sabato 29 agosto 2015

I tre guna



“Dal sattva nasce la saggezza;
dal rajas la cupidigia e dal tamas
la negligenza, l’illusione e l’ignoranza.”
(Bhagavad Gita 14, 17)

I vedantini insegnano che il campo della conoscenza è diviso in due parti: il soggetto che osserva e lo spettacolo. Le cose che formano lo spettacolo cosmico rappresentano il divenire e il divenire implica che nulla è stabile, per questo sorge il Samsara che corrisponde al mutare incessante dei fenomeni. L’osservatore coinvolto nel Samsara cerca di fermare la trasformazione e tenta di cristallizzare una realtà che, per sua natura, non può essere fermata.

Il Samsara è la causa dell’illusione dualistica di soggetto e oggetto, e l’ignoranza (avidya) è la causa del desiderio, della sete di possesso e dominio, della spinta alla conservazione e la tendenza alla cristallizzazione. Solo lo yogi perfetto comprende che il mondo dei fenomeni e delle attività è soltanto una danza di luci e di ombre che esprime la relatività, perché è l’espressione dei tre guna che vengono illuminati dalla Luce Suprema.

Solo lo yogi che ha superato la coscienza del corpo e il divenire del mondo comprende che l’identità personale è continuamente condizionata da tre qualità che fanno fluire il film della vita. Secondo i maestri del vedanta, la mente del soggetto coinvolto nel divenire costruisce delle realtà illusorie e distorte perché viene sottomessa dalle qualità della Natura Cosmica, dette “guna.”

La Natura Cosmica (Prakriti) è composta da tre qualità o attributi fondamentali ossia da: sattva, purezza; rajas, passione, e da tamas cioè d’inerzia. Poiché anche l’uomo fa parte dell’ordine naturale, anch'egli mostra i tre attributi fondamentali e viene condizionato dalle tre qualità fondamentali che creano il gioco cosmico dei fenomeni multeplici che intessono la dimensione del tempo-spazio.

Shankara dice che la coscienza viene proiettata nello spazio-tempo a causa della sua ignoranza perché, altrimenti, la coscienza resterebbe immutabile non avendo necessità di cambiare il suo stato di originaria beatitudine, esistenza e quiete. Tamas è l’inerzia, rajas è l’attività e sattva è la sintesi dell'inerzia e dell'attività.

I guna sono i fattori mentali che sono alla base dei processi psicologici e costituiscono i fattori che condizionano l’attività della mente. Essi sono alla base del senso dell’identità e del comportamento personale, perciò la loro purificazione è fondamentale per la guarigione della mente malata e per avere la retta percezione.

Secondo il Vivekacudamani che viene attribuito a Shankara, il tamas ha gli attributi dell’ignoranza, della rilassatezza, della pigrizia, del torpore, della negligenza e dell’ottusità. Chi vi soggiace non capisce nulla ed è insensibile come una pietra. La persona piena di tamas, dice Yogananda, si riconosce per le sue idee sbagliate sulla vita che sono profondamente radicate in lei a causa del suo comportamento insensato, della sua mancanza di autocontrollo, del suo orgoglio, della sua arroganza e del suo disprezzo per i buoni consigli altrui.

La mente dell’uomo tamasico è confinata nei centri più bassi: lombare, sacrale e coccigeo. La sua coscienza è spesso confusa e sempre più ignorante perché è discesa molto lontano dalla regione delle percezioni divine del cervello. Essa è anche molto al di sotto del livello intermedio del piano rajasico o piano di mezzo. Il centro coccigeo o inferiore è quello che stimola le attività sessuali, e chi dimora stabilmente in questo chakra è un prigioniero incatenato da maya al mondo della dualità, all’inerzia e alla sofferenza.

Le persone tamasiche fanno sprofondare la loro mente nel chakra più basso perciò restano intrappolate nel male cioè nell’identificazione dell’io con il corpo, nelle relazioni sessuali illecite, nei rapporti disonesti e così via. Il guna rajas ha la natura dell’attività e possiede un potere proiettivo. I suoi attributi, secondo Shankara, sono il desiderio, la collera, l’avidità, l’arroganza, l’odio, l’egoismo, l’invidia, la gelosia da cui nascono degli atteggiamenti estrovertiti perciò lui stesso è l’autore della sua schiavitù.

Rajas è la sete di emozioni egoistiche e acquisitive che spinge le persone alla lotta per il potere. La pressione di rajas assoggetta la volontà ai fini utilitaristici, perciò il rajasico è sempre competitivo mentre il tamasico è passivo. L’uomo rajasico si riconosce perché coltiva solo desideri materiali, fa continui sforzi per acquisire sempre più ricchezze, possessi, prestigio e potere. La mente del rajasico dimora nel centro dorsale e nel cuore, cioè nel mezzo, ed è equidistante dai chakra più alti e da quelli più bassi.

La mente totalmente impregnata di rajas vivendo nel piano dorsale è piena di simpatie e di antipatie, di attaccamenti e di avversioni. Essendo nel mezzo, la sua coscienza ha il potere di salire nei centri elevati della testa per ottenere saggezza e fissare la sua attenzione sull’occhio spirituale, oppure di volgersi verso il basso cioè verso le sfere inferiori dell’illusione.

Nella mente dominata da tamas o da rajas non si sviluppano mai qualità etiche, perciò la sofferenza è sempre presente come conseguenza di una mente separata e ignorante. La correlazione tra il corpo e la mente predispone le personalità tamasiche a disturbi vagali come le coliche, invece i tamasici sono predisposti a disturbi del sistema simpatico come la gastrite e le ulcere.

Il guna sattva è la sintesi dell’inerzia e dell’attività e possiede il potere di armonizzare. Le qualità sattviche sono l’assenza dell’orgoglio, la non violenza, la non falsità, la non appropriazione, la non ossessività, la purezza, la continenza e la profonda avversione per il non-reale.

La percezione sattvica vede l’interezza dietro l’apparente frantumazione, la causa oltre l’effetto perché è sattvica la conoscenza in cui ogni essere riconosce l’Unico Essere imperituro e immutabile all’interno di tutte le esistenze divise. Secondo la tradizione vedantina, solo le qualità sattviche permettono la percezione della verità. La condizione di questa mente pacificata e colma di valori spirituali riesce a realizzare in pieno le potenzialità delle funzioni mentali.

I sensi dei sattvici riescono a penetrare nel mondo materiale, l’intelligenza è analitica perciò penetrano nelle sue organizzazioni e l’intuizione supercosciente può farli accedere all’esperienza archetipa dell’anima. I sattvici vedono, sentono e parlano in armonia con quello che si vede perciò emanano l’amore e il bello, e vibrano nel buono perciò esprimono l’accordo nello spazio che illuminano intorno a loro.

Non attaccata a nulla e libera da ogni condizionamento del desiderio, la mente sattvica, non viene limitata dalla separatezza dell’io perciò contempla l’Unità del creato. Sattva è l’unico guna che permette una percezione realistica perciò è evidente che, per accedere alle verità superiori, dobbiamo sviluppare le virtù etiche. Il rapporto tra etica e consapevolezza ha un ruolo centrale in questo approccio spirituale, ma queste virtù andrebbero sviluppate anche oggi per il bene del nostro pianeta.

Le qualità morali influenzano la percezione, e il possesso dei giusti valori etici è la condizione primaria per una perfetta visione e per l’acquisizione della retta consapevolezza, sia nell’induismo che nel buddismo. L’illusione o ignoranza rappresenta una nebulosità di percezioni che causano la mistificazione degli oggetti della consapevolezza, perciò è considerata la sorgente degli stati mentali patologici.

Gli aspetti dell’egoismo, del dubbio e dell’assenza di rimorso e vergogna per il male che si è fatto sono considerati i principali fattori di illusione percettiva. Le virtù e i vizi agiscono accanto ai conflitti e ai complessi definendo il modo in cui un soggetto vede il mondo, e condizionano il modo con cui reagisce ad esso: i comportamenti conflittuali o unitivi decidono il destino del singolo e quello del mondo. Nei rajasici e nei tamasici prevalgono i comportamenti passivi e conflittuali, invece nei sattvici prevalgono i comportamenti unitivi e armoniosi tipici dell’amorevole discriminazione.

Buona erranza
Sharatan

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