giovedì 3 novembre 2016

Nessuno nasce, nessuno muore



“Sarai libero quando riconoscerai che la Pura Coscienza
che proprio ora ascolta, è la tua Vera Natura.
Rimani solo così nel normale stato dell’Essere.
La tua essenza è già perfetta.”
(Nisargadatta Maharaj)

Avere informazioni sulla vita di un maestro spirituale può aiutarci a comprenderlo meglio, ma nel caso di Nisargadatta Maharaj è diverso, perché la sua vita non è affatto eccezionale. Inoltre, egli era contrario a parlare del suo passato. Riferendosi agli eventi della sua vita, Maharaj afferma: «Questa è una materia morta - morta come le ceneri di un fuoco estinto. Non mi interessa. Perché dovrebbe interessare voi?» E aggiunse: «C’è forse qualche passato? Invece di sciupare il vostro tempo in una inutile impresa, perché non andate alla radice della questione e indagate sulla natura del Tempo stesso? Se lo farete, scoprirete che il Tempo non ha sostanza in quanto tale, ma è soltanto un concetto.»

A causa di questa reticenza a parlare di se stesso abbiamo poche notizie sulla sua infanzia. Dagli amici intimi e dai parenti stretti sappiamo che Nisargadatta Maharaj nasce a Bombay nel marzo del 1897 durante il plenilunio che coincise con la festa di Hanumat Jayanti. Fu chiamato Maruti perché - per gli induisti - questo periodo è dedicato al culto del dio-scimmia citato nel Ramayana chiamato Hanumat o Maruti. Sappiamo che il padre si chiamava Shivrampant Kampli e che era di famiglia povera e che aveva lavorato come domestico a Bombay prima di improvvisarsi piccolo proprietario terriero e di trasferirsi con la famiglia in un piccolo villaggio tra i boschi del distretto di Ratnagiri, in Maharastra.

Qui Maruti crebbe con poca istruzione perché conduceva le bestie al pascolo, lavorava nei campi e faceva piccoli lavori in casa. Ma il ragazzo aveva il dono di una mente acuta, vivace e curiosa. Suo padre aveva un amico bramino, un uomo devoto e molto più istruito della media chiamato Visnu Haribhau Gore, con cui si intrattiene a parlare di argomenti religiosi, mentre il giovane li ascoltava con grande interesse. Sappiamo che per il giovane Maruti, il saggio Visnu Haribhau Gore diventò il simbolo dell’uomo ideale, cioè l’uomo gentile, saggio e onesto.

Quando ebbe diciotto anni, il padre muore lasciando una vedova, due figlie e quattro figli in gravi difficoltà economiche, perché la loro fattoria non produceva abbastanza cibo per tutti. Allora il fratello maggiore andò a Bombay per cercarsi un lavoro e, subito dopo, anche Maruti lo seguì e si impiegò per qualche mese come impiegato, ma restò disgustato dall’essere sfruttato e si dimise. A quel punto, Maruti decise di avviare un commercio e aprì un piccolo emporio dove vendeva abiti da bambini, tabacco e sigarette fatte a mano.

Nel tempo la sua attività migliorò garantendogli una certa tranquillità economica, perciò Maruti si sposò e gli nacquero un figlio e tre figlie. La sua vita giunse alla mezza età senza eventi particolari tranne l’essere stato un padre di famiglia, infatti sappiamo che non c'erano indizi che mostrassero la sua eccezionalità. In questo periodo, tra i suoi amici più cari c’era un certo Yashwantrao Baagkar seguace di un maestro della corrente induista del Navata Sampradaya: Sri Siddharameshwar Maharaj. Una sera l’amico lo condusse dal suo guru, e l’incontro segnò il punto di svolta nella sua vita.

Sri Siddharameshwar Maharaj gli assegnò un mantra e le istruzioni per praticare la meditazione. E, da subito, Maruti ebbe delle visioni durante la meditazione e talora andò in trance. Durante la pratica qualcosa gli esplose dentro e la sua identità si dissolve nella consapevolezza universale mentre entrava nella dimensione della vita eterna, come disse lui stesso. Da quel momento finì di esssere Maruti e divenne Nisargadatta Maharaj.

A proposito di questo fatto, disse che all’origine della sua realizzazione c’era stata la sua fede totale nel suo guru. Disse che: «Il maestro, il discepolo, l’amore e la fiducia tra loro sono un tutt’uno, non una serie di fattori separati - e poi aggiunse che - se mancasse anche uno di questi componenti, non ci sarebbe la luce» e poi affermò che se siamo capaci «di avere fede e di obbedire si troverà un vero guru. O meglio, egli ti troverà.» Dopo la sua Realizzazione egli iniziò a vivere una doppia vita, infatti continuò a gestire il suo negozio, ma ormai era divenuto troppo diverso dall’uomo che era stato in passato.

Non aveva più la mentalità del commerciante orientato al profitto materiale, per cui decise di lasciare tutto e indossò gli abiti del pellegrino e andò nei luoghi sacri dell’India. A pieni nudi prese la via della montagna e arrivò fino all’Himalaya dove aveva deciso di trascorrere il resto della sua vita in meditazione. Ma, quando fu arrivato in quei luoghi, comprese che la sua scelta era assurda, perciò decise di ritornare in famiglia. Comprese che, una volta che si è giunti nella dimensione della vita eterna, il luogo in cui si vive è indifferente, perché la vera realtà è sempre presente.

Maharaj insegnava che la coscienza è il solo “capitale” con cui nasce l’essere senziente: questa è la situazione apparente. La vera situazione è che “ciò che nasce è la coscienza che ha bisogno di un organismo per manifestarsi, e quell’organismo è il corpo fisico.” L’essere senziente possiede solo il senso di esistere, egli sa di essere presente, sa di essere la coscienza cioè è consapevole di essere lo spirito che anima la struttura fisica del corpo. La coscienza individuale si mostra solo in forme mutevoli per cui sorge il concetto di “ un io separato.”

In ogni individuo si riflette l’Assoluto sotto forma di consapevolezza, perché è così che la pura Consapevolezza diventa consapevolezza o coscienza di sé. L’universo è un continuo fluire in cui si proiettano innumerevoli forme materiali. Ogni volta che una forma viene infusa di prana ossia di energia vitale, la coscienza appare come un riflesso della Consapevolezza Assoluta che si riflette nella materia. La coscienza è un riflesso dell’Assoluto sulla superficie della materia, poiché la pura Consapevolezza può diventare coscienza soltanto se usa un oggetto materiale in cui può riflettersi.

Tra la Consapevolezza e la coscienza, dice Maharaj, esiste una frattura che la mente non può attraversare. La coscienza è vincolata al Tempo, per cui scompare quando il veicolo fisico finisce, ma resta il “capitale” con cui nasce l’essere senziente. La coscienza è la sola connessione con l’Assoluto, perciò è l’unico strumento per mezzo del quale l’essere senziente può sperare di trovare una illusoria liberazione dall’individuo che crede di essere un io.

Per mezzo dell’unione con la sua coscienza e considerandola l’Atma ossia il suo Dio, l’essere senziente può conseguire ciò che si ritiene impossibile. Se sappiamo realizzare questa unione entriamo “nello stato originario in cui siamo puro essere-consapevolezza-beatitudine” ma “quando veniamo in contatto con la coscienza, siamo soltanto la testimonianza (totalmente separati) dei vari movimenti della coscienza.” Maharaj superò questo concetto di essere un corpo differenziato, e la sua mente fu perennemente ricolma di gioia, di pace e di magnificenza.

Nisargadatta era un semi-analfabeta e tale restò per tutta la sua vita, ma i suoi insegnamenti sono più illuminanti delle dottrine degli studiosi più famosi. I suoi discorsi ci sono restati per merito della registrazione dei dialoghi che ebbe con i numerosi visitatori che venivano da tutta l’India e da tutto il mondo per conoscerlo. Maharaj parlava solo marathi, e un suo seguace lo accompagnava per tradurre le sue parole. Ma, le traduzioni non riescono a rendere lo spirito acuto e spiritoso e la ricchezza del suo linguaggio e, tanto meno, possono rendere l’idea dell’espressività del suo sguardo oppure il suo gesticolare.

Il suo discepolo e traduttore, Ramesh Balsekar, scrive che la principale caratteristica dei suoi discorsi era la loro totale spontaneità, infatti nessun argomento veniva selezionato in anticipo ma tutto veniva improvvisato al momento. Le parole e le frasi usate dal Maharaj avevano “un’elasticità che ogni volta dona loro una freschezza esilarante.” Nisargadatta non aspettava che la stanza si riempisse di persone, ma iniziava a parlare a voce alta quando ne aveva voglia anche solo per poche persone.

Se voleva parlare di qualcosa, iniziava a parlare anche per un solo visitatore a cui esponeva il suo insegnamento. Quando avveniva in questo modo, non si capiva se parlava a se stesso o se aspettava una risposta dal suo interlocutore. Se doveva incontrare un nuovo visitatore gli chiedeva di lui e del suo retroterra familiare, gli chiedeva da quanto tempo era interessato alla ricerca spirituale, e le ragioni specifiche della sua visita. Questo approccio così intimo gli era necessario per capire come potesse aiutare al meglio ogni singolo visitatore, ma Maharaj era preoccupato che la sua risposta fosse di aiuto anche per tutti i presenti.

In altri casi, cioè quando qualcuno gli chiedeva di parlare in modo confidenziale, si sedeva vicino a lui per parlare con più agio. Ramesh Balsekar racconta che egli ascoltava attentamente, sempre sereno e silenzioso. A volte lo scintillio dei suoi occhi dimostrava - e gli intimi lo sapevano bene - che sarebbe iniziata una sortita verbale che avrebbe sgonfiato la presunzione degli ignoranti che venivano a “testare” il livello di realizzazione che aveva conseguito. Se qualcuno cercava di sviare il discorso dal tema principale, Maharaj riportava il filo del discorso nel solco giusto.

Ramesh rivela anche che era anche un superbo attore, perché i suoi lineamenti erano molto mobili e i suoi grandi occhi erano molto espressivi. La sua voce vibrante era supportata dall’espressività, perché usava anche dagli effetti gestuali e sonori per aiutare la comprensione di ciò che diceva. Una volta parlò delle età della vita umana davanti a un attore professionista straniero che restò incantato dalla sua brillante esibizione di mimica e retorica.

Maharaj lo fissò con il suo ironico sguardo scintillante e disse: «Sono un bravo attore, vero? - e aggiunse - So che hai apprezzato questa mia piccola esecuzione. Ma ciò che hai visto ora non è nemmeno una parte infinitesimale di ciò che sono capace di fare. L’intero universo è il mio palcoscenico. Non soltanto recito, ma costruisco il palcoscenico e tutto l’equipaggiamento; scrivo la sceneggiatura e dirigo gli attori. Sì, io sono l’unico attore che assume i ruoli di milioni di persone e, ancor più importante, questo spettacolo non finisce mai!”

Buona erranza
Sharatan

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