giovedì 22 luglio 2010

Con cuore gentile e generoso


“Vigila dunque su di te,
e non appena trovi te stesso
rinuncia al tuo io.”

(Meister Eckhart - Istruzioni spirituali, cap. 3)


I nostri tempi sono ostili alla sensibilità, infatti sono pochi coloro che scommetterebbero sulla gentilezza e sulla generosità della natura umana mentre, la maggioranza, crede che queste qualità siano delle forme desuete ed ingenue di comportamento con caratteristiche per nulla premianti nei rapporti interpersonali.

La maggioranza crede che l’essere umano abbia una natura feroce e competitiva, e che l’uomo sia per i suoi simili un essere cattivo e pericoloso, cioè una bestia spietata e feroce, quindi un assassino che attua la caccia e l’omicidio dei membri più indifesi del branco. Qualcuno reputa che nei comportamenti sensibili e accorti alle necessità degli altri sia nascosta una delle forme migliori di auto-protezione, compiuta da persone che sono indifese e inadeguate alla feroce lotta per la sopravvivenza.

Secondo il sentire comune, gli altruisti e i generosi non hanno il coraggio e la forza per divenire degli animali spietati come tutti gli altri. Sebbene l'idea sia diffusa questo concetto di ferocia naturale è falso, infatti i generosi sono individui discreti e modesti che non amano farsi troppa pubblicità, e compiono le azioni altruistiche in modo discreto, e al riparo dai riflettori amati dai violenti e dai prepotenti.

Nell’essere gentili e cortesi, nel fare attenzione alla sensibilità altrui, nel moderare i nostri comportamenti nell’approcciarsi all'Altro, si nasconde uno dei piaceri maggiori che possiamo provare, ed è un comportamento assolutamente naturale. In realtà, la gentilezza e la cortesia sono qualità ingiustamente beffate dalla società moderna, perchè rischiano di farci apparire fuori moda e inadeguati al mondo moderno che insegue degli atteggiamenti aggressivi, e dei comportamenti volgari e arroganti, che sono nemici di ogni garbo e cortesia umana.

Erroneamente si crede che l’essere gentili sia da perdenti, e che bisogna divenire duri, inflessibili e impermeabili al sentimento e ai "moti del cuore" per essere dei veri vincenti nella giungla moderna. Ma l’uomo è veramente un lupo feroce che sbrana i suoi simili? Sembrerebbe la versione più gettonata dei giorni nostri ma, in realtà, è una versione fuorviata delle cose essendo frutto della totale ignoranza della nostra natura.

Dobbiamo sapere che, per tutta la storia, la natura umana è stata concepita come un’indole naturalmente buona e gentile, perciò naturalmente nobile ed elevata, e la rinuncia al credere questo ci ha privati di un piacere basilare per il benessere emotivo. Stranamente, essere gentili e cortesi oggi, equivale ad un piacere proibito e vergognoso da nascondere per timore di venire irrisi e beffati dagli altri, e per non apparire ridicoli o inadeguati ai tempi.

Risalendo nel tempo, apprendiamo che siamo stati turlupinati con una menzogna sulla natura umana infatti, risalendo al 64 a. C. troviamo il filosofo stoico romano Seneca che ci rivela che “Nessun uomo può vivere una vita felice se piega ogni cosa ai suoi propositi. Vivi per gli altri se vuoi vivere per te stesso” infatti, nella filosofia greca antica, esisteva la concezione che le persone hanno bisogno degli altri per sentirsi compresi e felici.

Anche noi, nei tempi infelici e alienati in cui siamo, avremmo tanta consolazione nel credere in una compagnia di simili che siano solleciti e affettuosi con noi. Il volere confidare nel sé non significa che dobbiamo fare a meno degli altri, poiché il sé di cui si ragiona è della specie più elevata, ed è un sé comune e condiviso che racchiude la medesima energia, perciò è un sé collettivo e non solitario.

Se nessuno di noi è un’isola, come diceva John Donne, noi dobbiamo pensarci come una “comunità della ragione” di cui, l'individuo, è una preziosa risorsa nella comunità degli umani a cui tutti apparteniamo. Il mondo é una enorme comunità che ci racchiude come un cerchio in un cerchio ancora maggiore infatti, noi siamo come i cerchi concentrici del tronco dell‘albero, in cui ogni cerchio è il segno del trascorrere del tempo, ed è il simbolo della sua storia in quanto concorre alla storia della sua intera esistenza.

L’amore e la generosità sono diffusi in ogni uomo, poiché esiste una naturale capacità alla gentilezza e alla cortesia che è inscindibile nelle persone più elevate a livello spirituale. Per la filosofia stoica il massimo piacere era costituito dalle felicità in grado di espandere l’anima fino al massimo del concepibile e, tra queste qualità vi era “la benevolenza verso i propri simili” secondo l’imperatore e filosofo stoico Marco Aurelio.

Se studiamo l’etimologia italiana della parola gentilezza vedremo che essa deriva dalla radice latina “gens” che significa gente, stirpe, razza o gruppo familiare, poichè la gentilezza è la capacità di essere solleciti ed amorevoli con gli altri, e di saperli trattare come se fossero dei membri della nostra stessa famiglia. Nell’antichità la gentilezza non era obbligata, ma si era tali perché era il modo ottimale per divenire dei veri uomini, e per nobilitare al massimo lo spirito.

La rivoluzionaria verità di Cristo di amare il fratello fu trasformata in un messaggio deviato, nel passaggio dalla setta ebraica alla costituzione della religione ufficiale, quando venne completamente ribaltato il significato originario del messaggio. Se Cristo voleva un mondo governato dall’amore e dalla sollecitudine dell’uno verso l’altro, tale concezione venne ribaltata da Agostino e dai Padri della Chiesa, secondo i quali il peccato originario aveva deviato l’uomo da ogni bontà originaria fino ad ucciderne la nobile natura generosa ed altruista.

Sebbene Agostino ne “La città di Dio” affermasse che “una santa carità” abbraccia il mondo intero, e che gli amici degli amici sono tutti coloro a cui l’uomo è legato dall’appartenenza alla famiglia umana, nella sua filosofia questo appare? L’uomo di Agostino è un essere immondo sprofondato nel peccato perciò incapace di sperimentare la bontà e la “caritas” a meno che non sia ispirato dalla discesa della grazia e della luce di Dio dentro di lui.

E’ evidente come le nobili virtù e le migliori qualità umane vengano così sottratte all’arbitrio dell’uomo e rispedite al mittente superiore, per cui Agostino come tutti i peccatori convertiti è un bigotto e un sepolcro imbiancato, che è la razza di cui è sempre stato pieno il mondo sia nelle epoche antiche come pure nella nostra odierna civiltà. Da Agostino a Calvino e oltre, avremo uomini che tuoneranno contro la corruzione dell‘uomo peccatore, come i membri del clero cattolico romano, che predicavano le pubbliche virtù praticando molti privati vizi, e che rinchiuderanno l’uomo per secoli nella tomba dell’essere spregevole trasformandolo in un verme di fango infettato dal demonio.

La cosa più strana di questa involuzione è che la parte maggiore della concezione pessimistica dell’uomo sia dovuta a un filosofo progressista che, alla fine del sec. 17., quando terminarono le brutali persecuzioni religiose pubblicò il saggio il “Leviatano” (1651). Thomas Hobbes, nel suo saggio, afferma che gli uomini sono delle bestie egoiste interessate solo al proprio benessere personale, perciò sono dei feroci e brutali combattenti di una guerra all’ultimo sangue che non vede nessun graziato tra i vinti, ma solo delle vittime e tanto sangue su di un campo di battaglia esteso quanto il mondo.

Ma noi dobbiamo capire che ragionare di vinti e vincenti è un modo errato di affrontare la vita, poiché dimostra che siamo invischiati nei meccanismi della paura e del terrore, e che reagiamo con un atteggiamento di chiusura condannandoci alla morte dello spirito, e della speranza futura. Fare resistenza agli impulsi generosi per affrontare la vulnerabilità di un rapporto a cuore sincero esposto all’Altro, non è un indizio di forza, ma è un atteggiamento da codardo mancante del coraggio di rischiare in modo totale e completo.

La vulnerabilità non è traumatica per le persone che sono veramente forti, poiché essi hanno la capacità di non temere alcun aspetto della vera natura umana. Noi siamo degli esseri umani e perciò limitati, quindi vulnerabili e fragili infatti, il nostro impegno nella ricerca del piacere o nella fuga dal desiderio equivale sempre al timore di ciò da cui vogliamo fuggire: non voler vedere questa verità equivale a restare infantili e limitati nella mente, perciò stupidi.

Avere paura di mescolarci ai nostri simili, perché sono percepiti come estranei significa avere paura della vita, poiché abbiamo il timore di mettere in campo la posta maggiore che abbiamo, perciò noi stessi che equivale al tradimento della natura fondamentale di noi, che è anche il maggior tradimento che possiamo fare quando viviamo male la nostra vita.

Sarà chiaro che il mandante del delitto è la moderna società capitalistica che ci vuole stupidi e timorosi di fare un salto di maggiore qualità evolutiva. Nella società moderna è funzionale l’individuo competitivo e crudele che, essendo immune ad ogni mitezza e finezza, si getta nel mercato economico con la foga del feroce guerriero che fagocita tutto perché è affamato di sangue e di conquista.

In questi tempi che sono assai ricchi di inumani, e di esseri feroci e aberranti ostili ai comportamenti gentili e generosi, il pensiero dell’uomo feroce appare assai seducente. Allora, mi ritrovo a pensare che una natura animale è fin troppo nobile per poter essere così presuntuosamente millantata da simili individui, poiché sarebbe un onore fin troppo grande avere la nobile fierezza della natura animale.

Poi mi ritrovo a riflettere sul fatto che le persone di gusto e di garbo, non seguono le mode altrui ma, piuttosto, impersonano solo sé stessi in modo originale e che, la lettura di "Elogio della gentilezza" dello psicanalista Adam Phillips e della storica Barbara Taylor è una lettura assai consolante da raccomandare a tutti i sensibili e i generosi che esistono nel mondo, affinchè ne attingano onore e orgoglio al loro modo eccezionale di essere gentili.

Buona erranza
Sharatan


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