mercoledì 9 settembre 2009

La spiritualità e il vecchio maestro


In un mattino del settembre 1927, Ludwig Binswanger si affrettava a raggiungere Freud, dopo il convegno dei neurologi e psichiatri tedeschi di Vienna. Era ansioso di contraccambiare la gentile visita che Freud gli aveva fatto in momenti difficili e, dovendo ripartire per Kreuzlingen subito dopo il convegno, non si sarebbero rivisti a breve termine e lui voleva cogliere l'occasione di vedere il grande psicoanalista. Binswanger era stato presentato a Sigmund Freud dal suo maestro Carl Gustav Jung, e sebbene da sempre fossero “in palese divergenza d’opinione” la stima e l'affetto che Binswanger nutriva per il geniale vecchio e per la sua “grande opera” era rimasta invariata.

Chiacchierando, vennero a ragionare su un caso concreto di gravissima nevrosi ossessiva, e Binswnager chiese a Freud la sua opinione su come mai in tali pazienti, ma anche in altri, non si riuscisse ad avere il classico "insight" psicanalitico, cioè quella intuizione del paziente, quel momento di apertura alla completa consapevolezza di sé, di cui necessita il processo di cura. Sia pure tentando ogni artificio tecnico e ogni sforzo, perché tanti soggetti non riuscivano a fare quella ridefinizione, quella riconfigurazione dello spazio del problema e il conseguente salto verso la soluzione? Perché tanti non avevano quella intuizione improvvisa, quell’input, quell’illuminazione che li potesse colpire come uno schiaffo in pieno viso, ma che li potesse scuotere e che fosse capace di aiutare il risanamento dell’anima?

Binswanger confessò a Freud, che era giunto "alla conclusione che la cosa mancante fosse una “carenza di spiritualità” che impediva a costoro di innalzarsi fino al livello di “comunicazione spirituale” con il medico, a quello stesso piano che “permetterebbe loro di rendersi conto delle proprie “tendenze pulsionali incosce,” di operare l’autosuperamento e insieme quest’ultimo passo definitivo. Non credetti ai miei stessi orecchi quando sentii la risposta di Freud: “Si, lo spirito è tutto.” Per quanto fossi propenso a ritenere che in quella sede per spirito egli intendesse qualcosa come intelligenza. Ma subito Freud riprese:”L’umanità ha sempre saputo di possedere lo spirito; io dovevo mostrarle che esistono anche degli istinti. Ma gli uomini sono sempre scontenti, non sanno aspettare, vogliono sempre qualcosa di totale e di compiuto; e tuttavia bisogna cominciare da qualche parte, e poi procedere lentamente in avanti.”

Quando Binswanger provò ad approfondire il concetto di religiosità umana, Freud lo interruppe deciso e disse: “La religione nasce dal desiderio di aiuto e dall’angoscia del bambino e dell’umanità ai suoi inizi; su questo punto non c’è niente da fare.” Poi andò alla sua scrivania e ne trasse il manoscritto “L’avvenire di un’illusione” di cui Binswanger intuì facilmente il contenuto. Quando Freud lo accompagnò alla porta, lo salutò con un leggero sorriso, saggio e ironico insieme e gli disse:"Purtroppo non sono in grado di rispondere alle sue esigenze religiose.” Binswanger conclude: “Mai il commiato da quel venerato amico, da quella grande personalità, mi fu difficile come in quel momento in cui, pienamente cosciente del “grande pensiero” che riempiva di sé la sua lotta titanica e che era diventato il destino del suo genio, mi tese la mano.”

Freud, da sempre critico sulle istituzioni religiose e non certo ostile alla spiritualità umana, come Binswanger ci testimonia in maniera inconfutabile, in “L’avvenire di un’illusione” del 1927, ha scritto: “Le rappresentazioni religiose sono scaturite dallo stesso bisogno che ha generato tutte le altre acquisizioni della civiltà, ossia dalla necessità di difendersi contro lo schiacciante strapotere della natura. Dobbiamo credere perché i nostri antenati remoti hanno creduto. Ma questi nostri avi erano di gran lunga più ignoranti di noi, hanno creduto cose che oggi ci sarebbe impossibile accettare. Le rappresentazioni religiose, che si presentano come dogmi, non sono precipitati dell'esperienza o risultati finali del pensiero, sono illusioni, appagamenti dei desideri più antichi, più forti, più pressanti dell'umanità; il segreto della loro forza è la forza di questi desideri.

La terribile impressione d'impotenza del bambino ha fatto sorgere il bisogno di protezione − protezione tramite l'amore − cui il padre ha provveduto; il riconoscimento del perdurare di tale impotenza nel corso dell'intera vita ha causato il mantenimento dell'esistenza di un padre, questa volta tuttavia più potente. Mediante il benigno governo della Provvidenza divina, l'angoscia di fronte ai pericoli della vita viene calmata.

Le dottrine religiose [...] possiamo dire che sono tutte illusioni indimostrabili e che nessuno può essere costretto a tenerle per vere, a crederci. Alcune di esse sono a tal punto inverosimili, talmente antitetiche a tutto ciò che faticosamente abbiamo appreso circa la realtà dell'universo, che, tenuto il debito conto delle differenze psicologiche, possono essere paragonate ai deliri. Se qualcuno giunge al punto di accettare acriticamente tutte le assurdità che le dottrine religiose gli trasmettono, e perfino di ignorarne le contraddizioni vicendevoli, la sua debolezza intellettuale non deve stupirci oltremodo. No, la nostra scienza non è un'illusione. Sarebbe invece un'illusione credere di poter ricevere altronde ciò che essa non può darci.”

La testimonianza di Binswanger è riportata nel suo libro “Per una antropologia fenomenologica” e mi è capitata sotto gli occhi qualche giorno fa, mentre rimettevo in ordine i miei libri. Le pagine da cui ho trascritto i passi citati mi si sono aperte quasi per caso, se vogliamo considerare il caso come un avvenimento occasionale e senza senso. Le sue idee mi confortano, come conforta sapere che lo spirito, e non la cieca fede spiritualistica, possa divenire una ulteriore arma a nostro favore, una chance in più di cui possiamo avvalerci per costruire un senso integrale di ciò che ci accade nella nostra vita.

Sia Freud che Binswnager credevano che guardare alla vita e ai suoi avvenimenti con un punto di vista di maggiore ampiezza fosse opportuno e necessario, ma credevano anche che fosse un requisito essenziale per poterci riconciliare con tutto quello che ci ha offeso, e per saper guarire dalle ferite della vita. In questo seguirono le affermazioni di tutti i più grandi maestri spirituali, i quali dicono che guarire il corpo senza guarire la mente, e guarire la mente senza avere pace nell'anima sia una via priva di senso.
Buona erranza
Sharatan

1 commento:

Maurizio Spagna ha detto...

MATEMMATICO
…non vi è certezza del futuro
e quindi applichiamo l’unico progetto
di essere,
UOMINI ERRANTI…


Uno
(Io, essere umanoide)
+
Ottanta
(Ho tanta esigenza)
_

Sei
(Tu sei odissea degli anni)
:
Quindici
(E quindi ci rivisiti)
=
Quattro o Cinque?
(C’è altro o attro?)
Cioè,
Io
Essere umanoide
Ho tanta esigenza
E tu sei
La mia odissea degli anni
E quindi
Mi rivisiti la sapienza.

La scienza e l’innocenza
X moltiplicazioni
Assenti o viventi.

©
Da “Il cuore degli Angeli”
di Maurizio Spagna
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L’ideatore
paroliere, scrittore e poeta al leggìo-
2010 impronte…