naturale e la suprema conciliazione delle due nature che possediamo.

La meditazione produce il fuoco dell’immaginazione attiva che è in grado di usare i simboli per comunicare, infatti la mente può modificare come vuole tutte le cose e gli eventi del mondo. I simboli servono per dinamizzare le nostre energie emozionali e le nostre capacità cognitive, perciò essi agiscono modificando i rapporti dell’anima e del corpo.

Con una serie di operazioni di sottilizzazione e di coagulazione espresse dal monito alchemico Solve et coagula, l’operatore depura la sua materia e soprattutto raffina la sua terra interna fino a trovare l’oro, cioè il corpo di Resurrezione e l’elisir che permette tutte le trasformazioni.

La mistica islamica, secondo Henry Corbin, considera la pratica meditativa come un “lavoro” del fedele che cerca di risalire con una serie di depurazioni, fino alla sorgente più sottile di se stesso. L’adepto conosce la fisiologia spirituale con cui ascendere ai mondi angelici, perciò usa una meditazione detta “ta’wil” che fa ricordare i fatti, i dati e gli eventi risalendo fino alla loro origine, perciò riconduce il molteplice al modello o archetipo da cui provengono.

Questa operazione usa uno stato di trance che permette di percepire i diversi livelli in cui le forze spirituali agiscono quando scendono dai mondi superiori al nostro: e tutto diventa comprensibile anche per la coscienza comune. Il “ta’wil” è il lavoro che aiuta ad attuare la simbolizzazione che concilia tutti i piani, e che riesce a concatenarli uno all’interno dell'altro.

Ogni piano inferiore mostra il senso del piano superiore di cui è simbolo, perché il livello superiore è il modello del livello inferiore. Ogni piano è governato dall'entità angelica che possiede le connotazioni specifiche di quel piano, perciò l’entità angelica diventa modello e "referente semantico" di quel piano.

Esistono diversi mondi sovrapposti gerarchicamente, perciò va scoperta questa profonda realtà spirituale in cui viviamo. Questo è possibile solo se dal livello grezzo ascendiamo ai mondi più raffinati e sottili. Il passaggio di livello diventa un percorso iniziatico che ha il potere di trasformare interamente la coscienza del “fedele” perché lo fa entrare in contatto con delle entità angeliche sempre più potenti. Anche la coscienza si modifica in proporzione alla crescente raffinatezza delle facoltà percettive.

Tutto questo lavoro fa salire e fa discendere la scala dei diversi livelli dell’essere, e fa sperimentare diversi livelli di coscienza: il senso della scala di Giacobbe non è altro che questo processo. Salendo ogni gradino si partecipa della luce della gerarchia che lo presiede, e venendo fortificati da queste energie scendiamo sempre più nel profondo e riprendiamo a salire, finché siamo in cima.

Per i sufi e i mistici islamici, quei gradini sono le differenti “stazioni” che un certo tipo di trance ci consente di sperimentare. I testi occidentali e Alberto Magno parlano di “immaginazione magica” come forma di immaginazione che permette alla magia, all’ermetismo e alla mistica di agire, ma anche questa forma di coscienza è una estasi e una forma di trance attiva.

Buona erranza
Sharatan

sabato 10 agosto 2013

Una razza misteriosa



“Ecco vi dichiaro ciò che è nascosto:
l’Opera è in ognuno di voi e in voi:
trovandola, ove essa è continuamente,
voi l’avrete anche sempre, dovunque voi siate.”
(I sette capitoli di Ermete)

Nell’antica Babilonia si narrava che i 7 spiriti planetari cioè i 7 venti malvagi si erano armati contro il Dio-Luna per costringerlo a sparire con una definitiva eclissi. Secondo l’antico libro samaritano, l’Atasir, mentre Adamo abitava nel Paradiso della Saggezza ossia a Sifrah, vide i 7 pianeti dei giorni, ma quando si avvicinò per osservarli meglio si accorse che non c’erano più. Perciò Adamo se ne partì da quel luogo e andò ad abitare a Badan, cioè nella Casa del Giudizio.

Anche quando Enoch vide 7 montagne di fuoco nella sua visione, in sogno, allude a tutte queste simbologie che indicano gli astri erranti del cielo per l’infinito. Infatti i 7 pianeti danno origine al cielo degli astri fissi che sono tali perché ai Vigilanti venne inflitto il supplizio di perdere la libertà, e gli fu imposto di stare fissi nel cielo, al medesimo posto, per tutto il ciclo evolutivo.

Secondo il racconto di Enoch, gli angeli ribelli scesero in terra nei giorni di Yared, cioè ai tempi di suo padre. Essi scesero sul monte Hermon che derivò il nome da “herem” che significa “anatema.” L’anatema avvenne quando essi si legarono reciprocamente al medesimo peccato, perciò non esiste un male che sia isolato. Nel Libro dei Giubilei c’è una mitologia in cui si narra di una schiera di angeli che furono mandati da Dio per insegnare agli uomini, ma essi passarono dal bianco al nero. Questi angeli, mentre vivevano tra gli uomini vennero contaminati da quel contatto.

Secondo questa mitologia, il Male sorse in forma di corruzione del Bene causata della perdita di energia, infatti avvenne che l’Essere subì una corruzione della sua natura nell’atto del Divenire. L’idea di queste concezioni è che la materia generalmente si oppone all’influenza delle forze celesti, perciò i filosofi greci e persiani dicono che la corruzione portò la durata della vita umana a soli 120 anni. L’unione impura tra gli spiriti celesti e le anime umane fu punita con un parziale ritiro del soffio divino: e tutto avvenne per il tradimento degli Eggregori.

I figli che vennero generati furono metà angeli e metà uomini, però quella natura mista fu vinta dalla voracità insaziabile e dalla feroce violenza delle loro brame. Ma dopo il massacro dei Giganti, la terra era ormai troppo inquinata dagli spiriti impuri generati dall'animalità, e le schiere dei demoni camminavano sulla terra.

Filone di Alessandria dice che l’anima entrando nella carne subisce una “catabasi” ossia una caduta che gli fa percepire i desideri in modo psichico. Ma la caduta comporta il fatto che lo psichico è avvinto alla carne e al sangue. Perciò nasce la paura di tutto ciò che rappresenta la morte, la malattia e anche il desiderio sorge dalla discesa nella carne. Perciò il Diluvio dovette lavare il mondo con le acque, e i guardiani dell'ordine divennero i ribelli. Essi furono incatenati nel cielo, come nel mito greco il titano Prometeo, che era incatenato alla roccia-materia. Però quel supplizio venne imposto badando che ognuno divenisse un angelo che vigilava un posto ben definito e conforme alla sua natura.

In questo modo ai ribelli venne imposta una limitazione eterna. Venne data l'opportunità di poter fare una ronda circolare nel cielo, e di ritornare periodicamente nel luogo assegnato. Dio fece in modo che quei ribelli arroganti divenissero i Vigilanti dell’ordine che volevano violare. La colpa dei Vigilanti originò il male e diede origine alla stirpe degli spiriti impuri che percorrono la terra.

Arturo Schwarz, uno dei maggiori studiosi di cabala e di alchimia, dice che nella cultura ebraica antica non esiste il concetto di “peccato originale” per come è insegnato nel cristianesimo. Il termine ebraico che lo indica inizia a trovarsi nei testi solo dal periodo rinascimentale, perciò la capacità di padroneggiare la componente umana e quella divina è il vero segreto dell’Albero del Bene del Male.

Nel Corpus hermeticum si dice che l’uomo non si è abbassato dalla condizione divina per vivere nella paura e nella limitazione, ma deve sperimentare unoo stato di potere progressivo che viene ottenuto con l’incremento delle sue potenzialità e della sua forza. Queste prerogative sono possibili poiché abbiamo una doppia natura. Le funzioni contenute nella nostra duplice natura ci conformano in modo da poter avere, nel contempo, sia una natura umana che quella divina.

L’uomo realizzato diventa più grande degli dei, perché gli dei non scendono sulla terra, ma quando l’uomo sa rendersi immortale può ascendere al cielo per misurarlo. Perciò la “razza nuova” che gli alchimisti cercano non ha connotazioni di razze superiori, ma indica un fenomeno di rinnovamento spirituale e di rigenerazione interna che è potenzialmente accessibile a tutti. L’uomo primordiale fu Adamas e l’Uomo Rinato diventa simile al primo nato, perché entrambi sono della stessa sostanza e natura.

Secondo Henry Corbin, l’alchimia è la fisica della resurrezione, e molti possono concordare su questo. Secondo Simon Mago “l’essere beato e perfetto” è presente in ognuno, perché è potenzialmente nascosto in ogni uomo. Egli è sempre presente, ma non esiste se non viene attualizzato in modo concreto, affinché divenga colui che si tiene in piedi e che sa restare in equilibrio. Così come si manterrà in piedi quaggiù saprà farlo anche in futuro. Egli sarà quaggiù come sarà lassù, essendo generato dalla stessa fiumana d’Acqua.

Com'è in Basso sarà in Alto secondo Simon Mago, perché trovando l’equilibrio possiamo restare in piedi anche al cospetto della potenza divina. L’uomo è un dio mortale ma è anche un dio uranio, perciò può risalire alla sua potenza originale. Julius Evola scrive che l’Aquila a cui la folgore accecò lo sguardo è l’essere che fu Titano, e la Vita-Luce dei Vangeli di Giovanni parla della “razza misteriosa degli uomini perfetti e sconosciuti delle generazioni anteriori.”

La tradizione di Ermete si trasmise per molto tempo, perché gli alchimisti cercavano i cieli dai quali fummo cacciati. La “coincidenza degli opposti” che cercavano è quella che proviamo quando abbiamo l’equilibrio tra il corporeo e lo spirituale e conciliamo la dualità dei principi che è ispirata dal Tutto che viene percepito come Coscienza.

Nell’uomo è immanente una “cosa meravigliosa” che sorge dal “caos vivo” nel quale è compresa potenzialmente, perciò essa ha ogni possibilità di realizzarsi. Tutte le simbologie alchemiche alludono all'assonanza di funzionamento tra il meccanismo cosmico naturale e il funzionamento interno dell’uomo. Già il Corpus hermeticum fornisce gli indizi per capirlo, soprattutto nel punto in cui è detto: “Sei tutto in Tutto, composto di tutti i poteri.”

Anche quando Gesù dice che “il Regno dei Cieli è dentro di voi” usa una espressione tipica nella tradizione alchemica. Anche l’Acqua di Vita che la mistica cristiana afferma possa penetrare nell’uomo, mostra l’esistenza di un principio che può penetrare in noi per portarci oltre la morte. Secondo i mistici, quando l’uomo sente la sete di questa Acqua, egli ne beve. Allora si accende, in lui, una Luce di Vita che lo sostiene e lo nutre in eterno.

Il corpo terrestre è un tutt’uno con la totalità del Fuoco dello Spirito. La natura del mondo si rivela nelle varie nature di forze che presiedono agli uomini, perciò si vedono forze che si impietriscono in forme fisse di manifestazione. E questo è il male! Si rivela così anche il segreto degli stati di coscienza e delle varie qualità di Spirito che si esprime per mezzo di quelle corporeità.

In Oriente si dice che seguendo le tracce dell’Atma si riesce a conquistare la conoscenza dell’universo. Agrippa dice la stessa cosa quando afferma: “Nessuno può arrivare ad eccellere nell’arte alchemica senza conoscerne in se stesso i principi; e in più si avrà la conoscenza di sé stesso, più si acquisterà potere attrattivo, e si compiranno cose grandi e mirabili.”

La via interiore è una via sacra che parte dalla pietra nera che non è fatta di pietra, e che simboleggia il cosmo. Dal piombo nero dell’umanità sorgono degli eroi e degli dei che diventano come “cieli” e “pianeti” perciò vediamo l’evoluzione di uomini elementari, di uomini metallici e di uomini siderali. E’ nel corpo che si rettifica la Pietra, perché la conoscenza del sé e la conoscenza del mondo si inter-condizionano.

Queste due forme di conoscenza si fondono fino a divenire la cosa meravigliosa da avere, cioè vediamo le vera meta della Grande Opera. In Alto e in Basso sono presenti i Tre, i Quattro, i Sette, i Dodici, così come ovunque vediamo Zolfo, Mercurio e Sale, vediamo Terra, Acqua, Aria e Fuoco e vediamo l'influsso dei 7 pianeti e dei 12 segni zodiacali, in cui tutte le materie sono mescolate.

I figli di Ermete dicono che esiste un’unica Fornace e una sola Via, perché l’Opera è unica. Dicono che esiste una sola natura e una sola arte e un’unica operazione, perché al di fuori di queste non esistono vie. La nostra Pietra esiste ma si nasconde, finché l’artista non si accinge ad iniziare l’Opera. L’arte ermetica ridesta l’amore per le analogie, perciò ricerca la realtà dei contatti simbolici con una tecnologia divina ed operativa ossia concreta.

L’attività avviene mediante l’affinità delle nature che riesce a fascinare le nature “consustanziali” finché l’Opera fa accedere ad un Terzo Mondo dove sono riunite le forze macrocosmiche e microcosmiche. La creazione viene concepita come un atto creativo continuo e fuori dal tempo, perciò la creazione è sempre presente e avviene nel momento in cui un atto potenziale diventa immanente e si realizza.

Nella natura profonda di tutte le cose esiste un caos creativo a cui la mitologia ha collegato varie figure mitiche e divinità, ma la natura della via è ritornare in noi. Perciò è la via interiore è equiparata alla discesa nelle viscere della terra. La natura più profonda dell’insegnamento alchemico prende avvio dal paradigma mentale che viene suggerito nei racconti di Esiodo e della Bibbia.

Quando sono meditati i detti di Cristo e si riflette sulle imprese di Giasone che ricerca il Vello d’Oro oppure su Ercole che divenne immortale in virtù delle 12 fatiche, si racconta lo stesso viaggio verso l’unità. Tutti questi fatti, siano storici o meno, furono usati come esempi per le riflessioni. Le allusioni agli stati psicologici e spirituali correlati servirono per accedere a forme di coscienza fuori dall'ordinario. Il mito offrì i suoi simboli per aiutare la percezione di un ordine superiore in cui natura e uomo vivono in armonia, così come vivevano al tempo della creazione.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 8 agosto 2013

Angeli decaduti



"Ma, figlio credimi: tutto il nostro magistero
consiste soltanto nel regime del fuoco
e nella attenta laboriosità. Noi, infatti,
non facciamo nulla: è la virtù del fuoco
ben governato che genera la nostra Pietra
con poca fatica e modica spesa."
(Tommaso d'Aquino - L'alchimia)

Tertulliano scrive che le opere "maledette e inutili" cioè i segreti dei metalli, le virtù delle piante, il potere degli scongiuri magici e la scienza degli astri furono rivelati agli uomini dagli Angeli caduti. La tradizione che riporta ha origine nel "Libro di Enoch" in cui si narra che i "figli degli Dei" ossia i Beney Elohim, in origine scesero sulla terra.

Il Libro di Enoch è un apocrifo dell'Antico Testamento ossia un testo del guidaismo pre-cristiano che fu escluso dalla versione delle Scritture sacre accettate nel Canone accreditato dai Settanta. Il Libro di Enoch è considerato un testo sacro dai cristiani copti di Etiopia. Enoch era considerato un testo sacro molto importante anche per la Comunità di Qumran, presso il Mar Morto, e per la comunità degli Esseni.

Innanzitutto va chiarito che Enoch è il settimo discendente di Adamo. Probabilmente fu chiamato così, perché il suo nome deriva da Chanokh, cioé il "dedicato", perché gli fu permesso fare l'ascensione fino ai Cieli ancora in vita e con il suo corpo fisico. Gli fu possibile intercedere presso Dio stesso, infine è uno dei due profeti di cui si narra che non morirono.

Conosciamo solo due uomini che furono assunti in Cielo senza morire, e l'altro con la stessa sorte fu Elia che non morì, ma fu rapito in cielo con un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco. La Genesi dice che: "Enoch visse in tutto 365 anni, e camminò con Dio, poi non fu più veduto, perché Iddio lo prese." Di lui sappiamo che venne istruito dagli Arcangeli e dagli Angeli di Dio riguardo i misteri dei Cieli e della terra.

Nel Libro di Enoch si narra che gli Angeli vigilanti nei cieli si innamorarono delle figlie degli uomini, perciò scesero sulla terra per averle. Così scesero, sulla vetta del monte Armon, un gruppo di 200 Angeli ribelli guidati dal loro capo Semeyaza, che si vincolarono con un patto di fedeltà alla comune volontà di ribellarsi a Dio per avere quelle donne figlie dei mortali.

Così i ribelli presero in spose le donne mortali e insegnarono alle spose gli incantesimi e le magie mostrando il taglio di piante e di radici. Ogni Angelo decaduto insegnò l'arte che conosceva, perciò gli uomini furono addestrati dai Vigilanti a forgiare le armi, a creare gli ornamenti, a tingersi e abbellire il loro corpo, e impararono da loro anche il cambiamento del mondo.

In questo modo furono addestrati gli incantatori e gli astrologi che vedono i segni del cielo. Poi quelle donne fecero figli che furono i Giganti oppressi da fame insaziabile che si mangiarono tutto ciò che gli uomini avevano preso dalla terra. Quando il cibo fu finto essi vollero mangiarsi tutti gli animale e gli uomini. La terra fu corrotta dal sangue versato e la voce di quei morti chiese vendetta al cielo. Perciò l'Altissimo, il Grande e il Santo ordinò la distruzione della terra con un grande diluvio.

In Enoch si narra che Azazel sedusse Eva e insegnò agli uomini l'uso delle armi che uccidono, perciò metaforicamente si dice che essi infusero negli uomini lo spirito guerriero. Gli Angeli caduti non riuscirono a dominare il desiderio, perciò decaddero dalla condizione divina.

L'unione tra gli Angeli caduti e la stirpe dei mortali generò i Titani che sono descritti anche come i Giganti che non hanno bisogno di cibo. Essi non soffrono la sete e sfuggono alla percezione materiale, secondo quello che è scritto nel secondo libro di Enoch. Questi angeli decaduti sono i Nephelim, che equivalgono ai Titani presuntuosi che vollero sfidare il cielo, secondo il mito greco, e parimenti sono gli angeli che vegliano i cieli, i Vigilanti, descritti anche nel Libro di Baruch. Questa stirpe gloriosa e guerriera infuse nell'animo umano lo spirito degli eroi e delle arti metallurgico-minerarie trasmettendogli anche tutte le arti magiche.

Conoscendo l'origine dell'arte alchemica vediamo perché Mircea Eliade diceva che l'arte del fabbro era identificata con la figura degli eroi e dei guerrieri che sapevano interpretare la natura leggendone i segni, che sapevano vedere le influenze degli astri e che sapevano piegare le forze della natura al loro dominio. Tutte le arti "tecnologiche" che riuscivano a plasmare e manipolare la natura e i "cambiamenti del mondo" come dice Enoch, divennero tecniche circondate da un alone misterioso e misterico.

Queste tradizioni sono presenti sia in Africa che in Asia, così come pure nel mondo finnico e nelle mitologie dell'età della pietra. Queste concezioni furono integrate dai miti collegati alle arti dei metalli, infatti il dio greco Efesto è dio del fuoco, della tecnologia, dell'ingegneria, della scultura. Efesto fu il fabbro degli dei dall'orribile carattere di cui si narra avesse la sua fucina nell’Etna, e come tutti i fabbri divini forgiava delle armi divine fatte di lampo e saetta.

Le tradizioni artigiane dei metalli sono presenti anche negli Accadi, negli Assiri e nei Babilonesi. Infatti abbiamo testi accadici molto antichi che descrivono dei metodi per colorare le pietre ed i metalli cuocendoli con delle soluzioni o inserendoli dentro sostanze chimiche. Con questi metodi si voleva truffare gli ingenui spacciando come preziose delle gemme false o di pregio minore.

Nell'antichità l'uso delle tinte e dei colori era molto apprezzato per la bellezza dei colori, ma il colore aveva anche un significato magico. Gli effetti magici dei colori erano dedotti in base al principio della simpatia. Anche il metodo per fare i profumi e gli aromi profumati era essenzialmente un metodo di distillazione.

Filone di Alessandria considerava l'universo ed i suoi processi come un aroma composto dalle più raffinate fragranze. Nell'Esodo, capitolo XXX,34, si afferma che l'Universo è come un aroma composto con la più raffinata arte cosmetica che "si dedica interamente come pia offerta al Dio che l'ha creata." Anche il Talmud dice che il mondo non potrebbe esistere senza un profumiere e un conciatore. Paracelso diceva che l'alchimia era legata alle tecniche artigiane di trasformazione, perché ogni cosa che viene trasformata dall'ingegno dell'uomo per renderla utile all'uso dell'uomo, è l'opera di un alchimista.

Nei Brahamana induisti dei Veda viene raffigurata la costituzione dell'individuo mediante dei rituali in cui i sacerdoti raccolgono e modellano l'Atman per produrre un organismo perfetto. Nel mito di Prajapati si narra che egli venne disarticolato e poi rimesso insieme, e la sua ricostruzione avviene con l'aiuto del Fuoco dell'altare. I 3 stadi dell'operazione sono i medesimi dell'opera alchemica, in cui il 1° e lo stadio embrionale in cui si ritorna nel Caos primitivo della materia, che è la fase più pericolosa.

Poi avviene la rinascita del nuovo corpo della 2° fase, e la rinascita a cui segue la stabilità e l'equilibrio nella fase finale. Nell'antichità greca, fino al 4° sec. a.C. si credeva che gli astri fossero in rapporto con tutto l'universo, perciò l'astrologia metteva in rapporto il macrocosmo con il microcosmo cioè l'uomo, perché tutto ciò che accadeva era connesso con il moto degli astri.

Si credeva che anche l'anima entrasse nel corpo tramite una sua stella specifica. Anche le stelle possiedono la loro peculiarità, perciò anche in loro vi sono le caratteristiche dei 4 elementi seppure nella composizione più nobile e incorruttibile. Quando l'anima scendeva dalla sua stella cercava il suo luogo di origine, perciò anche i 12 segni astrologici assumevano una connotazione magica. Per questo invalse l'uso di fare oroscopi per trarre dalle stelle le sorti umane.

Conoscere le condizioni dell'individuo e il momento propizio per compiere determinate azioni era molto utile, perciò la stessa pratica fu usata anche per trovare il momento più adatto per compiere determinate azioni alchemiche. Non è casuale neppure la suggestione dell'uso delle fasi lunari per propiziare l'agricoltura. Anche l'arte erboristica possiede un suo calendario con cui sono scandite le stagioni e e momenti migliori per tagliare le piante e per estrarne i principi curativi.

All'astrologia fu associata la pratica di compilare degli elenchi di numeri mistici come nei quadrati magici che sono collegati alla complessa numerologia che Pitagora elaborò nel 5° secolo a. C. Tutte queste concezioni vennero importate dalla Mesopotamia, dalla Persia, dall'India, dall'Asia centrale e dalla Cina, perché le conquiste di Alessandro Magno permisero la contaminazione. Anche nelle concezioni egizie furono inserite le idee che venivano dall'Oriente, e tutto questo ambiente divenne l'ambiente più adatto per favorire la nascita dei concetti e delle teorie dell'alchimia.

Buona erranza
Sharatan