martedì 6 settembre 2011

Un mondo demenziale


“Il mondo soffre di malattia mentale”
(Bertrand Russell)

La tesi centrale del libro di Pino Aprile, l’Elogio dell’imbecille, è che la maggioranza degli uomini si comporta da imbecilli, perciò muoversi contro la stupidità è stupido. E’ inutile prendersela con gli imbecilli e non capirlo è ridicolo, soprattutto dopo che la globalizzazione ha diffuso la stupidità come una epidemia planetaria. Potremmo dire che il mondo ha perso la testa, semmai l’avesse posseduta, ma il numero impressionante di dementi ci fa chiedere perché ci siano tanti imbecilli, perché siamo diventati così tolleranti con l’imbecillità, ma soprattutto se l'ottusità abbia una sua utilità.

Secondo Aprile il motivo è contenuto nel saggio di Darwin, “L’origine dell’uomo,” in cui si dice che l’uomo è molto simile alla scimmia da cui si distingue solo per il dono dell’intelligenza. Secondo la legge della selezione naturale solo i più adatti sopravvivono, e siccome i più adatti sono gli uomini essi sono riusciti a sopravvivere in forza dell'intelligenza. Sul pianeta la regola selettiva è il numero o la forza, perché la specie che è troppo forte deve avere pochi rappresentanti, mentre la specie più debole deve essere sopranumeraria.

Osservando la natura vediamo meno predatori che prede, infatti i leoni sono più forti ma sono in pochi, mentre le antilopi sono molte perché verranno predate: chiaramente per i pochi e deboli non esiste futuro. L’intelligenza è l’arma dell’uomo e ci ha permesso di dominare il pianeta pur essendo i più deboli e indifesi rispetto agli animali di altre specie. L’intelligenza ci ha salvato dall’estinzione, ma ora la situazione si è capovolta, perché il nostro numero è diventato troppo elevato e la nostra potenzialità mentale è diventata un pericolo per il pianeta.

Secondo l’ecologo James Lovelock il globo terrestre è un essere vivente, perciò l’ipotesi più attendibile è che sarà il pianeta a distruggere l’uomo per impedire che l’uomo distrugga il pianeta: pensare cose diverse andrebbe contro ogni principio evolutivo e contro la legge biologica secondo la quale si può avere il numero o la forza, ma non entrambi. Ma l’uomo diventa pericoloso solo se è sapiens, mentre se è imbecille il pianeta può sostenere meglio l’impatto della specie umana, perciò l’uomo imbecille diventa un rischio solo se si moltiplica troppo e troppo velocemente.

Allora è forse che l’intelligenza abbia esaurito la sua funzione naturale e la sua utilità? Sarà che l’intelligenza è inutile all'uomo come superflui sono pelo, zanne e artigli per essere un crudele assassino, come la storia recente dimostra? La nostra specie è ormai affetta da ipertrofia, dice Ernst Jonger, perciò ha perso ogni armonia con la natura, infatti l’intelligenza è diventata una dote troppo pericolosa e sembra che l’uomo vi abbia rinunciato. La dimostrazione evidente di questa affermazione è nel flagello del nostro tempo, cioè il morbo di Alzheimer, che è un male che uccide le cellule cerebrali.

La funzione dell’Alzheimer sembra essere di limitare l’intelligenza, infatti esso colpisce la memoria, la funzione del linguaggio e del pensiero astratto. Questa malattia è la mortificazione dell’intelligenza, infatti è responsabile di 1 caso di demenza senile ogni 2, perciò 1 anziano su 2 è affetto dalla malattia. La nostra società è già a rischio demenziale e il mondo invecchiando diventa sempre più stupido, perciò l’uomo moderno vive per rincretinire: e il rimbambimento raggiunge proporzioni crescenti mano a mano che aumenta l’età e l’aspettativa di vita.

Un grande studioso sovietico, Jury Lotman, afferma che la cultura è il cervello della società, perciò più che naturale avviene che la selezione divenga culturale, perché è la cultura che può ridurre sempre più le capacità intellettive umane. L’uomo è un animale sociale e siamo fatti per stare con i nostri simili, infatti assieme alla natura su noi agisce anche la cultura, infatti la cultura si accumula e si tramanda nel vivere sociale. Stare assieme è una caratteristica che aiuta la specie umana, poiché il frutto del genio individuale è condiviso tra tutti, infatti l’intelligenza produce dei vantaggi per tutta la specie.

Se è il genio che produce i progressi umani, dei vantaggi ottenuti ne possono usufruire anche gli imbecilli, infatti le nozioni e le idee diventano un patrimonio comune e sono tramandate con la cultura. E’ solo in virtù della cultura che i migliori e più dotati uomini producono dei miglioramenti che restano come patrimonio dell’umanità, però anche il più tonto può usare le invenzioni dei geni. In qualche modo è l’intelligenza che contribuisce a favorire gli scarti della specie, e le conseguenze rendono più drammatica la situazione, in quanto la cultura - contrariamente alle aspettative - tende a inibire l’uso delle facoltà intellettuali, perché è ostile alla riflessione e all‘innovazione.

Il potenziale mentale è mortificato quando troppi si accontentano del sapere accumulato e condiviso, perciò troppi diventano pigri e inerti a livello mentale, infatti il metodo soffoca l’ingegno e lo sostituisce con le risposte pronte. La scintilla del genio risplende, dice Aprile, e la cultura cattura quel lampo, ma lo usa per accecare la mente, perché fa ripetere il metodo all’infinito, perciò la ripetizione diventa una mortificazione delle risorse mentali. Gli esercizi banali riducono l’intelligenza, perché essa ha bisogno di continui stimoli e di mantenersi in attività, infatti come ogni organo fisico si potenzia con l’uso, ma con l’immobilità si atrofizza.

Se la cultura favorisce le risposte pronte, l’ingegno che si affina con la necessità, retrocede e poi si riduce. La tecnologia riduce tutte le difficoltà della vita, perciò i geni diventano inutili, quindi il meccanismo culturale mette le soluzioni al servizio degli imbecilli che si moltiplicano meglio. Gli utensili culturali sono gli strumenti tecnici, ma sono anche i metodi logici e le forme di organizzazioni sociali: tutto questo è il prodotto della mente geniale che viene usato anche dall'idiota. Il mondo diventa a misura di imbecille quando consegna le sue macchine più complesse e pericolose in mano a persone che erano folli, psicopatiche, perché affette da disturbi nell'uso della saggezza, dell’intelligenza, della tolleranza, dell’altruismo e della solidarietà.

L’uomo è l’unico che mette a disposizione dei suoi simili gli strumenti necessari per garantire la sopravvivenza. E’ l’intelligenza che ha permesso il paradosso, infatti le sedimentazioni del sapere si tramandano da padre a figlio, perciò l’istinto dovrebbe aiutare a non commettere in futuro gli errori fatti in passato. L’uomo esperto del mondo si rende conto che il pianeta è pieno di imbecilli, e che ciò deriva dalle stesse organizzazioni umane, sebbene si potrebbe credere che l’uomo scelga sempre ciò che gli convenga, perciò che l'uomo scelga in base a criteri ragionevoli.

Un limite dell’intelligenza è di credere che il mondo operi per il bene e che si comporti in base a questo presupposto, ma questo vale per le persone sane mentalmente, mentre gli imbecilli non funzionano così. Il vero quesito è come il mondo possa ancora funzionare, e la risposta è nella struttura delle organizzazioni umane, infatti l’imbecillità ha preso il posto dell’intelligenza nella direzione del mondo. Le strutture umane sono gerarchiche, e le gerarchie usano la burocrazia che ama la stupidità, infatti la stupidità sostiene la struttura burocratica e ne garantisce il futuro. Le burocrazie, in questo senso, diventano positive perché riescono a riunire gli uomini sapiens e renderli perfettamente idioti.

Se le guerre riescono a sterminare i migliori, la burocrazia - che è la rappresentazione evidente dell’istinto sociale uomano - sa riunire i cervelli per spegnerli più velocemente, perché fa una lotta accanita all’intelligenza, e questa guerra caratterizza tutta la nostra cultura. La burocrazia usa le gerarchie e le gerarchie si comportano in modo ottuso, non tanto perché sono composte da cretini ma perché, se sei nella gerarchia, ti devi comportare secondo le regole. I comportamenti gerarchici sono sottoposti alle regole condivise da tutti, perciò le regole si devono rispettare: esiste un modo di fare le cose, e non bisogna far altro che attenersi a quel modo di fare.

La mente umana è portata alla critica e alla ricerca di novità, essa ama la sfida delle sue capacità, e si chiede il perché di ciò che sta facendo, vuole saper come si fa una cosa e se si potesse far meglio. La gerarchia ama la stessa procedura, perciò se arriva una mente acuta e curiosa che fa troppe domande inizia a disturbare e si rischia che nulla vada avanti. Discutere sulle cose, confutare comportamenti e procedure paralizza il sistema e compromette l’organizzazione, perciò il genio diventa un sovversivo quando non applica la norma ma la discute, in quanto causa la crisi del sistema.

L’intelligenza e lo spirito critico rallentano il funzionamento della società e l’acume mentale produce confusione e sovvertimento sociale, perciò il sistema reagisce e preferisce l’individuo imbecille. La stupidità è necessaria e diventa vitale per la società, perché è solo sulle gambe dell’imbecille che può marciare una regola ottusa, perciò il compito della gerarchia è d’incrementare l’imbecillità. La struttura sociale impone ai singoli di conformarsi ai comportamenti adeguati, e così produce un potente livellamento verso il basso.

Così oppresso, lo spirito critico e le doti intellettuali vengono sempre più depresse e spente, infatti il genio inserito nella struttura gerarchica viene reso inoffensivo. Se la società richiede il rispetto delle regole l'intelligente può fingersi imbecille, mentre il contrario è impossibile. Chiaramente l’intelligente può capire che rendere le società meno idiota si basa sull’equivoco che il desiderio di rendere meno scemi gli organismo sociali è possibile, perché essi funzionano solo se restano idioti. L’umanità, ci dice Aprile, si divide in due categorie, di cui la prima è composta da quelli che si impegnano per modificare la società, e poi ci sono quelli che hanno capito che tutto funziona se resta com’è, perciò si adeguano a quello che trovano e vi soggiacciono.

La persona intelligente si può adeguare alle strutture ma poi, nel tempo libero, coltiva le sue vere passioni riponendole nel tempo che tutti dedicano ai passatempi preferiti. Alcune volte vi sono alcuni che riescono a cambiare le cose e diventano dei veri riformatori, ma essi sfuggono anche alla categoria degli intelligenti perché sono molto di più: la norma generale è che le strutture sociali sopportano solo dosi limitate di intelligenza, di senso critico e d’innovazione. Se lasciassero spazio a queste caratteristiche tutto crollerebbe, perché la gerarchia non ha bisogno di persone troppo capaci, infatti nella gerarchia avviene la parcellizzazione delle funzioni, in quanto le competenze sono frazionate fino ad avere dei compiti semplici a misura di cretino.

Non c’è limite alla parcellizzazione degli incarichi creati per non mettere in crisi le persone incompetenti, perciò l’imbecillità non può che aumentare fino a creare un mondo a misura di citrullo. Una struttura di imbecilli non può che ampliarsi, perché i requisiti d’accesso sono talmente bassi che tutti possono accedere, perciò il loro limite numerico è infinito, anche se nessun cretino è disposto ad ammettere di far parte della categoria, soprattutto se occupa una posizione di responsabilità. Anche nei posti di potere troviamo dei rappresentanti della categoria, infatti gli imbecilli tendono a votare per eleggere chi gli assomiglia, perchè li può meglio rappresentare.

Questo modo insano di fare è inconsapevole, perché ognuno fa al meglio di quello che può, infatti la gente vede che le cose vanno avanti, perciò si adegua a ciò che trova. Le società umane sono degli organismi viventi, perciò dimostrano gli stessi istinti di sopravvivenza degli esseri viventi, infatti vogliono nutrirsi per crescere. Molte volte non comprendiamo questa strategia del potere, ma è più facile se sappiamo che tutte le organizzazioni vogliono vivere, perciò le società affermano che la soluzione è espandersi essendo un fatto naturale. Affermare che la crescita è naturale è vero, ma anche gli alberi più maestosi non arrivano mai a toccare il cielo, perché sanno che i rami troppo alti non avrebbero più il nutrimento sufficiente per prosperare.

Diventare troppo grandi equivale a diventare troppo vulnerabili e perciò equivale a condannarsi all'estinzione che si vuole rifuggire: ognuno ha limiti e l’intelligenza capisce quando si arriva a sfiorare il limite per non doverlo oltrepassare. L’uomo sta rischiando la sopravvivenza per l’ottusità della massa, ma l’intelligenza conserva la sua potenzialità, perché con la ragione possiamo prendere delle decisioni che non sono condizionate solo dall’istinto. La cooperazione tra le persone intelligenti moltiplica queste capacità e non è affatto un’eccezione, infatti in tutte le società sono esistite un numero minimo di persone che hanno lottato per ridurre la stupidità e per stimolare l’uso dell’intelligenza.

In tutti i tempi sono esistite un numero minimo di persone migliori, perché tra pochi è più facile discutere, ascoltare, riflettere e poter essere ascoltato e compreso senza correre il rischio di mortificare l'intelligenza. Questi nuclei non sono un danno, ma sono la parte più salubre delle organizzazioni umane, perché aumentano l’efficienza e l’efficacia delle risposte delle organizzazioni. Queste unità minime vanno mantenute per impedire il totale rincitrullimento della società di cui fanno parte, perché le dittature sopprimono la libertà di pensiero, ma anche le democrazie lo fanno essendo più facile avere il voto di teste vuote.

Tutte le forme di potere cercano di creare la consonanza del pensiero e del desiderio per poter massificare le persone, perciò usano l'imbecillità: questa è l’essenza del potere ed è anche il risultato delle scelte culturali delle società. Borges diceva che più acuta è la mente e più gli uomini di talento sono costretti a sentirsi contemporanei con le persone del passato, perché per trovare persone del loro stesso livello devono risalire di secoli indietro: persino Omero, dice Borges, fu costretto a narrare di fatti risalenti ai secoli precedenti.

La specie umana si è evoluta, ma poi ha arrestato lo sviluppo intellettuale, ma è tempo che la natura torni a prevalere sulla cultura, dice Aprile, e che la nostra specie rientri nell’equilibrio della vita del pianeta smettendola di sconvolgere la terra prima che il pianeta comprenda che deve difendersi dall’uomo. Ma queste cose richiedono intelligenza, mentre la nostra vita è sempre più meschina e sottomessa all’imbecillità dilagante, oppressa dalla volgarità diffusa e segnata dall’indifferenza con cui si distruggono le cose più belle.

Si stanno distruggendo le qualità umane migliori come la gentilezza, la cura e l’attenzione verso il proprio simile, perché la nostra specie è tanto stupida da essere autolesionista. La nostra specie è tanto feroce contro se stessa da aver pianificato gli stermini di intere categorie di persone, infatti anche l’intelligenza può essere usata male. Il male viene quando si sa che esiste un limite da non valicare, ma il limite si valica impunemente: di questo dobbiamo diventare consapevoli, se non vogliamo andare verso la rovina. E questo sarebbe utile anche per dimostrare che l’intelligenza non è ancora scomparsa del tutto, altrimenti in futuro l’uomo sarà studiato non più dalla psicologia, ma dall’archeologia. (Pino Aprile - L’elogio dell’imbecille - Piemme, 2010)

Buona erranza
Sharatan



2 commenti:

Massimo ha detto...

Dunque le raffinate élite che ci governano, sono composte anch'esse da idioti. Lo avevo sempre sospettato.
Condivido quasi completamente la tesi di Aprile. Eccepisco solo nell'attribuzione di vita propria al pianeta Terra, il quale, alla lunga, si sbarazzerà di noi poveri idioti.
Non credo che il pianeta sia un organismo autonomo, credo piuttosto che i poveri idioti prolifereranno fino a sguazzare nei propri escrementi e semmai saranno i protagonisti della propria estinzione. Ma per questo ci vuole ancora parecchio tempo.
Oppure gli idioti, pur non diventando più intelligenti, correranno ai ripari quel tanto che sia sufficiente per ritardare il disastro. Basta fare diventare l'ecologia una moda.
L'homo sapiens si sta dimostrando un cancro. Né più, né meno.
la capacità di creare bellezza e armonia è quasi incidentale, rispetto alla capacità di creare immondizia.
Tuttavia questa bellezza esiste, ed è propria dell'homo sapiens.
Essa svanirà, forse, con lui, l'essere che percepisce e concepisce la bellezza.
Grazie per l'ospitalità e complimenti per l'interessante blog.

Sharatan ain al Rami ha detto...

Benvenuto Massimo,

io apprezzo molto l'analisi di Aprile, a cui mi associo, e devo ammettere che l'evoluzione a cui è giunto l'uomo è quella della demenza di cui Aprile scrive. Noi siamo alla svolta.

Sull'ipotesi di Gea come organismo vivente, io penso che la priorità sia la sopravvivenza della terra. Il pianeta è l'opportunità per chi ci vive oggi e per chi verrà in futuro.

Ma anche pensare un pianeta senza uomini è tremendo, perché noi siamo nati per essere sulla terra, e tutto il progetto umano è legato al destino del pianeta.

Spero e credo che la cosa essenziale sia che un nucleo di persone intelligenti sia sempre presente, ma se prendesse il potere sarebbe meglio. Spero che si voglia cambiare prima di arrivare al punto in cui si dovrà scegliere tra l'uomo o la terra.

L'unica cosa che mi fa propendere per la sopravvivenza della terra è il pensiero che il pianeta possa vivere anche senza di noi, ma che l'uomo non può vivere senza di lei. Già da oggi, se tutti avessero il vizio di mangiare in eccesso come l'Occidente ci vorrebbero 2 pianeti e mezzo per sfamarci tutti. Già da oggi viviamo in eccesso perché c'è chi muore di fame.

Allora l'ipotesi che cretini si vive, ma da cretini soprannumerari non vivremo, come dice Aprile, diventa inquietante.

Credo che la bellezza che l'uomo sa produrre resterà sempre, c'è ancora chi sa creare bellezza e armonia, anche se sono una minoranza. Quanti Leonardo, Michelangelo, Mozart, Socrate, Gesù, Buddha, etc., cioè quanti innovatori e uomini di genio sono esistiti? Pochi. Nel tempo sono stati sempre pochi e scomodi, ma hanno saputo lasciare una traccia indelebile. Questa è la mia speranza per l'essere umano. Finché sa produrre bellezza e armonia conserva la speranza della salvezza. Forse in questo la pensiamo uguale, non credi?

Grazie per il tuo commento e per il tuo apprezzamento del mio blog.
Ti abbraccio caramente
Sharatan