domenica 4 novembre 2018

Suonare con lo spirito



La musica è una delle vie per le quali
l’anima ritorna in cielo.
(Torquato Tasso)

Un venerabile maestro cinese ha insegnato che, per praticare in maniera efficace qualsiasi arte, devi comprenderla a tre livelli differenti: quello teorico o fisico, quello ideativo o mentale, e infine quello integrale o spirituale. Anche se si sovrappongono, generalmente, questi livelli di comprensione sono consecutivi: vale a dire che devi compiere dei progressi sostanziali a un determinato livello prima di cominciare a dirigerti verso quello successivo.

Prendiamo per esempio la musica. Per produrre musica con uno strumento, il primo passo consiste nell’imparare alcune tecniche: come tenerlo, come suonare note e scale musicali, ecc. Queste tecniche sono necessarie, ma niente affatto sufficienti per fare musica.

Una volta acquisite alcune tecniche di base, puoi compiere il secondo passo: imparare alcuni dei concetti che sottostanno alle tecniche. Terrai lo strumento, e il tuo corpo, in modo tale che tu possa essere in grado di respirare correttamente, e quindi di mettere in pratica le tecniche acquisite ed eventualmente far fuoriuscire la musica dalla tua anima.

Le idee basilari che sottostanno alla semplice scala musicale includono lo sviluppo dell’attacco, il tono, la coordinazione e gli altri strumenti. Le idee basilari di una composizione includono espressione della melodia, armonia, cadenza. Le idee dinamiche che sono alla base della semplice scala includono varie possibilità, come il crescendo e decrescendo, nonché numerose altre sfumature. Tutte queste idee sono necessarie per fare della musica, ma ancora non bastano.

Cosa c’è , allora, oltre alle tecniche e alle idee? Lo spirito stesso dell’idioma musicale. Non importa se suoni musica bluegrass, country, folcloristica, blues, rock, soul, gospel, jazz, classica o di qualsiasi altro tipo. Ciascuna di esse ha il proprio particolare spirito, che è molto più di un semplice insieme di note e idee. Se il musicista riesce a catturare e a riflettere lo spirito della musica, la musica sarà giusta.

È lo spirito stesso del musicista a consentirgli di integrare lo spirito dell’idioma - vale a dire di fare suo il pezzo - ed è il talento del musicista a permettergli di riflettere quello spirito nella performance. E questo è vero anche in altre forme di arte e nello sport.

Un allenatore di tennis si è reso conto di questa verità. Ha detto che ci vogliono quindici anni per formare un giocatore: cinque anni per imparare i colpi (livello tecnico); cinque anni per imparare a usare i colpi all’interno del gioco (livello ideativo) e cinque anni per imparare a vincere (livello integrale).

Devi sentire lo spirito del gioco in modo che tu possa farlo tuo: vale a dire, trovare il tuo modo di fare un punto quando sei sotto pressione, oppure di strappare il servizio al tuo avversario o di vincere un match. Ogni tanto riuscirai a colpire una palla in maniera pulita e la piazzerai in maniera perfetta come succede a qualsiasi leggenda del tennis: senza pensarci consciamente.

Allora potrai affermare di avere raggiunto il tuo obbiettivo: avrai catturato lo spirito del gioco. In questi casi gli atleti dicono di essere “in zona” vale a dire di essere in vena. Quando sei “in zona” tutto si realizza in maniera semplice e naturale. Il tempo rallenta e non hai alcun senso di ansia o di fretta.

La tua tecnica non ti costa sforzo, le tue idee sono assolutamente giuste, la tua esecuzione impeccabile, il tutto senza pensiero conscio. Il tuo spirito si fonde con lo spirito del gioco. Tu diventi il gioco. Il cammino dello sviluppo spirituale è lo stesso di quello musicale, atletico o di qualsiasi altra natura, oltre a essere, ovviamente, il sentiero che contiene tutti gli altri.

Sia i musicisti, sia gli atleti si impegnano in esercizi spirituali, utilizzando vari tipi di strumento. Se tu metti da parte gli strumenti esteriori e sviluppi quelli interiori - essenzialmente respirando e condizionando la mente-ti ritroverai su un cammino spirituale che contiene tutti gli altri e che conduce all’ultima zona, quella che racchiude tutte le altre.

Non tutti sanno suonare o sono atleti, ma tutti respirano e pensano. Perciò, in teoria, tutti possono sperimentare la zona estrema. Alcuni affermano che la zona sia vuota, e che l’unico modo per abitarla sia di lasciare alle spalle il proprio Io. Questo è l’insegnamento zen, nonché quello di altre scuole buddhiste. Altri invece sostengono che la zona sia piena: piena di amore cosmico, di luce radiante, di musica divina, e che l’unico modo per entrarvi sia di fondere la tua goccia di spiritualità nel mare dello Spirito Divino che crea, sostiene, distrugge e rinnova il cosmo.

Krishna, incarnazione di Vishnu, si rivolge con queste parole ad Arjuna, prode guerriero demoralizzato:«Ogni qualvolta la spiritualità si dissolve e il materialismo è dilagante, allora o Arjuna, mi reincarno. In qualunque modo gli uomini cerchino di venerarmi, io li accolgo. Lungo qualsiasi strada loro camminino, essa conduce a Me.»

Se stai percorrendo un cammino spirituale, allora, nei momenti importanti della tua vita, incontrerai guide. A volte ti appariranno sotto le spoglie di persone benevole o malevole; altre volte si manifesteranno come eventi gioiosi o tragici; altre volte ancora appariranno come sensazioni sfuggenti o sogni intangibili. Le tue guide ti mostreranno ciò che vedi già, ma solo quando sei pronto a vederlo. Gli antichi cinesi lo sapevano bene:«Quando lo studente è pronto, l’insegnante appare.»

I musicisti, gli atleti e tutti coloro che hanno raggiunto i massimi livelli all’interno della propria disciplina o della propria forma di arte sono in grado di compiere performance eccezionali e spesso anche imprevedibili. Perché? Perché corpo e mente non impediscono più l’espressione dello spirito dell’arte. Al contrario: essi sperimentano l’unità dell’essere con la propria arte, con il proprio pubblico e con il miracolo cabalistico di ogni singolo istante.

Itzhak Perlman, il grande violinista è stato protagonista di un evento straordinario in occasione di un indimenticabile spettacolo tenutosi al Lincoln Center di New York. All’inizio di un’opera orchestrale, nella quale lui era il solista, gli si ruppe una corda del violino. Tutti i presenti udirono chiaramente il rumore prodotto dalla corda, e l’orchestra smise di suonare.

Di norma un musicista avrebbe sostituito la corda, il che avrebbe comportato un considerevole ritardo. Nel caso di Perlman, un’eventualità del genere avrebbe presentato un’ulteriore difficoltà. Vittima da bambino della poliomelite, cammina molto lentamente e con enorme sofferenza servendosi di tutori per le gambe e appoggiandosi a stampelle.

Quando sale sul palcoscenico, prima di iniziare a suonare, mette giù le stampelle e toglie i tutori. Se avesse dovuto sostituire la corda, avrebbe dovuto rimettersi tutto l’armamentario, scendere dal palco, quindi risalirvi e ricominciare tutta la trafila. Lui, invece, ha fatto qualcosa di incredibile. È rimasto al suo posto, con lo strumento privo di una corda e ha fatto cenno al direttore di ricominciare a suonare.

Jack Reimer, giornalista dello «Houston Chronicle», che era tra il pubblico, ha scritto in seguito:«E ha suonato con una passione, con una forza e con una purezza tali che nessuno mai aveva udito prima. Naturalmente tutti sanno che è impossibile suonare un’opera sinfonica solo con tre corde. Io lo so.

E anche voi lo sapete ma, quella sera, Itzhak Perlman si è rifiutato di saperlo. Quando ha terminato l’esecuzione, il silenzio ha avvolto la sala. E poi il pubblico si è alzato in piedi e gli ha tributato uno scroscio di applausi. Eravamo tutti in piedi, gridavamo e applaudivamo, facevamo di tutto per mostrargli quanto avevamo apprezzato ciò che aveva fatto.»

Poi Perlman si è schermito con un’osservazione profondamente filosofica e indimenticabile, almeno quanto la sua performance:«Sapete, a volte è compito dell’artista scoprire quanta musica si può ancora fare con ciò che rimane.» Possiamo applicare la morale di Perlman alla nostra vita, anche se non siamo musicisti di fama mondiale, né atleti. Anche vivere, infatti, è una forma d’arte che richiede la stessa perizia di musica o sport, se non di più.

Questa è la grande lezione che Jack Reimer e molti altri hanno imparato dall’esibizione di Perlman:«Forse, dunque, il nostro compito in questo mondo infido, che cambia in fretta e ci disorienta, è fare musica, prima, con tutto ciò che abbiamo, poi, quando non è più possibile, continuare con ciò che ci rimane.» Sì. E questa è la funzione del tuo spirito: fare musica, anche senza corde. (Lou Marinoff, Le pillole di Aristotele, Mondadori ed.)

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