martedì 11 novembre 2008
In equilibrio tra la ragione e la passione
“Sempre e dappertutto, l'uomo non perde mai il senso della propria esistenza e tutto va fatto per aiutarlo a riscoprire tale senso ed a tradurlo nei comportamenti e nelle scelte di ogni giorno”. Così scriveva Viktor Frankl il fondatore della logoterapia, un uomo che era soggiornato tra il 1942 e il 1945, in 4 campi di concentramento nazisti, tra cui quelli di Auschwitz, Birkenwald e Dachau, e che aveva tratto frutto da queste esperienze per le sua successiva attività terapeutica.
In “Come ridare senso alla vita”, afferma: “la gente vive nel vuoto esistenziale e tale vuoto esistenziale si manifesta soprattutto in uno stato di noia […] effettivamente sono in notevole aumento coloro che si rivolgono a noi accusando un senso di vuoto interiore, da me descritto e indicato come “vuoto esistenziale”, un senso cioè di abissale assurdità della propria esistenza. […] L’esigenza profonda e radicale insita nella persona viva non è la volontà di potenza, né la volontà di piacere, ma è la volontà di significato.” Ma il significato, egli afferma, “non deve essere conferito, ma va trovato. E la coscienza viene in nostro aiuto in questa ricerca di significato”. La coscienza è un organo di significato poichè é la “capacità intuitiva di scoprire il significato, unico e singolare, nascosto in ogni situazione”.
Secondo il neurofisiologo Antonio Damasio, una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze, la coscienza inizia come un sentimento, per cui la coscienza e l’emozione non sono separabili, poiché la prima è indissolubilmente legata al sentimento del corpo. Perciò, dal punto di vista evolutivo le emozioni sono delle risposte fisiologiche, che mirano ad ottimizzare le azioni intraprese dall'organismo nel mondo che lo circonda. Il neurofisiologo portoghese dimostra inoltre, che certi meccanismi cerebrali sono comuni sia alle emozioni che alla coscienza, giungendo alla conclusione che la coscienza rappresenti un aspetto ausiliario della nostra dotazione biologica di adattamento all'ambiente. Perciò quello che viene definito l’equilibrio tra la passione e la ragione, non è altro che la nostra capacità di saper reagire adeguatamente all’ambiente e agli stimoli che esso ci offre.
E’ Cartesio che attua la separazione tra il corpo e l’anima, creando una visione meccanicistica secondo la quale, il corpo umano è simile a un grande meccanismo a cui viene negata ogni esperienza di sacralità e consapevolezza cosciente.
La filosofia di Cartesio usa la semplicità e il rigore delle scienze matematiche e geometriche, che si fondano su postulati certi ed evidenti dai quali poi derivano, per deduzione, tutti gli altri principi. Ancora oggi, è questo il tipico atteggiamento del pensiero scientifico e innanzitutto della medicina moderna, cioè il considerare i corpi alla stregua di meccanismi, che possono essere “riparati” e “aggiustati” una volta conosciuti i veri motivi del “guasto”; il meccanicismo cartesiano è una naturale conseguenza del razionalismo assoluto della sua filosofia.
Nel “Trattato sull'uomo” Cartesio afferma “Suppongo che il corpo non sia altro che una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla il più possibile simile a noi.” Per conciliare la questione dell’unità di mente e corpo, egli ammette che l'Anima o Mente è unita principalmente a una parte del cervello, cioè alla ghiandola pineale, per mezzo della quale la Mente sente tutti i moti che sono eccitati nel Corpo e gli oggetti esterni. Afferma che la Mente può muovere in vari modi questa ghiandola, basta che lo voglia. Da ciò conclude che non c'è alcuna Anima tanto debole che non possa, se ben diretta, acquistare un potere assoluto sulle sue passioni. Questi assiomi cartesiani causano la scissione tra il sentimento e la ragione, ma anche uno stato di estrema povertà spirituale della mente occidentale, disinteressata ad ogni tipo di indagine spirituale e priva di istanze spirituali rivolte all’indagine della nostra coscienza e della natura del nostro stato interiore, del nostro intimo essere.
“Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante” affermava poeticamente Kahlil Gibran, intuendo empaticamente le verità scientifiche di Damasio. Condannare le passioni e cercare di soffocarle non ha senso, poichè la passione non potrà mai essere bandita dall’animo dell’uomo e se lo facessimo, il mondo sarebbe inumano. Ma non ha senso neanche essere in completa balìa di tutte le emozioni e di tutti i desideri, sbattuto come una foglia al vento.
Nella condizione umana vi è la necessità di provare dei sentimenti forti, siano essi positivi come l’amore, la gentilezza e la gratitudine, ma anche dei sentimenti negativi come l’odio, l’invidia e la frustrazione, solo che dovremmo sempre ricordarci che questi sentimenti ci spingano ad agire nel loro interesse, piuttosto che nel nostro. In questo hanno ragione le concezioni spirituali che vedono le passioni come entità che rubano e fagocitano le nostre energie vitali. Insomma, le passioni non devono annullare la ragione e la loro espressione è necessaria, sia per assaporare la corporeità umana, sia per aumentare il nostro livello di consapevolezza cosciente. Infatti gli esseri umani attuano delle evoluzioni in virtù di emozioni e di sentimenti, ma a condizione che si trovi un giusto equilibrio tra loro, cioè lasciando esprimere il lato animalesco che è racchiuso nella natura umana ma sapendo ascoltare la coscienza, che ci ricorderà della somma aspirazione umana: essere come Dio. La ragione funziona molto meglio se viene radicata nella passione, ed in questo caso, la nostra filosofia di vita fa la differenza.
Credere che, nella vita si raccoglie sempre tutto ciò che si semina e che non bisogna mai fare del male, altrimenti esso ci si ritorce contro, costituiscono due ottimi principi etici. Ragionando così, non si perde l’equilibrio personale e si focalizza la nostra passione sulla giustizia, piuttosto che sulla vendetta. Ragionando così impariamo ad assumerci la responsabilità delle nostre azioni e riusciamo a ricavare il meglio dalle situazioni che accadono.
Quando noi proviamo una risposta agli eventi, cioè siamo in preda alla passione, riusciamo a comprendere ancor meglio la connessione tra noi e l’evento accaduto: la nostra passione aumenta la nostra comprensione e aumenta il nostro livello di coscienza. Nella scrittura cinese l’ideogramma “crisi” è composto dagli ideogrammi “pericolo” ed “opportunità” volendo significare che, se nella crisi cogli le opportunità, allora non sei mai veramente in pericolo. La prima mossa da imparare è il dominio della paura, anche se questo non significa non provare paura, ma significa controllarla usando la ragione e la volontà. L’altro versante di riequilibrio di ragione e sentimento, è la guarigione da ferite psichiche ed emotive a cui tutti siamo sottoposti e che dobbiamo alleviare, ripetendoci che le ferite fisiche sono molto più dannose di quelle morali, perchè delle prime si cade vittima, ma dalle seconde si può anche completamente guarire.
Ricordiamo sempre che l’odio acceca la mente, mentre la tristezza può aprire gli occhi, per cui non dobbiamo maledire il ricorrere nella nostra vita di gioia e dolore, come pure i cicli di nascita e di morte, perché essi fanno parte della nostra condizione umana, mentre è la tortura mentale che ci affliggiamo, perpetrando volontariamente la sofferenza, che rende infernale sulla terra la condizione umana.
Riequilibriamo il cuore e la testa quando trasformiamo la nostra pulsione distruttiva in un desiderio costruttivo di apprendimento ed evoluzione. La sofferenza è uno stato della mente che possiamo modificare,ricondizionandoci.
Per alleviare la sofferenza, bisogna possederla e smettere di rimproverare gli altri per averla provocata, infatti solo possedendola ce ne possiamo sbarazzare, e per farlo bisogna sradicarne le cause reali. E’ essenziale trovare le vere cause che risuonano nel nostro animo, quelle nostre, perché appartenenti alla nostra biografia, e a cui il nostro pensiero si tiene ferocemente aggrappato, procurandosi nuovo ed imperituro dolore. Essendo consapevoli possiamo identificare la nostra personale sofferenza e possiamo sconfiggerla, uscendone enormemente arricchiti e maturati. L’armonia della vita e la maggiore profondità delle sue intime trame, ci devono fare intuire l’assoluta trascendenza dell’esperienza umana, il cui fine ultimo è di maggiore spessore e valore di ogni gioia ed infelicità personali. Dopo ogni notte dell’anima vi è sempre un’alba radiosa. Il soggiorno nella condizione umana ha un valore di maestosità e bellezza e la condizione umana è di tale nobiltà, che essa non si limita nel corso di una unica esistenza, proseguendo fino alla reintegrazione con l’armonia del Tutto, con l’Anima dell’universo. Non perdiamo mai veramente nessuno, non siamo separati mai veramente da nessuno che amiamo, nessun errore è veramente irrimediabile, vi è sempre una redenzione, vi è sempre un’altra opportunità. Nessuno ci giudicherà o sarà il nostro carnefice, perché non può torturarci il celeste e misericordioso Padre Divino.
Questa dovrebbe essere la dimensione con cui si dovrebbe vivere la vita e la sensazione relativa dovrebbe essere quella di una evoluzione sempre positiva. Tutti gli insegnamenti spirituali ci aiutano in questo senso, se non altro per sviluppare la nostra capacità di visione di un “Tutto maggiore” rispetto al “Piccolo tutto” del nostro mondo personale. “Infiniti significati derivano da un'unica Legge” diceva Siddharta.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento