giovedì 28 novembre 2013

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“Il mondo tutto quanto è una fornace ardente.
Con quale stato d’animo puoi evitare di essere bruciato?“
(Kao Feng)

Molti sentono la violenza e la rabbia nelle cose drammatiche che accadono, perciò è difficile essere ottimisti e conservare una mentalità costruttiva. La felicità, dice Thich Nhat Hanh, è impossibile se non siamo capaci di trasformare il dolore. La condizione essenziale per essere felici è liberarsi dalle afflizioni mentali. Per togliere rabbia, gelosia, dolore e violenza dal mondo dobbiamo imparare a curare il nostro dolore.

Il Buddha insegna che mente e corpo sono un’entità inseparabile, perciò essi procedono sempre insieme. La rabbia e la violenza non sono soltanto realtà mentali, perché il fisico e il mentale sono inseparabili. La tradizione orientale chiama namarupa la formazione mente-corpo, perché crede che la realtà si manifesta a volte come forma concreta e altre volte come forma mentale.

Anche gli scienziati hanno scoperto che la natura della particella elementare a volte si comporta come una particella e altre volte come un’onda. Le realtà è che le due cose sarebbero diverse, ma la particella crede che siano la stessa cosa, perciò gli scienziati si sono adeguati mescolando i termini particella e onda, particle e wave, per creare il termine “wavicle” ossia “particonda.”

Lo stesso meccanismo esiste nella mente e nel corpo, infatti gli stati mentali sono connessi al corpo e possono diventare cibi nocivi. Tutto diventa una strategia alimentare, perciò anche il modo con cui entriamo in contatto con la vita riflette la nostra cultura. Nutriamo i sentimenti che apprezziamo di più, perciò preferiamo il cibo che la nostra mente predilige.

Se l’energia viene accumulata in modo disarmonico è facile che esploda una tensione, perciò è facile che avvenga qualcosa che causa il dolore. Sembra che molti amino quel gioco infantile e crudele secondo il quale, il fatto di soffrire li spinge a voler infliggere agli altri la loro sofferenza.

Ma il caso vuole che nessuno gradisca l’aggressività, perciò gli altri ricambiano la sofferenza facendola raddoppiare e fanno soffrire, a loro volta, ancor più. In questo modo si crea l'ascesa crescente di sofferenza che vediamo nel mondo. Ma la spirale penosa va spezzata, perché abbiamo tutti bisogno di comprensione e di aiuto reciproci: nessuno ha bisogno di avere delle punizioni.

Quando siamo infelici o arrabbiati, dobbiamo ritornare alla nostra sofferenza e dobbiamo prenderci cura del nostro dolore. Se qualcuno ci ha fatto soffrire, possiamo offrire a noi stessi un rifugio in cui ci prendiamo cura della nostra persona e della nostra anima. La maggioranza non sa farlo, infatti quando sono arrabbiati stanno a crogiolarsi nel dolore e finiscono per soffrire di più.

Non dire nulla quando sei addolorato, raccomanda Thich Nhat Hanh, non fare e non dire nulla prima di aver spento il dolore che senti. Se agiamo quando siamo addolorati aumentiamo il dolore del mondo, mentre invece dovremmo trovare il modo per spegnere l’incendio del dolore usando le pratiche che il Buddha ci ha insegnato.

Il dolore, la rabbia e la violenza sono fenomeni mentali e psicologici che sono collegati anche a fattori fisici e chimici. La rabbia e il dolore sono fenomeni di natura organica come l’amore e la compassione, perciò possono essere trasformati come ogni sostanza biologica. La rabbia e il dolore si comportano come un bambino piccolo che soffre, infatti il dolore è come un bimbo infelice perciò diventa come una madre che lo consola.

Quando arriva il dolore pratica il respiro consapevole, affinché il respiro sia come una mano che dona il sollievo. Tu puoi essere una madre amorevole quando abbracci la tua rabbia e il tuo dolore. Abbracciamo il dolore con il respiro che fluisce, perciò un respiro è sufficiente per migliorare.

Dobbiamo imparare a prenderci cura di noi stessi, iniziando a trattarci con più amorevolezza. Come le piante sono sensibili alla luce e al calore del sole così ogni formazione mentale è sensibile alla consapevolezza. Secondo la tradizione buddista, tutto quello che viene abbracciato dall’energia positiva della consapevolezza subisce una trasformazione. La rabbia e il dolore sono come fiori che devono essere conosciuti per saperli coltivare.

Per generare l’energia della consapevolezza e abbracciare la rabbia è necessario respirare oppure fare la meditazione camminata. Se la rabbia è come un fiore, per far schiudere il fiore della rabbia occorre molto tempo, perciò la consapevolezza va mantenuta viva molto a lungo. Ogni sentimento negativo ha bisogno di molta “cottura” per essere digerito, infatti non è facile farsi piacere le nostre negatività.

Ma noi impariamo a prenderci cura di noi stessi e sappiamo che dobbiamo cuocere a lungo l’energia negativa per trasformarla nell’energia positiva della comprensione e della compassione. Ci si può riuscire, perché l’impresa non è impossibile e il segreto è quello di continuare a praticare.

La pratica si divide in due tempi, infatti prima dobbiamo riconoscere e abbracciare quello che sentiamo e poi dobbiamo osservare in profondità la vera natura del sentimento e vedere da che cosa fu generato. Diventiamo come una madre amorosa che cura il suo bambino, perciò se soffriamo lasciamo tutto e ritorniamo a noi stessi per prenderti cura della nostra rabbia e del nostro dolore.

La mano di nostra madre diventa la nostra mano, dice Thich Nhat Hanh, perciò nel nostro tocco sentiamo il suo tocco e il suo amore. Se guardiamo in profondità vediamo che siamo la causa del nostro dolore, perché la sofferenza viene dai semi del dolore che abbiamo dentro. Ognuno possiede dei semi positivi e negativi dentro, ma qualcuno fa crescere maggiormente un seme piuttosto che un altro.

I semi più grandi e maturi dovrebbero essere quelli dell’amore e della comprensione, ma qualcuno non è un buon giardiniere. Se crediamo a questa idea, non incolpiamo gli altri o il mondo del nostro dolore e smettiamo di tormentarli con il dolore. Se crediamo che ogni elemento esterno è sempre una causa secondaria abbiamo fatto un bel salto di comprensione.

La causa principale del dolore viene dalla nostra incapacità di saperlo trattare e sanare, perciò spargiamo il dolore intorno a noi e inquiniamo il mondo. Quando rinasciamo come esseri spirituali con maggiore consapevolezza impariamo a prenderci cura di noi stessi e ad accudire anche chi amiamo.

Se non sappiamo accudirci, se non sappiamo amarci ed essere felici sentendo la pace non sapremo nemmeno dare queste cose agli altri. Non sappiamo comprenderli, non sappiamo amarli e neppure accudirli, perciò li renderemo infelici. La capacità di amare gli altri è sempre collegata alla capacità di amare noi stessi, e questo è vero per tutte le tradizioni spirituali.

Molti hanno dentro dei bambini feriti che conservano rancore, rabbia e dolore, perciò sono incapaci di essere felici. E spesso i bambini sono terrorizzati e non sanno entrare in contatto con chi potrebbe aiutarli, mentre invece avrebbero bisogno di attenzioni, cure e amore. Quando si parla di “ascoltare con compassione” dobbiamo pensare all'ascolto fatto di attenzione, di empatia e di comprensione dell’altro.

Mentre restiamo concentrati e focalizzati nell’ascolto anche l’altro sente il nostro amore che conforta il suo dolore. Se la realtà diventa dolorosa torniamo verso noi stessi per trovare la forza della consapevolezza che toglie la negatività. La sensazione di essere in contatto con il mondo e la percezione dell'unione di corpo e mente, ci fanno ritrovare la gioia di essere vivi.

Se restiamo nel passato o fuggiamo nel futuro non sentiamo la forza della vita che circola in noi. La libertà da tutte le afflizioni è la condizione che permette di sentire la meraviglia della vita. La vita ha piccole e grandi gioie, la terra offre la natura, ascoltiamo la musica, godiamo i colori e gli odori, ma essi sono luminosi solo quando pratichiamo la presenza mentale.

Per riuscire è necessario praticare con tecniche che facilitano la comprensione e la consapevolezza. Tecniche semplice come il metodo del respiro consapevole, della camminata consapevole, dell’osservazione profonda delle nostre percezioni, e dell’osservazione profonda delle percezioni altrui per renderci conto che anche tutti gli altri soffrono e chiedono aiuto.

Questi metodi sono molto semplici, ma richiedono la volontà di trovare un’ora per imparare ad amarci. E non dobbiamo pensare che la compassione sia il fatto che dobbiamo passare tutto il tempo con persone difficili e rabbiose. La nostra porta deve restare aperta, ma dobbiamo anche trovare il tempo per ritemprarci con le cose che ci piacciono e che ci danno piacere.

Dobbiamo coltivare anche le cose che ci piacciono e ci nutrono interiormente, perciò dobbiamo fare quello che ci fa godere di noi stessi. Dobbiamo imparare a inspirare profondamente e con calma sentendo che l’aria entra in noi, e che circola insieme alla vita, perciò impariamo che l’espirazione rilascia all'esterno quello che non vogliamo. Impariamo a scaricare così le tensioni, perché il respiro sincronizza la mente al corpo rimettendoli in contatto.

Dobbiamo fare attenzione a come calpestiamo la terra e la camminata consapevole è una pratica che può insegnare molto. Da questa pratica si impara molto, è economica e semplice perciò si può fare ovunque e in ogni momento. Molti leggono molto e credono di capire tutto, ma dalle piccole cose possiamo impariamo grandi verità, perché nessuna pratica spirituale ci aiuterà se non vogliamo salvarci.

Nessun maestro o essere illuminato può farlo per noi, perciò facciamolo per noi stessi, e per amore di chi amiamo. Gli insegnamenti possono aiutare, a prescindere dalla tradizione che amiamo ma dobbiamo praticare. Impariamo a uscire dal mare di fuoco in cui eravamo caduti, dice Thich Nhat Hanh, e diventiamo una fonte di gioia e di benessere per tutte le persone che abbiamo intorno.

Buona erranza
Sharatan

domenica 24 novembre 2013

Prospettive diverse



“I concetti della fisica sono
libere creazioni della mente umana
e non sono, comunque possa sembrare,
unicamente determinati dal mondo esterno.“
(Albert Einstein)

Entriamo nella vita per un certo periodo e poi ne usciamo. Nello spazio tra la nascita e la morte sperimentiamo una coscienza che connota la qualità della nostra vita. La maggioranza delle persone crede che la sua coscienza finisca con la morte e che la conoscenza del sé non sopravvive alla morte, anche se non vorrebbero che fosse così. La fisica dice che il tempo e lo spazio sono relativi al punto di vista dell’osservatore, perciò l’osservatore condiziona la realtà che percepisce.

Come la terra possiede una struttura così pure la psiche umana deve avere la consistenza di una terra interiore. Come la terra ha la storia che ha prodotto la sua forma, così pure la psiche proviene da un passato in cui ha imparato a osservare la realtà per valutare gli effetti che produce all’esterno. Perciò, così come abbiamo bisogno di abitare nel mondo così pure la mente deve avere una dimensione, perciò ottiene la realtà che è riuscita a costruire.

La parte di terra interiore che preferiamo occupare diventa la nostra dimora abituale. perciò ci identifichiamo con quel luogo e quello diventa il nostro territorio nella dimensione mentale. Come la terra forma continenti, mari, isole o montagne anche la mente forma zone in ascesa e in discesa, infatti la mente si alza e scende se viene trascinata dalle emozioni.

La psiche ha molti ambienti diversi, perciò è come la terra che ha costruito i continenti, gli oceani e le montagne formandole nel corso di lunghi periodi. La forma della psiche è modificata dagli stati d’animo, dai pensieri e dalle esperienze vissute. Se viviamo in un paese vediamo gli abitanti degli altri posti come esseri strani ed estranei, perché gli indigeni temono gli stranieri e vedono i diversi come alieni.

Dei paesi diversi seguono usi diversi che vengono dalle loro usanze, perciò anche la psiche forma zone con regole diverse. Ogni livello della mente percepisce in modo diverso il tempo, perciò lo stesso periodo di tempo può diventare pesante e infinito per l’uomo infelice, oppure può essere leggero e veloce per l'uomo felice.

Il tempo può cambiare la sua corsa se è percepito da vari livelli mentali. E nella struttura biologica umana ci sono anche molte altre capacità che aiutano a conservare la specie, e altre qualità saranno sviluppate ancora in futuro. Ognuno possiede la sua “impronta d’identità,” perché ognuno da un valore particolare a certi aspetti della realtà. Perciò essi vengono sentiti in modo così intimo e profondo che sono inglobati nel mondo interiore.

La coscienza costruisce la sua dimensione interna con dei simboli che diventano i materiali usati dalla mente. Essi diventano i parametri più utili per comprenderci, perciò essi sono la chiave della nostra comprensione. Tutte le esperienze fisiche sono esperienze soggettive, perché vengono vissute in modo immateriale avendo un'origine che è prevalentemente mentale.

Le esperienze possono essere vissute in modo diverso, perché siamo i viandanti che percorrono la strada, ma siamo anche il mezzo di trasporto e diventiamo anche il paesaggio che stiamo percorrendo. Noi siamo i soli creatori del nostro mondo, perciò facciamo le montagne, le pianure, gli oceani oppure viviamo nei deserti e fuggiamo dai villaggi. Noi viaggiamo nel mondo usando il materiale che viene tratto dal sé oppure usiamo quello che la psiche ha plasmato facendo la strada.

La psiche è una terra sconosciuta, perché è creata mentre si vive, perciò la realtà che viviamo influenza la forma della psiche che viene plasmata. Questa è la condizione di vita degli esseri incarnati, perciò si dice che il posto più sicuro in cui poter vivere è il presente. Il senso del tempo è necessario per farci di capire quello che va abbandonato.

La mente non può capire il corso del tempo e la trasformazione se non vede ciò che nasce e quello che va lasciato morire. Il presente è il tempo reso perfetto perché la sua totalità è così breve che diventa completa se è esaminata in se stessa. Ma il presente si vive solo quando sappiamo fermarci e osservarlo. Nell’istante vediamo che il tempo è perfetto, perché è completamente immedesimato e immerso in sé da escludere tutto il resto: il momento presente è perfetto e completo.

“Nell’adorata intimità del momento, scrive Jane Roberts, mentre una porzione del nostro essere vuole innalzarsi al di sopra del procedere solitario dei momenti, altre parti della psiche si precipitano, deliziate, in quel fulcro temporale che vi appartiene.“ In questo modo la porzione d'individualità che non vive nel mondo, può scendere e affacciarsi ad esplorare gioiosamente la dimensione terrena, e lo spirito può assaporare la visione del mondo delle creature.

Il mondo nasce come un quadro che viene dipinto dalla mente, perciò può venire considerato come un quadro a cui tutti lavoriamo. Ogni uomo mette i colori e le forme che vivono nella sua mente, infatti essi sono usati per costruire la dimensione che viene proiettata all’esterno. Non c’è effetto esterno che non provenga dalla dimensione interiore, perciò non esiste alcun movimento che non sorga, prima, nella dimensione mentale.

La creatività della coscienza non è unicamente una prerogativa umana, ma è una qualità che condividiamo con ogni essere vivente. Il mondo è prodotto dal contributo di coscienza di tutte le forme di vita che lo abitano. Tutto il mondo è prodotto dalla sensibilità dei suoi abitanti, e tutta la coscienza che viene prodotta forma la realtà che viviamo.

Tutte le strutture psicologiche formano una identità, perciò il modello sottostante crea l'unicità che permane oltre la morte e la nascita. L’occhio nasce dai sensi fisici così anche l’ego nasce dalla struttura della psiche. Come l’occhio è fatto per vedere l’esterno, così pure l’ego esce dalla psiche interiore per osservare il mondo esterno.

Entrambi guardano fuori da loro, perciò la coscienza creativa del corpo crea l’occhio come la psiche creativa interiore crea l’ego. Come il corpo forma l’occhio per vedere il mondo così anche la psiche forma l’ego per vedere psicologicamente ciò che l’occhio vede fisicamente. Ma entrambi vengono creati per aiutarci a conoscere il mondo.

L'esperienza nasce dal centro della psiche e dopo viene la percezione. Infatti gli eventi sono la reazione del mondo alle nostre percezioni interiori. Perciò, se cambiamo la forma della mente trasformiamo anche il mondo: e non c’è altro modo per modificare lo stato della mente e delle cose del mondo.

I pensieri, le emozioni e le immagini mentali diventano gli eventi che preparano quello che si realizzerà nella materia. Cambiando la forma della mente possiamo modificare o stabilizzare i fatti della vita, perché non c’è nulla che non sia creato dalla mente. Anche le relazioni che viviamo sono attratte o respinte dalla qualità dei pensieri, dagli atteggiamenti e dalle emozioni che sentiamo: e questo vale per tutti i casi del vivere.

Con l’esistenza impariamo a manipolare l’energia che abbiamo a disposizione, perciò la condizione del mondo e la situazione del singolo uomo mostrano i progressi dell'apprendimento che si è fatto. La realtà mentale crea una realtà elettromagnetica che si propaga dall’interno verso l'esterno, e che condiziona tutto il nostro ambiente.

Le realtà energetiche tendono ad aggregarsi per creare aree di fenomeni che si trasfondono nella materia conformandola in oggetti e fatti. I pensieri e le emozioni che sono orientati in un certo modo, diventano le strutture degli oggetti, perciò la realtà si conforma in modo di poter essere percepita. Il modo di vedere crea uno spazio con delle forme specifiche, e anche le altre forme di energia diventano oggetti psicologici che producono i fatti che avvengono negli ambiti temporali.

Lo spazio e il tempo sono le strutture fondamentali della percezione umana, perciò anche la percezione interiore usa le medesime strutture. Le esperienze vengono plasmate dalle nostre convinzioni e aspettative, perciò la nostra peculiare sensibilità forma la tonalità emotiva che caratterizza la nostra vita.

Le emozioni e le sensazioni sono stati mentali transitori, ma essi ci aiutano a formare il sentire che viene delle qualità particolari che sono diventate il nostro accordo musicale personale. I sentimenti e le emozioni passano velocemente, ma la nostra tonalità fondamentale resta e diventa la musica costante che risuona sul fondo del nostro essere mentre le emozioni e le sensazioni producono i loro toni acuti o gravi.

Dall’interno di ogni vivente risuona una melodia che definisce la qualità della sua vita, perciò quella peculiarità si aggrega al nucleo più denso che viene consolidato nelle varie vite. Le peculiarità che pervadono le nostre fibre divengono intime come è intimo il midollo per l’osso, perciò esse diventano la struttura intorno a cui si addensa la forma che lo spirito assume quando viene congiunto alla carne.

Il tono della nostra sensibilità è l’impulso di vita, e mostra la vera fibra dell'essere infatti mostra la parte di energia che usiamo per partecipare alla vita. Una parte dell'energia fluisce con la vita, ma non è tutta la totalità della coscienza, perché la nostra totalità è oltre il livello di realtà che viviamo.

Imparando a sentire il nostro tono interiore possiamo conoscere il potere, la forza e la sua solidità. Questa esperienza fa sperimentare un livello di esistenza che oltrepassa la dimensione personale. La nostra ricchezza di emozioni, la varietà di sentimenti che sentiamo mostra l’eleganza che abbiamo nel vivere la vita. Viviamo tutti nella realtà, ma ognuno vive in un mondo diverso perché ognuno vede la vita in modo diverso.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 18 novembre 2013

I quattro devoti



Un giorno, quattro devoti andarono in moschea per pregare. Si prostrarono e iniziarono a recitare le lodi all’Altissimo con intensa devozione. Ad un tratto passò il muezzin, perciò uno dei quattro interruppe la preghiera per chiedere: "Per caso hai già cantato l’appello alla preghiera? C’è ancora tempo oppure è già tardi?” Quando uno degli altri vide che il primo aveva parlato, si sentì obbligato a intervenire: “Ma cosa dici? Ti rendi conto che hai interrotto la recita del takbir e che hai resa vana la preghiera?”

A quel punto, interviene tutto inviperito anche il terzo devoto per dire a quello che aveva rimproverato il primo: “Ma tu perché non stai zitto? Perché non metti in pratica quello che dici?” Allora anche il quarto parlò, infatti volse gli occhi beati al cielo e pregò: “Sia lode all’Altissimo, lode al Misericordioso che non mi ha fatto perdere nelle tenebre! Per fortuna io non sono nel peccato come questi sventurati!” Chiaramente, si è capito che le preghiere dei devoti furono sciupate.

Questo racconto iniziatico è tratto dal Mathnawi di Rumi. La storiella insegna che ognuno è veloce a rimproverare gli altri e tende a non vedere le proprie pecche. Nella storia tutti sono impegnati a criticare gli altri ma, in realtà, ognuno cade in un errore ancora più grave di quello che rimprovera. I quattro sentono un maggiore desiderio di rimproverare l’errore piuttosto che prestare attenzione alle proprie azioni.

Nella vita, dice Rumi, è beata l’anima che sa vedere le proprie pecche e che si sforza di rimediarle. Beato è colui che ricorda che tutti gli uomini sono per metà viventi nel regno del male, e per metà nel regno della luce invisibile. In verità, non dovremmo mai avere la presunzione di gridare in faccia agli altri i loro errori, se non sappiamo rimediare ai nostri.

Se le cose della vita non vanno bene, dobbiamo cercare le cause, primariamente in noi stessi. Solo dopo aver fatto un'introspezione sincera e profonda, possiamo chiedere l’aiuto del Signore. Molti pensano di aver sempre ragione e credono che il torto sia sempre negli altri, ma nessuno è mai al sicuro dagli errori.

Prima di sbagliare anche Iblis, l’angelo caduto che divenne demonio, seppe vivere in pace con Dio. Iblis deriva da “abrasa” che significa “cadere nella disperazione,” perché è la disperazione che fa sbagliare. Molti non reggono la disperazione, perciò sbagliano. Se non abbiamo mai sbagliato, la nostra purezza diverrà un buon esempio. Ma, se il tuo prossimo ha bevuto quel veleno, tu rammenta solo lo zucchero che prima si trovava in lui.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 13 novembre 2013

Il segreto della felicità



“Non c’è dovere più sottovalutato di quello di essere felici.
Quando siamo felici, seminiamo nel mondo anonimi benefici.”
(Robert Louis Stevenson)

“Il segreto della felicità sta nella scelta dei nostri pensieri, o piuttosto nella direzione della nostra attenzione, istante dopo istante. L’infelicità viene dall’automatico concatemento dei pensieri infelici, istante dopo istante. L’infelicità consiste nel giudicarsi felice o infelice, nel domandarsi se si è felici o infelici. Si è felici se si vive nell’istante, in piena coscienza, fuori da ogni giudizio.

L’occhio della coscienza discriminante discerne senza sosta l’assenza completa della “realtà oggettiva” delle cause del nostro dolore e il carattere illusorio della sofferenza stessa: il concatenamento meccanico dei nostri turbamenti e dei nostri pensieri.[…]

Ciò che ci fa male non sono i nostri pensieri ma, ancora di più, i giudizi che diamo sui nostri giudizi. Diamo un taglio netto alle associazioni automatiche di pensiero, ai concatenamenti di pensieri dolorosi e torniamo sul campo alla semplicità dell’istante.

Non si scelgono i propri pensieri, ma si può decidere di non crederci. Colpevolizzarsi per un pensiero cattivo significa aggiungere sofferenza alla sofferenza. Siamo responsabili dei nostri sogni? No. Ma quando l’incubo diventa troppo doloroso è bene svegliarsi: non era altro che un pensiero.

I nostri pensieri, le nostre emozioni: agitazioni di neuroni, flusso di ormoni. Niente di solido. Perché fidarsi?

Emozioni come la gelosia, per esempio, o alcuni fantasmi dolorosi, rinascono instancabilmente, come la gramigna. Come estirparli? Come cacciare questi demoni divoranti? Come acquistare la pace dell’anima? Ricordati che si tratta di illusioni formate dalla tua mente, di un prodotto del tuo pensiero.

Potresti dirigere la tua attenzione verso altre rappresentazioni oppure aprirti a ciò che i tuoi sensi ti offrono in questo istante. Immaginando un dolore che presumi falsamente provenire dagli altri, paragonando ciò che è a ciò che dovrebbe essere, ti stai torturando. Non smettiamo mai di produrre immagini, pensieri, emozioni che ci fanno soffrire.

Siamo il nostro carnefice, il nostro carceriere, per di più illusionisti e bugiardi. I muri e gli strumenti di questa stanza di tortura personale che a volte è la nostra mente non sono che pensieri, ricordi, timori, immagini che non corrispondono a niente di attuale, niente di veramente presente qui e ora.

È facile dissolvere l’invidia. Ricordati che nessuno possiede mai un oggetto. Ognuno vive solo di istanti successivi. Non possediamo mai altro che secondi d’esperienza che svaniscono non appena vissuti. L’invidia è dunque, alla lettera, senza oggetto, poiché la persona invidiata esperisce solo un secondo dopo l’altro, proprio come te e come tutti.

L’unica differenza tra gli esseri sta nella loro capacità di aderire con gioia al divenire. Risiede nella loro più o meno grande propensione a comparare costantemente l’esperienza a “ciò che dovrebbe essere.” Invidiano produci la tua stessa sofferenza a partire da niente.

La sofferenza non deriva dal fatto che non hai ciò che un altro possiede (a questa stregua saresti sempre e necessariamente infelice, poiché c’è sempre qualcuno che possiede qualcosa che tu non hai.) La sofferenza proviene dal fatto che pensi che lui, o lei, possiede ciò che tu non hai.

Quand’anche otteniamo ciò che desideriamo di più, possiamo ancora soffrire terribilmente, non fosse altro che a causa del ricordo della nostra frustrazione precedente. A causa dell’idea che non abbiamo avuto l’oggetto nel momento in cui abbiamo iniziato a desiderarlo, a causa di tutto il risentimento, tutto il dolore che la mancanza e il desiderio insoddisfatto hanno provocato.

A causa della rappresentazione che una parte della nostra vita è stata irrimediabilmente privata di ciò di cui avevamo bisogno… o a causa della nascita di un nuovo desiderio. Ma in realtà il passato non esiste e ora soffriamo mentre dovremmo godere. E nel passato dobbiamo la nostra infelicità solo alla nostra assenza poiché ci siamo consumati nel desiderio invece di godere dell’istante.

Lui possiede ciò che io non ho. Io possiedo ciò che loro non hanno. Lui è più bello, più forte, più felice di me. Si divertono mentre io lavoro. Io valgo meno di … Valgo più di … Sono più felice di … Sono più intelligente di … Sono migliore di … Per ognuno di questi pensieri le nostre anime sanguinano. Il paragone è l’artiglio del diavolo.

Il paragone e l’accumulo sono riflessi intimi della mente. Ogni volta che li osserviamo funzionare ricordiamoci che l’istante presente è l’unica cosa che esiste realmente e che non si cede né all’uno né all’altro. Senza sosta, nella nostra testa, una piccola voce quasi impercettibile, ma instancabile, ostinata, ci critica, ci semina il dubbio.

Passiamo il nostro tempo a scalzarci insidiosamente. Non che occorra esaminarsi, prestare attenzione ai nostri atti e ai nostri stati mentali ma, per l’appunto, sembra che questa voce di critica incessante ci sottragga all’attenzione. Il che le permette di compiere con più tranquillità il suo lavoro di demolizione.

Sfugge all’attenzione perché “l’io” è proprio ciò che non smette di dire a mezza voce: “Non dovresti … fai male … dovresti invece … etc..” Questa voce maledetta che si è stabilita al centro del nostro essere usurpa il posto dell’anima, si fa passare per lei. Ma invece di una natura di scintilla ha il carattere di una doccia fredda che ci sfinisce. Siamo diventati questa doccia fredda.

Ci stupiamo di non incontrare più il calore e la luce del fuoco quando l’ego che abbiamo alle spalle, quando il parassita che ci abita nel petto fa professione di spegnerlo. Tutti coloro che ci criticano, ci colpevolizzano, ci demoralizzano si appoggiano su questa voce che tradisce la nostra vita dall’interno.

Peggio: le circostanze e le persone che ci opprimono traducono questa voce nel mondo “esterno” e la materializzano. Inutile farla tacere. Accontentiamoci di sentirla in maniera distinta e di riconoscerla per ciò che è: il nostro incubo nemico. Perde il suo potere dal momento in cui viene riconosciuta.

Ascolta il tuo discorso intimo. Cosa c’è di nobile nel coprirsi di vergogna, nel giustiificarsi, nel criticare gli altri, nel calcolare i propri beni? Molla la presa su tutto questo e comincia ad amarti, ad amarti esattamente per come sei. Abbandona la sofferenza.

Che atmosfera domina nel tuo intimo? Osserva senza sosta. Senti l’odore della tua anima. […] Quasi sempre la sofferenza è astratta, viene dal paragonare ciò che è e ciò che non è, ciò che abbiamo e ciò che hanno gli altri, il presente, il futuro o il passato. Ricordi che fanno male, fantasmi torturanti, scene immaginarie o instancabilmente rimuginate …

Eppure respiriamo, sentiamo, pensiamo, partecipiamo al miracolo della vita. se solo potessimo fare attenzione per un attimo alla grazia di vivere. Il pensiero ci porta a soffrire. Ci porta all’avidità, all’aggressione, alla paura, alla speranza, all’illusione … Se ci accontentassimo di sentire eviteremmo molto naturalmente la sofferenza. Affrancandoci dai nostri pensieri ci liberiamo dalla paura.

Il problema non sta nel raggiungere il risveglio. Questo comporterebbe immediatamente la speranza di arrivarci, la frustrazione di non esserci ancora, la paura di esserne separati per sempre. Il problema sta nello smettere di soffrire ora e, dunque, per esempio, di smettere di nutrire questo pensiero che non siamo risvegliati.

Non appena lasciamo cadere un pensiero, un problema, un dubbio, una paura, per tornare al presente, siamo risvegliati. Il risveglio consiste nel mollare la presa anche sul risveglio.” (Pierre Lévy - Il fuoco liberatore - Sassella ed., 2006)

domenica 10 novembre 2013

Il libro del bambù



“Ciò che sei stato o sarai – non sei.
Solo ciò che sei – tu sei.”
(Ryokai da: "Il libro del bambù")

Obuto Nisan, dopo la morte della giovane moglie a causa di una pestilenza, decide di evitare la compagnia dei suoi simili e chiede al daimyo Bonzon di essere nominato guardiano delle piantagioni più lontane di bambù, sul monte Shito. Da allora vive sul monte Shito, tra le piante di bambù, credendo di averne penetrato l’anima.

Così Nisan diventa il più grande esperto di bambù e il suo unico contatto con gli esseri umani sono i monaci zen del vicino monastero di Dabu-ji, e il samurai Ishi che gli consegna la paga, una volta l’anno. Ma un giorno, dopo aver abbattuto un grande bambù pericolante, Nisan sente una voce che esce dal suo fusto e una bimba esce dalla pianta. La bimba dice di chiamarsi Kaguyahime, di non avere nessuno al mondo perciò di essere venuta a vivere con lui, se per lui andava bene.

Nisan prende in fretta una decisione e risponde che l’avrebbe presa in casa e trattata come una figlia. Mentre tornano verso la capanna, la bimba gli prende la mano e Nisan sente che lei è ormai sotto la sua protezione. Malgrado abbia solo 10 anni, Kaguyahime si mostra esperta in tutti i lavori domestici e, come per miracolo, trasforma la capanna di Nisan in una bella casa accogliente. Nisan è al settimo cielo perché sente una pace e un’armonia che non conosceva da molto, perciò dimostra in ogni modo la sua gratitudine. Lei, da parte sua, nota ogni sua piccola premura e ricambia il suo affetto.

Quando i monaci zen vengono in visita, la bimba serve il tè, perciò i monaci notano la sua riservatezza e le chiedono di partecipare alla loro conversazione. La bambina si dimostra acuta e ben educata. Da quel giorno, Nisan nota che tutti lo cercano spesso, perché la bambina è diventata una curiosità e un'attrattiva per la grazia e la sua grande bellezza.

Molti vengono a vedere la ragazza, e quando cresce la sua bellezza diventa un’attrazione troppo onerosa, infatti le visite diventano una vera seccatura. Il via vai di curiosi è continuo, perciò Nisan viene continuamente distratto dai suoi studi. Assieme a Kaguyahime, Nisan decide che non avrebbe ricevuto più nessuna visita, tranne quelle dei monaci e dell’intendente di Bonzon, almeno finché la ragazza non avesse avuto 20 anni.

Kaguyahime non vuole lasciarlo, perciò la vita riprende il suo andamento. Trascorsi gli anni, molti vogliono sposare la bella Kaguyahime e perfino il principe Go-Do chiede la sua mano. Kaguyahime non è affascinata dai titoli, perciò chiede al principe di risolvere il quesito di contare tutte le stelle del cielo se vuole averla in sposa.

Il principe tenta, ma poi rinuncia perché l’impresa è impossibile. Nisan capisce che Kaguyahime inventa ogni pretesto per non lasciarlo. Tutti i pretendenti vengono scartati, poiché tutti gli enigmi che lei propone sono impossibili da risolvere. Kaguyahime è inespugnabile persino per lo shogun, Oson il Giovane, che viene trattato come gli altri pretendenti.

Anche lo shogun sopporta l’umiliazione del quesito impossibile, infatti gli viene chiesto di nominare le 1.200 specie di bambù esistenti in India, in Cina e in Giappone. Nisan non lo può aiutare, perciò lo shogun cerca la risposta per 1 anno intero senza tornare mai nella capitale. Governando a distanza, Oson mostra una scarsa attenzione al governo, perciò si trova a fronteggiare l’insurrezione dei suoi infedeli vassalli.

Quando Oson sta per partire, chiede di parlare all’amata, si mostra devastato e confessa il suo eterno amore giurando che non avrebbe mai sposato altre donne. Lei resta scossa dal suo affetto e decide di rivelargli la verità. Rivela che, alla prossima luna piena, le sue guardie sarebbero scese dalla luna e l’avrebbero riportata nella sua dimora originaria. Oson decide che partendo, avrebbe lasciato duemila samurai fedeli per impedire la sua partenza.

Ma tutto è vano, perché la Principessa del Chiaro di Luna svanisce nella prima notte di luna piena. Per il dolore il vecchio Obuto Nisan non si rialza più dal suo letto, e poco dopo muore. Mentre lo shogun cerca inutilmente di fermare gli insorti e, prima della sconfitta definitiva, brucia tutte le sue onorificenze e brucia anche l’ultima lettera che Kaguyahime gli ha lasciato.

E così che comincia “Il libro del bambù” di Vladislav Bajac. L’autore è nato a Belgrado ed è un giornalista, un poeta e un traduttore. Molte sue opere sono state premiate e tradotte in molte lingue, e questo è il suo primo romanzo edito da Besa editrice. A mio parere è un ottimo romanzo, perché narra una storia bellissima che inizia con l’improvvisa comparsa e la scomparsa misteriosa della bella Kaguyahime.

È il racconto di una vicenda appassionante in cui s’intrecciano i destini di potenti signori e di umili monaci zen. Ci sono samurai infedeli che nascondono segreti che l’onore impedisce di dire. Vedremo compiersi il destino dei servi infedeli e dei misteriosi studiosi del bambù, ma certamente nessuno di loro è veramente quello che sembra essere.

Il racconto è anche un pretesto per conoscere la cultura cinese e giapponese se non si conosce. Perciò lo raccomando a tutti, ma lo raccomando soprattutto agli appassionati di culture orientali. È un libro ottimo per quelli che conoscono le arti orientali, ma anche per quelli che non le conoscono e che potranno iniziare a conoscerle in modo molto piacevole.

Buona erranza
Sharatan



giovedì 7 novembre 2013

Un luogo armonioso



“Mutando riposa.”
(Eraclito di Efeso)

Se parliamo di pace è certo che tutti diranno che la pace è una cosa meravigliosa e che andrebbe stabilita sulla terra. È sicuro che la pace è un bene auspicabile per tutti e che l’umanità ne ha bisogno più di ogni altra cosa. Ma dove possiamo cercare le condizioni per realizzare questa condizione magnifica?

La pace è come la storia dei topi che si radunarono per discutere su come trovare il modo di proteggersi dalla ferocia del gatto. Dopo aver discusso a lungo, il topo più saggio disse: “Bisogna appendere un campanello al collo del gatto. In questo modo, quando lui verrà per mangiarci, noi sentiremo il suo suono e potremo scappare!”

I topi possono essere molto intelligenti, infatti l’idea era veramente geniale. Ma, quando si venne al dunque, cioè quando si trattò di decidere chi dovesse andare dal gatto per attaccargli il campanello, non si trovò nessuno disposto a farlo. Ecco, la storia della pace nel mondo assomiglia alla storia del campanello del gatto, dice il maestro Omraam Mikhael Aivanhov. La pace è uno stato mentale, e se le persone non trovano la pace nella mente, nessuna pace potrà arrivare.

La pace non è uno stato che si può comandare o avere in modo meccanico, perciò si potrebbe convenire sul fatto che non può giungere veloce ciò che non si conosce o comprende. La pace è il risultato della nostra sintesi di qualità e di virtù, perciò la pace è il segno che tutte le nostre funzioni e attività sono equilibrate ed armoniose. La pace è la conseguenza dell’armonia interiore, perciò se viene dal buon funzionamento dell'interno, è sicuro che non si può trovare all’esterno.

Se cerchiamo la pace non possiamo mantenere degli affanni interni o delle afflizioni che ci fanno essere tristi o in continua agitazione. La pace è una condizione interiore e dipende dall’atteggiamento dell’individuo, perciò verrà quando tutti gli uomini conosceranno se stessi e renderanno il loro mondo interiore un luogo armonioso.

La pace è il prodotto di un duro lavoro interiore, perciò bisogna conoscere gli elementi, i mezzi, i metodi che possono produrla in realtà, perché costruire la pace è una vera scienza. Cristo, nel Sermone della Montagna, disse che i costruttori di pace avranno la beatitudine perché costruire la pace è un’arte molto difficile.

La pace è una condizione interna perciò non si ottiene facendo la guerra all'esterno, infatti è dentro di noi stessi che dobbiamo eliminare le condizioni che ci mantengono in guerra. Il vero campo di battaglia è sempre il mondo interno, perciò per essere in condizioni di pace è necessario pensare bene, sentire bene e bene agire. L’uomo è quello che mangia, diceva Feuerbach, un grande filosofo materialista dell’Ottocento, e anche nella spiritualità si crede la stessa cosa.

Il nostro organismo deve essere nutrito da cibi di buona qualità se vogliamo che le sue funzioni siano sane, perciò anche i desideri, i pensieri e le azioni devono essere buone come cibi sani. Non possiamo digerire dei cibi tossici, infatti il corpo ne sarebbe avvelenato, perché causano disordine nel nostro sistema: ecco come si perde la pace!

Per capire come costruire la pace dobbiamo pensare a come si costruisce una casa. Dobbiamo pensare che la casa si costruisce pensando al progetto cioè con l’idea dell'architetto. Si costruisce prima nel mondo delle idee perciò nel mondo invisibile, e poi si disegna il progetto sulla carta perciò si materializza il disegno della casa sul piano fisico.

Chi potrebbe pensare che questa cosa così ovvia possa avere una sfumatura così profonda e ricca di implicazioni tanto utili? Dunque, fatto il disegno si devono scegliere i materiali e poi si trovano gli operai per costruire e mettere in opera il progetto. Tutto questo avviene in tre momenti: il piano, la ricerca di materiali e la costruzione.

Iniziando a costruire si gettano le fondamenta e poi si procede erigendo le mura e finendo con il tetto. Per fare l’esterno della casa si procede dal basso e poi si procede verso l’alto. Ma poi, rifinendo gli interni si procede all’inverso, perché si rifiniscono i soffitti e le pareti e poi si procede fino ai pavimenti.

E così avviene anche quando si ripulisce e arreda una casa prima di abitarla, infatti si ripulisce dall’alto e poi si pulisce in basso. Il maestro Aivanhov dice che la tecnica architettonica è una tecnica di lavoro spirituale, infatti Dio è chiamato anche il grande Architetto.

La costruzione insegna come lavorare sulle due correnti dell’evoluzione e dell’involuzione. Questa tecnica è suggerita anche dai due triangoli che s’interpenetrano e formano la stella a 6 punte del Sigillo di Salomone. Esso mostra che, come Dio ha proceduto per costruire l’universo, così dobbiamo lavorare noi: insegna che non dobbiamo applicare gli stessi principi alla vita esteriore e alla vita interiore. Nel piano fisico dobbiamo lavorare procedendo dal basso verso l’alto. Invece, nella vita interiore, dobbiamo lavorare cominciando dall’alto e andando verso il basso.

Concretamente, si vuole insegnare che, nel piano fisico, dobbiamo usare le leggi dell’evoluzione, perciò vedere il lato solido e materiale per giungere a vedere, poco a poco, le cose più sottili. Per contro, sul lato psichico e interiore dobbiamo cominciare dal lato più sottile e luminoso, dal lato divino, per finire con ciò che è più visibile, tangibile e concreto.

Questo è l’ordine che va dato al nostro lavoro. Per riuscire, nella vita materiale, dobbiamo costruire concretamente. Sulla terra vanno costruite cose dalla base solida e resistente, perché per costruire nel mondo invisibile dobbiamo avere una struttura solida altrimenti tutto crolla.

Come vediamo, le regole costruttive del mondo materiale e del mondo invisibile funzionano con movimento opposto. È certo che, per costruire progetti spirituali di ampio spessore è necessario che le cose siano costruite per anni e anni, nella nostra testa, prima di essere attualizzate e riconosciute. E quanti casi di geniali inventori e di scienziati pionieristici possono confermare questo?

È necessario molto tempo perché le grandi cose siano realizzate, perciò bisogna lavorare molto affinché, un giorno giunga una pace meravigliosa. Bisogna lavorare molto a lungo e agire con molto anticipo, perché il nostro movimento assomiglia a quello che fece Dio per attualizzare la sua creazione.

Secondo i grandi saggi, l’Assoluto si è manifestato uscendo da Se Stesso, perciò Egli uscì manifestando l'involuzione del processo di discesa. Poi avvenne il movimento di ritorno e si avviò il movimento contrario. Con il moto ascendente, Egli rientrò in Se Stesso, e questo movimento è quello che vediamo nell’evoluzione.

Questi due processi avvengono in milioni di anni, infatti periodicamente avvengono entrambi i movimenti. Entra in azione un movimento che parte dal centro e si dirige verso la periferia, poi avviene un secondo movimento che, parte dalla periferia e si dirige verso il centro. Il primo movimento è lo stesso con cui fu creato l’universo con i suoi centri e poteri, con tutti i suoi pianeti e i suoi soli. Cosmicamente vediamo che l’involuzione è precedente all’evoluzione.

L’involuzione è un processo di materializzazione, invece l’evoluzione è un processo di smaterializzazione. Questi due processi sono la base di tutti i cicli naturali, infatti si susseguono uno con l’altro e si producono continuamente. Nell’incontro dei movimenti di discesa e ascesa, vediamo tutti i fenomeni della vita con le sue forme.

Non esiste alcuna opposizione tra spirito e materia, perché esistono solo delle forme diverse di vita. Gli esseri dotati di coscienza e di sentimento sono collocati su una scala che va dall'essere più alto al più basso, essi si diversificano solo per la loro distanza dal centro. Le forme di vita diventano sempre più sottili, mano a mano che andiamo verso il centro, e diventano sempre più materiali, mano a mano che andiamo verso la periferia.

Tutte le forme circolano, sia quelle che si spiritualizzano che quelle che si materializzano. E questo meccanismo spiega l'evoluzione e l'involuzione che coinvolge le due correnti che formano l’uomo. La forma del corpo possiede lo stesso movimento del cosmo, perché la testa è legata al segno zodiacale dell’Ariete. Poi vediamo che il collo è legato al Toro, e così fino ai Pesci che governano i piedi. Perciò vediamo che la forma del corpo mostra il movimento cosmico dell’involuzione.

Quando lo zodiaco risale, nel punto vernale, dai Pesci va in Acquario e così via mostra la risalita evolutiva. Tutto il cosmo segue la discesa della materializzazione e l'ascesa della smaterializzazione. Tutto in noi è perenne movimento, perché le costellazioni interne sono anche i campi psichici interni. Anch'essi governano perché ci condizionano le assonanze e dissonanze, perciò condizionano le nostre strutture e funzioni mostrando l'intreccio degli influssi cosmici con l'interiorità umana.

Il corpo fisico non ha una disposizione statica, perché siamo sempre percorsi dal movimento del sangue, degli umori e delle correnti nervose che attraversano il corpo. Nello stesso modo le nostre forze ed i sentimenti vengono più o meno eccitati oppure indeboliti a seconda del movimento delle correnti che ci percorrono andando verso il cuore e il cervello. È nel cuore e nel cervello, in cui le correnti s'incontrano, che dobbiamo fare la sintesi. Solo allora quelle forze si compenetreranno reciprocamente e armoniosamente, perciò smetteranno di fare la guerra, e avremo la pace.

Nel mondo invisibile è necessario lavorare continuamente sulla nostra natura, senza vantarsi e senza essere orgogliosi di quello che raggiungiamo. Avere una casa interiore significa avere certezze interiori. Se siamo saldi interiormente possiamo essere comprensivi, amabili e umili, e anche acuti, intelligenti e un po’ psicologi perciò diventare superiori alle stupidità che vediamo e sentiamo.

Dobbiamo imparare a cedere davanti a quelli con cui non ha senso arrabbiarsi, perché restiamo agitati e smagnetizzati per tutta la giornata. Perciò usiamo l'intelligenza e l'indulgenza nelle discussioni, perché sono qualità impagabili. Perlopiù prevale l'orgoglio e si dice che essere cedevoli è umiliante, perciò si preferisce essere nervosi e agitati. Invece dovremmo pensare che si guadagna meglio a cedere piuttosto che diventare rigidi e ottusi.

La costruzione della casa insegna che le parti alte vanno arredate per prime, perciò i lampadari sono la luce dell’intelligenza. Perciò lavoriamo per costruire la saggezza, l’intelligenza e la conoscenza che sono doni dell’alto, poi coltiviamo il sentimento e, quindi si potrà agire. Nella vita bisogna pensare prima di fare, perciò dobbiamo valutare, idealmente, le conseguenze delle azioni. Solo dopo una profonda riflessione si traggono le conclusioni e si agisce al meglio.

Attualmente si vedono molti materialisti che non apprezzano il valore del pensiero puro e nobile perché non vedono i valori invisibili, ma si vedono anche molti spiritualisti che vogliono conquistato il piano superiore per dirigere il piano inferiore. In futuro, dice Aivanhov, saremo persone che sapranno lavorare con entrambi le correnti, perciò saremo beati sia in Cielo che in terra.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 4 novembre 2013

Una vibrazione particolare



“La nostra natura sta nel movimento;
il completo riposo è la morte.”
(Blaise Pascal)

Secondo Yogananda, lo Spirito Supremo è Uno mentre uno spirito individualizzato è una vibrazione. Tutto quello che esiste è in continua vibrazione perché è così che lo Spirito Supremo, sempre immobile, crea l’apparenza di una realtà separata da Se Stesso. Perciò come le pale del ventilatore ruotano velocemente creando l’illusione del disco solido così la Vibrazione Cosmica, nella sua infinita varietà di rapide vibrazioni, dà l’impressione di sostanza, di varietà e di solidità.

Tutto quello che sembra solido, perciò anche la roccia è vibrazione di energia perché tutta la materia è composta da spazio. Gli antichi rishi erano veggenti che sapevano come alcune vibrazioni possono armonizzare gli uomini con certi livelli di coscienza, perciò idearono dei riti e delle pratiche che sono adatti a ottenere lo scopo.

Secondo Yogananda, dei mantra particolari recitati adeguatamente, possono farci raggiungere una consapevolezza superiore. Tutta la materia è una vibrazione, perciò più diventiamo consapevoli di questo, più riusciamo a elevarci spiritualmente. Nella Bhagavad Gita si narra che la manifestazione iniziò da stati vibratori che divennero materie visibili.

Tutte le cose nacquero dal potere vibratorio dell’Aum cosmico che trasformò il caos in cosmo. La creazione è il prodotto di tre divinità ossia di Brahma che è la vibrazione creativa dal suono alto, di Vishnu che è la vibrazione conservativa dal suono medio, e di Shiva che è la vibrazione che distrugge e dissolve con un suono basso e roboante.

Tutte le cose nascono della stessa vibrazione, perciò l’espressione “Tat twam asi” ricorda che tutti nasciamo dalla Coscienza Cosmica. Yogananda dice che l’ego è “l’anima identificata con il corpo,” e che l'identificazione illusoria ci fa agire come se il mondo fosse reale. Lo Spirito originale è Uno, mentre uno spirito individualizzato è una vibrazione particolare che esprime una potenzialità dell’Unico Essere Originario.

Uno spirito è una vibrazione che assume un corpo, e che impara dall'esperienza di vivere in quell'involucro. Ci evolviamo quando eleviamo la frequenza di vibrazione, e quando la trasformazione eleva tutto l'essere. Uno spirito non prende il corpo ma plasma un corpo, perché uno spirito deve animare un corpo fatto di 3 involucri ossia dell'involucro fisico, emotivo e mentale.

Plasmiamo il corpo anche se non lo sentiamo come il più adatto a ospitare la nostra vibrazione. Abbiamo sempre la capacità di sentire la qualità vibrazionale del corpo che usiamo, perciò esso può diventare il luogo più adeguato alla nostra coscienza. Non c'è un corpo sempre adatto e adeguato, perché non esiste un corpo che sia indifferentemente adatto per ognuno.

Tutte le caratteristiche fisiche, emotive o mentali diventano limitanti, poiché l'esistenza materiale risente sempre delle forme che assume. Questo avviene perché la materia deve limitare lo spirito. Non sappiamo il perché, ma alcuni sanno esprimere meglio le loro qualità mentre altri le esprimono peggio. Ma tutti possiamo ampliare la propria capacità espressiva se sanno fare un ampliamento della frequenza di vibrazione.

Ognuno ha un corpo fisico, un corpo emotivo e un corpo mentale che può migliorare, sia nella crescita che successivamente. Un bambino impara a usare i suoi sensi fisici, perciò usa le emozioni per strutturare il corpo emotivo. Poi impara a sviluppare anche il pensiero per avere un corpo mentale adeguato.

Il bambino sa pensare fin dalla nascita, ma il suo pensiero è indifferenziato perché dipende dai sensi, dalle emozioni e dai pensieri, e le 3 realtà si mescolano insieme. Lo sviluppo del pensiero dialettico e della capacità esplorativa della mente che sa espandersi oltre i limiti del corpo richiedono un maggiore livello di sviluppo.

Uno spirito non solo entra nel corpo, ma coordina e guida l’attivazione della carne; questa è la realtà dell’incarnazione. Attivare un corpo non significa crescere in esso, ma significa svilupparsi seguendo un progetto che diventa chiaro nel momento in cui diventiamo consapevoli del nostro essere e della nostra natura.

Lo spirito sa usare e attivare la carne, ma tende a usarla come in passato con l'uso strutturato nel passato: è questo che va superato! I 3 corpi creano i 3 mondi che vivono al nostro interno, perciò essi sono presenti in tutti gli uomini. Ma quei mondi diventano un problema per chi non sa sentire l'armonia, perciò essi diffondono vibrazioni disarmoniche.

Ogni spirito attiva in uno specifico modo il suo mondo, perciò la vibrazione che emette è il prodotto del modo in cui ha vivificato i suoi involucri. Uno spirito s'incarna per evolvere con le sue esperienze, perciò il suo modo di risuonare crea una certa frequenza.

Che significa che uno spirito fa risuonare diversamente i suoi corpi? Attivare è il fenomeno con cui la vibrazione dello spirito agisce sulla struttura della materia, perciò attiva i suoi elementi fondamentali. Quando lo spirito s'incarna esprime con la vibrazione quello che esso ha consolidato nel passato, perciò esprime la vibrazione che è tipica della sua maturazione.

Manifestiamo sempre la tonalità che abbiamo prodotto, perciò la qualità degli involucri che usiamo viene condizionata dal lavoro che abbiamo realizzato su essi. Il lavoro evolutivo ha maturato un sentire, un pensare e un modo di essere che sono sempre la conseguenza del nostro passato.

Però alcuni hanno imparato a fare vibrazioni armoniche, mentre altri sono disarmonici, perché non tutti imparano subito a creare l'armonia. Infatti, se arriva una disarmonia dobbiamo subito impegnarci per equilibrarla e ricomporla. Ma non tutti sanno come ridurre le loro carenze, perciò non sanno far vibrare i loro corpi in modo migliore rispetto che nel passato.

S'ignora che anche lo spirito tende a ripetere i sentieri che conosce, perciò tende a rifare quello che fa. Quando l'azione, l'emozione e il pensiero lasciano la loro traccia, molti tendono a percorrere quelle orme. Ma, se non facciamo il cambiamento di azioni, di emozioni e pensieri siamo condannati a rifare sempre gli stessi errori.

L’energia, la vibrazione e la trasformazione sono i pilastri dell’evoluzione cosmica e dell'evoluzione individuale. L’energia stimola la trasformazione perché cambia lo stato dei corpi dalla fase negativa a quella positiva, perciò trasforma una cosa non buona in una cosa migliore. L’energia è la possibilità che avvenga il cambiamento ma è anche la forza che lo consente.

Uno spirito non indossa e non usa il corpo, perciò non ne fa solo un uso, ma lo plasma e vivifica. Uno spirito trasforma la materia per renderla più adatta alla sua espressione. Tutto ha la natura della Vibrazione Cosmica, ma una vibrazione individuale ha il grado di maturazione che si esprimere nelle caratteristiche dell’essere umano.

È lo Spirito Universale che si individualizza quando diventa una forma singola che s'incarna. Esso plasma la materia facendola vibrare in accordo al suo essere. L’essere che nasce dalla plasmazione non è il corpo che vediamo, non è l’emozione e neppure la mente, ma è una vibrazione di coscienza che si esprime mentre si crea.

Yogananda dice che più lo spirito è evoluto più vibra con frequenze elevate, perciò uno spirito molto elevato trascende le leggi della materia, e può plasmare ogni realtà. Ma questo è possibile solo per chi raggiunge e si fonde con l’Uno. Uno spirito molto elevato conclude tutte le sue incarnazioni quando raggiunge la dimensione assoluta dove è trascesa la necessità della materia.

Uno spirito non si incarna per modificare la materia, ma si incarna per evolvere se stesso. Ma anche la materia viene nobilitata dal lavoro di raffinamento, perciò anch'essa viene sublimata. In questo modo la materia è innalzata per l'aumento di frequenza che subisce, perché viene mossa dal potente movimento vibratorio.

L'innalzamento avviene con l'aumento di frequenza che lo spirito imprime con la sua manifestazione. Lo spirito eleva perché, mentre agisce produce una spinta che scuote tutto l'involucro che lo contiene. Se produciamo una trasformazione, la vibrazione che produciamo diventa capace di modificare sia lo spirito che il corpo.

La vita è continua evoluzione perciò tutto si muta per evolvere. Quando lo spirito si fonde alla materia si uniscono i due aspetti della natura divina. Non esiste materia che sia divisa dallo spirito, e non c'è spirito disgiunto dalla forma, perciò c’è una medesima evoluzione che li coinvolge entrambi.

La vita con le sue trasformazioni è lo scenario che permette allo spirito di plasmare il corpo. Il corpo fa maturare l’anima che diventa una forma e una particolare visuale che viene usata dallo spirito per esprimersi. Il divenire è il contesto che amplia le potenzialità dell'essere individuale e tutte le modalità espressive dell'Essere Supremo.

L’uomo è soggetto al tempo perché nel tempo assume la forma che adatta alle trasformazioni. La tendenza femminile dell’anima spinge a restare immutabili e conservare la forma. La tendenza maschile dell’anima ci spinge all’azione, perciò lo spirito che si incarna risente di questa tensione che stimola le potenzialità.

Dopo il periodo in cui restiamo in vibrazione estatica davanti all’Uno veniamo spinti a ritornare. Veniamo attratti dal nuovo involucro che viene reso disponibile nel mondo degli esseri incarnati, perciò veniamo attratti verso un corpo particolare che sta per nascere.

Sentiamo le tendenze innate derivate dagli influssi dei genitori, le tendenze della razza, e sentiamo l'assonanza con le nostre prerogative di intellettualità e sensibilità. Naturalmente l’assonanza tra uno spirito e un involucro può essere anche disarmonica, perciò uno spirito agisce adattando la materia.

L’assonanza è la vibrazione armonica e la dissonanza è disarmonia perciò abbiamo vibrazioni carenti. Il risultato è un risuonare di frequenze più o meno elevate, perché uno spirito emette le sue espressioni vibrando e nobilitandosi. Perciò il corpo viene sublimato in funzione della qualità dello spirito che ospita.

Il karma agisce quando spinge uno spirito a cercare certe vibrazioni piuttosto che altre, perché uno spirito non aderisce alle vibrazioni che prescindono dalla qualità dell’involucro. Siamo tutti spiriti che vibrano, perciò siamo in assonanza o in dissonanza uno con l’altro, e diventiamo disarmonici o armonici vibrando su la frequenza assonante.

Risuoniamo in accordo con gli altri quando entriamo in comunione con quelli che ci somigliano, perciò vibriamo all’unisono con loro. Un vibrare simultaneo è un vortice energetico, perciò il vortice è la forma che lo spirito usa per esprimersi. Lo spirito si amplia e si restringe quando sente l’amore o l'odio, perché usa il contrasto per l’amore di superare tutte le limitazioni.

L’amore di trascendere la forma è presente nella necessità di unirsi degli spiriti incarnati, perché abbiamo il desiderio inesauribile di sentirci uniti. La frequenza vibratoria ci fa aggregare, ma la forza delle vibrazioni è condizionata dalla loro struttura, e tutto dipende dalla qualità della vibrazione.

Dicendo che l’uomo è vibrazione si dice che l'uomo palpita e si muove come una pulsazione cosmica. Il movimento impone la spinta, perciò l'essere e il movimento sono collegati. Gurdjieff dice che la manifestazione avvenne quando il punto si proiettò entrando nella linea del tempo, perciò lo spazio e il tempo diventarono la scena della rappresentazione cosmica che lo spirito sperimenta e impersona.

Buona erranza
Sharatan