sabato 21 giugno 2008

Costruire la resilienza


Il termine resilienza ha vari significati: nell’ingegneria indica la capacità dei materiali di resistere agli urti, in informatica è la capacità di resistere all’usura e di autoripararsi, in ecologia e biologia è la capacità di riparare un danno e nella psicologia è la capacità di superare le avversità della vita. Ma quali elementi entrano in gioco, nella vita delle persone affinchè si riveli la capacità di risollevarsi dopo un trauma o un profondo dolore?
“Ogni persona brilla con luce propria fra tutte le altre. Non ci sono due fuochi uguali, ci sono fuochi grandi, fuochi piccoli e fuochi di ogni colore. Ci sono persone di un fuoco sereno, che non sente neanche il vento, e persone di un fuoco pazzesco, che riempie l´ aria di scintille. Alcuni fuochi, fuochi sciocchi, né illuminano né bruciano, ma altri si infiammano con tanta forza che non si puó guardarli senza esserne colpiti, e chi si avvicina si accende” dice Eduardo Galeano.
In effetti tutti hanno una naturale capacità di recupero da situazioni di profondo stress, da catastrofi, da lutti, da delusioni e fallimenti, ma la velocità ed intensità della reazione dipende dalle capacità individuali e la capacità di usare costruttivamente l’esperienza dolorosa, può essere appresa. Umberto Galimberti, afferma che, una volta la si chiamava "forza d´animo", definita da Platone "tymoidés" e che ne indicava la sua sede nel cuore, poiché qui risiede il sentimento. Ed il sentimento, lungi dall’essere languore o debolezza, è vera forza. Forza di decisione sulla vera strada da seguire, per non sentirci “stranieri nella nostra vita”. Guai a volere seguire una strada che non sia condivisa dal nostro cuore, poiché da questo nasce il nostro male di vivere, la nostra infelicità.
“Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l’animo si indebolisce si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l’anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d´animo.”
Possiamo imparare molto dalle persone che sono state gravemente oltraggiate dalle ferite della loro vita, possiamo vedere con quali strategie hanno saputo riparare ai loro traumi e come sono riuscite a ricostruire una nuova vita, più sana e soddisfacente. Cambiando il punto di vista possiamo scoprire che il trauma rappresenta una sfida che mobilita le proprie risorse interne e che non ci possiamo sottrarre a tale sfida, perché può darci le chiavi di un nuovo corso, migliore e più costruttivo. Avere una buona capacità di autoanalisi rende molto più facile il recupero da delusioni e da traumi, ci rende poi capaci di capire da quale parte riprendere in mano le redini della nostra vita, per potere ripartire con il piede giusto. Comunicare con gli altri e socializzare, mette in evidenza la fondamentale condizione umana, costruita su lezioni anche dure, che però possono farci crescere e migliorare. Albert Bandura, celebre psicologo cognitivista canadese, afferma che l’uomo è in grado di selezionare e strutturare le esperienze che possono agire a loro volta, verso la promozione delle sviluppo o verso la distruzione del proprio Sé. Insomma l’uomo costruisce ciò che vuole costruire, nulla avviene a caso, nemmeno per la psicologia moderna.
Avere sofferto ci rende maggiormente empatici rispetto al nostro prossimo, ci rende più sensibili e recettivi. Cerchiamo allora il significato della nostra sofferenza, come insegna il buddismo, ed impariamo a chiederci che cosa essa ci voglia insegnare. Tutta la vita è un cammino disseminato di sfide e di difficoltà, ed imparare a gestirle e farle fruttare è il solo metodo intelligente per crescere e stare meglio. Certamente è essenziale avere figure di riferimento, persone che ci vogliono bene e che ci sostengano durante il nostro lavoro di ricostruzione, con il loro affetto e la loro comprensione. Un fattore essenziale che aiuta a costruire resilienza, è la capacità di socializzare e di raccontare, il dialogo ed il racconto. Il racconto dell’esperienza subita può anche essere fatto a noi stessi, ma è importante che si abbia il coraggio di dichiarare le cose per come sono. Un valido aiuto è potere usare l’umorismo per ha una forte valenza liberatoria, potere arrivare a ridere del nostro dramma dimostra una grande tolleranza per i nostri errori e per le nostre incapacità, per la parte più maldestra di noi stessi. Cercare occasioni di allegria e di condivisione sociale, aiuterà poi a costruire una nostra immagine sociale non collegata al ruolo della vittima, ma a quella di una persona combattente e di un attivo timoniere.
Così inizia la guarigione e la rinascita alla nuova vita, a cui siamo chiamati spesso cambiando completamente pelle o forse, per la prima volta, indossando i nostri veri abiti, utilizzando il nostro vero essere e guardando con commiserazione l’immagine di chi eravamo: paurosi, mediocri, senza sentimenti e senza nobiltà, senza coraggio, addormentati nel sonno di passioni mediocri e di sentimenti scoloriti. Impariamo ad essere coraggiosi come costoro che, ci ricorda Galimberti, sono muniti “del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.”
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami

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