mercoledì 24 maggio 2017

Giustificazioni



“Ormai nessuno ha più tempo per nulla.
Neppure di meravigliarsi, inorridirsi,
commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi.
Le scuse per non fermarci a chiedere
se questo correre ci rende felici sono migliaia,
e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle.”
(Tiziano Terzani)

È evidente che la crisi, che attualmente il mondo sta attraversando, e eccezionale, e senza precedenti. Ci sono state crisi di vario genere in diversi periodi storici, crisi sociali, politiche, nazionali. Le crisi vanno e vengono; le recessioni economiche, i periodi di depressione sopraggiungono, subiscono dei mutamenti e continuano sotto altra forma.

Lo sappiamo bene, queste cose ci sono familiari. Ma certamente la crisi attuale è qualcosa di diverso. È diversa prima di tutto perché non ha a che fare con cose tangibili, oltre il denaro, ma riguarda le idee. È una crisi eccezionale perché ha a che fare con la mente. Servendoci delle idee, pianifichiamo i delitti.

Ovunque nel mondo giustifichiamo il “me”, l’io, come mezzo per raggiungere un obiettivo che riteniamo legittimo. Una cosa simile non ha precedenti. Un tempo il male veniva riconosciuto per quello che era, ed un delitto era un delitto; ma ora lo si considera un mezzo per raggiungere un nobile risultato.

Che sia una sola persona o un gruppo di persone a commetterlo, per giustificarlo basta dire che serve a raggiungere obiettivi che porteranno dei benefici all’umanità. Ma questo significa che sacrifichiamo il presente al futuro: non importa se vengono impiegati mezzi deleteri, quando lo scopo dichiarato e di produrre un risultato che si ritenga benefico per l’umanità.

Questo implica la convinzione che, usando mezzi sbagliati, si possano ottenere giusti risultati; così abbiamo bisogno di un processo mentale per giustificare l’uso di mezzi sbagliati. Abbiamo costruito una imponente struttura di idee per giustificare il male, e sicuramente questo non ha precedenti. Il male è male, non può produrre il bene. La guerra non è un mezzo per ottenere la pace...

Abbiamo bisogno di ubriacarci per sapere che cos’è la sobrietà? Abbiamo bisogno di odiare per sapere che cos’è la compassione? Dovete fare la guerra, dovete distruggervi la vita per sapere che cos’è la pace? È evidente che il nostro modo di pensare non ha alcun senso: voi date per scontato che sia un’evoluzione, una crescita, un passare dal male al bene, e vi abituate a pensare secondo questo schema.

Certo, fisicamente esiste una crescita, una piantina diventerà un grande albero. Esiste il progresso tecnologico: Il progresso della tecnologia è andato avanti per secoli, consentendoci di passare dalla ruota all’aereo a reazione. Ma esiste un progresso psicologico, un’evoluzione psicologica?

Ci stiamo chiedendo se esiste una crescita, un’evoluzione del “me”, che partendo dal male consenta di arrivare al bene. Mediante un processo evolutivo che avviene nel tempo, il “me” che è il centro del male, può diventare buono e nobile? Evidentemente no. Quella struttura psicologica che è il “me”, che è il male, rimarrà sempre qualcosa di cattivo. Ma noi non vogliamo rendercene conto.

E crediamo che, col tempo, possa avvenire un cambiamento, una crescita che consenta all’io di realizzarsi. La nostra speranza, il nostro desiderio è che l’io, col passare del tempo, diventi perfetto. Ma che cos’è l’io, che cos’è il me? È un nome, una forma, un cumulo di ricordi, di speranze, di frustrazioni, di desideri, di sofferenze, di tormenti, di gioie passeggere.

Vogliamo che il “me” continui ad esistere finché diverrà perfetto; così diciamo che al di là del “me” c’è un “me superiore”, un Sé superiore, un’entità spirituale che è eterna. Ma siccome questa entità “spirituale” è frutto del nostro pensiero, rimarrà sempre confinata nel tempo. Dal momento che la pensiamo, è il prodotto della nostra mente. (Jiddu Krishnamurti, Il libro della vita, Astrolabio ed.)

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