giovedì 3 dicembre 2009

Nell’anima vi è la voce della sua radice


Secondo Gershom Scholem, gli inizi della Cabala affondano le loro radici nelle tradizioni gnostiche, e perciò la Cabala più antica ha profonde connessioni con l’eredità di quel pensiero; sicuramente non è solo un contatto storico o filosofico, ma è invece un’eredità psicologica e strutturale ancor più profonda. Nello Zohar e nelle concezioni di Isaac Luria, l’elemento gnostico riesce ad essere molto ben apprezzabile.

Lo gnosticismo, che nasce nel cuore profondo del popolo ebraico, costituiva una piena rivolta all’ostilità ebrea per il mito, che invece, nello gnostico, era la passione prorompente per delle concezioni filosofiche intense e profonde, e per le teosofie cosmiche più ardite: i simboli gnostici diventano nello Zohar e negli scritti di Luria, la più profonda espressione di fede e di amore per il Divino.

Il mondo del rigido monoteismo ebraico, quello che seguiva la Legge come ferma determinazione, quello che vedeva la salvezza solo nella fede cieca, quello che aveva creato delle solide fondamenta, quello delle sicure ricette e delle infallibili pratiche formali, quello che si era affrancato dall’anarchia del mito, aveva prevalso e vinto nella mentalità abituale ebraica.

Lo gnosticismo irrompe e insorge per ribellarsi all’omicidio degli elementi mitici, perciò i cabalisti vivono e agiscono ribellandosi ad un mondo che la loro coscienza non sentiva, in favore di un altro progetto che non si stancavano di affermare. Lo gnosticismo rappresenta il matrimonio mistico tra il mito e la religione, nell’animo profondo e misticamente religioso del popolo ebraico: chiaramente questa strana unione portò a profonde ambiguità e lacerazioni.

Siccome la rigida affermazione della Legge aveva portato alla frantumazione dello sguardo mistico del popolo ebraico, dell’ebreo che discendeva dall’arameo errante, proveniente con il suo gregge da Ur del Caldei, ora e qui vediamo consumata la vendetta del vecchio pastore errante, la riscossa dell’antico pastore nomade che meditava nel deserto. Questi sentimenti mitici gnostico-cabalistici, riescono a portare consolazione all’animo popolare, alla componente sentimentale, alla parte più indifesa dell’uomo semplice, e a tutti coloro che hanno paura sia della vita che della morte.

A queste sensazioni di smarrimento umano non aveva mai fornito una risposta la filosofia ebraica, che aveva voluto separarsi da questi strati più semplici e quasi primitivi della vita umana, piuttosto guardando con distacco e fastidio alle loro problematiche esistenziali. Nulla è più lontano dal disprezzo per questi timori, nell’atteggiamento gnostico e cabalistico, che insorge a consolare con la certezza del riscatto, con il balsamo della reintegrazione dell’uomo alla sua Divinità. Nulla è più lontano dal disprezzo per coloro che vogliono lenire le sofferenze della diaspora, e le umiliazioni del popolo ebraico.

Se vogliamo convincerne, sia sufficiente guardare alla sensibilità raffinata con cui tali mentalità affrontarono il problema del male umano, e della sofferenza dell’uomo per la presenza demoniaca nella vita umana. Il senso per la realtà del male e per l’orrore dell’elemento luciferino, che i cabalisti affrontarono, viene quindi a coniugarsi con l’affine paura dell’animo popolare, creando un'allenza solida e duratura.

Allora, se ci chiediamo come mai, un cerchio aristocratico di mistici, potesse avere un’influenza così elevata sull’animo popolare, queste valutazioni renderanno la contraddizione molto meno aspra. Avvenne però che delle parole sublimi trovassero un’espressione sensibile, e quindi materiale, e nella loro materialità si trasformassero in elementi volgari e grossolani, per divenire anche sciocca superstizione.

Uno dei più famosi degli antichi cabalisti, e tra i primi in Provenza e in Spagna vissuto intorno al 1200, Moshè ben Nahman, afferma che la Torah fu scritta originariamente con fuoco nero su fuoco bianco, alludendo alla Torah scritta (nera) che si sovrapponeva a quella che si comunica tramite il contatto personale ed in forma orale (bianca).

La Torah scritta era il simbolo della sfera donativa, maschile, della divinità che è Tifereth, mentre la Torah orale era simbolo della sfera ricettiva, femminile, che è Shekhinah: la totalità della Torah è in questa unione, perchè il cuore rappresenta la Torah scritta, e la bocca rappresenta la Torah orale. La Torah venne scritta tutta di seguito, e senza suddivisioni di parole, perché fosse letta su due livelli e con i due colori, egualmente veri, ossia come una serie di nomi divini, ma anche come storie e comandamenti pratici.

Perciò nella Torah, ogni singola parola conta, e il valore del testo scritto ha un significato sacro. Questo viene narrato già nel 2. sec. d.C., da Rabbi Meir, il quale riferendo una raccomandazione del suo maestro Rabbi Ismael, in merito alla precisione della copiatura dei testi a cui Meir era affaccendato, gli disse: “Figlio mio, sii cauto nel tuo lavoro, poiché è un lavoro divino; se soltanto ometti una lettera o scrivi una lettera di troppo, distruggi il mondo intero.”

Se il senso letterale della Torah è oscuro, il senso cabalistico del mistero è Zohar, puro splendore, che trapela da ogni sillaba della sua Scrittura. Così il senso oscuro della Torah è dato dai suoi misteri che vengono completamente rivelati dallo Zohar, che ne rivela il più profondo significato spirituale e sapienziale. Lo Zohar ci ammonisce a non vedere la Torah in senso letterale, come un testo di semplici racconti, e di cronache storiche e quotidiane: questi racconti sono solo abiti esteriori che ricoprono il loro vero significato, come gli abiti che ricoprono il corpo degli uomini.

Questi abiti non rivestono che un corpo terreno, al punto che i folli vedono un abito bello o brutto e non vedono oltre, non sanno vedere cosa c’è sotto il vestito e oltre il corpo, cioè nell’anima. Coloro che sono veramente saggi, dice lo Zohar, non guardano corpi e vestiti, essi guardano l’anima e forse, un giorno, potranno vederla interamente. La Torah si riveste esteriormente di storie, come un buon vino che viene versato in una brocca, ma sarà sempre necessario penetrare fino al mistero che si cela sotto l’involucro esteriore per andare all’Essenza Divina.

Secondo una concezione antica della tradizione rabbinica, coloro che fuggirono dall’Egitto erano in 600.000. Secondo le leggi della trasmigrazione dell’anima e della distribuzione delle scintille, in cui l’anima si scinde in ogni generazione, nel mondo ci sono sempre queste 600.000 anime fondamentali: sono le anime di coloro che erano presenti al momento in cui Mosè scese dal monte portando con sè le Tavole della Legge.

Di conseguenza, queste anime che hanno fatto il patto, lo continuano ad onorare, quindi posseggono ognuna di loro una maniera particolare di interpretare il senso vero delle Sacre Scritture. Ogni singola anima possiede la sua via particolare per comprendere la Torah, dice Mosè Cordovero di Safer, ogni singola anima ha nella Torah un settore che è solo suo, e che non è di nessun altro. Quindi nessun altro, se non quell’anima che viene da lì, possiede il permesso di intenderla in quella maniera intima e particolare, che perciò è riservata solo a lui. A lui solo.

Collegandosi allo Zohar, i cabalisti di Safer giunsero ad affermare che la Torah, nella forma visibile contiene solo 340.000 lettere ma, in qualche misteriosa maniera, ne riesce a contenere 600.000 nella Torah mistica. Così ogni individuo possiede una lettera che è legata ad un’anima, quella che leggerebbe la Torah in modo particolare perché, in realtà, in quell’anima vi è la voce della sua radice: per questo la sua interpretazione è inappuntabile!

Uno dei maggiori cabalisti italiani, Menahem Azariah di Fano, vissuto intorno al 1600, nel suo trattato sull’anima, dice che la prima scrittura della Torah, incisa sulle tavole che poi si spezzarono, conteneva proprio 600.000 lettere, e che poi nelle seconde tavole comparisse molto ridotta. Ma poi, per una complessa operazione di ricombinazione delle lettere, pur sempre la Torah arriva a contenere le 600.000 parole primitive, che costituiscono il suo corpo mistico. Dice lo Zohar: “C’è una Torah di cui non si può dire che sia creazione, ma è la sua emanazione.”

Dio e la Torah sono la stessa cosa perché Dio divenne manifestazione e Legge nell’atto della Creazione, quando Egli rinunciò alla sua segretezza, e si fece conoscere creando mondi e universi. Secondo Hayim Joseph David Azulah, questi universi sono in continua creazione perché, se l’uomo pronuncia le parole della Torah, genera continuamente potenze spirituali, perciò nuove luci e nuove combinazioni nascono con quotidiane ricombinazioni di elementi e di lettere. Dice lo Zohar:

“La sacra Torah originariamente fu creata solo nella forma di una confusa mescolanza di lettere. Vale a dire che tutte le lettere della Torah […] allora non erano ancora combinate tra loro così da formare le parole che vi leggiamo ora […] e solo quando si verificava, nel mondo, qualche determinato evento, le lettere si associavano in modo da comporre quelle parole che descrivono tale evento. […] Se invece si fosse verificato un altro evento, sarebbero nate altre combinazioni di lettere, poiché la sacra Torah è l’infinita saggezza di Dio.”

Secondo il Rabbi Eliyahu Kohen Ittamari di Smirne, nato nel 1729, vi è una teoria ancor più ardita, e cioè la concezione che la Torah originaria esisteva al cospetto di Dio, cioè prima che fosse condotta alle sfere inferiori, in una forma non articolata. Davanti all’Eterno vi erano una serie di lettere che non erano composte in parole, come le leggiamo adesso, ma la composizione avrebbe dovuto avvenire a seconda di come si sarebbero comportati i mondi inferiori.

A causa del peccato di Adamo avvenne un certo tipo di scrittura, e si formarono le parole che parlavano di morte, di malattia e di dolore ma, senza quel peccato, le stesse lettere non avrebbero composto quelle parole, ma avrebbero composto storie molto diverse.

Perciò l’assenza delle pause e delle punteggiature della Torah originale, deve rammentarci che sarà solo con l’avvento del Messia, che si avrà la definitiva cancellazione della morte, della malattia e del dolore, cioè di tutte le infelicità che opprimono l’essere umano. Così avverrà l’ultima ricombinazione, in cui sarà lo stesso Dio che ci insegnerà a leggerle, che ci insegnerà a separarle, a conteggiarle e infine, a ricombinarle tutte nell'unica Torah.

Buona erranza
Sharatan

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