sabato 12 luglio 2008

Il viaggio nel mare interiore


“E’ più facile navigare per migliaia di miglia tra il gelo e la tempesta che esplorare il mare interiore” affermava Thoreau, avvertendo del viaggio pericoloso che si cela nella scoperta di noi stessi.
Nell’uomo, l’Io rappresenta il centro dell’esistenza conscia e fa capo all’identità e al corpo dell’individuo. L’Io si comporta in modo sano se riesce a farci attuare l’esistenza in modo pieno e soddisfacente, altrimenti diviene nevrotico o scisso e ci rende impossibile coltivare la felicità. Esiste poi una parte che Jung identifica nel Sé, considerato una fonte spirituale piuttosto che una risorsa psicologica, che chiama l’”archetipo di Dio” dentro di noi.
Egli pensava che la nostra dimensione interna, il nostro inconscio, contenesse sia un “album di famiglia” con i ricordi legati alla nostra appartenenza, ma anche una memoria cosmica contenente tutte le memorie mitiche dell’umanita e lo chiamò inconscio collettivo. L’inconscio collettivo affermava “contiene l’eredità spirituale completa dell’evoluzione dell’umanità che rinasce nella struttura cerebrale dell’individuo” per cui noi siamo la somma dell’Io portatore dell’individualità, e del Sé che è l’eredità dei nostri avi ma il Sé non si limita ad essere soltanto questo egli impersona la realtà divina nel mondo.
Nel Sé divino vi è una triplice struttura suddivisibile in inferiore, medio e superiore. L’inferiore è legato alle radici arcaiche, al passato dell’umanità; il medio è costituito dai valori socio-culturali vigenti; il superiore è invece relativo ai valori, alle potenzialità, alle mete future dell’umanità. L’impresa a cui l’uomo è chiamato è quella di costruire un ponte che unisca il proprio Io al Sé divino, a fare vivere in equilibrio un Io sano che funzioni a dovere con un Sé che si attui e fluisca pienamente nel mondo, manifestando i propri talenti e capacità: così il Sé manifesta la sua natura di Buddha, con l’equilibrio delle pulsioni conscie con quelle inconscie.
Diceva Joseph Campbell, grande studioso di miti cioè di verità primigenie e distillate che “L’inferno è rimanere imprigionati nel proprio Io” e anche il buddismo afferma che quando la sofferenza emerge nella nostra vita è segno che ci stiamo aggrappando a qualcosa (desiderio) o stiamo fuggendo da qualcosa (paura). Il senso delle due affermazioni è lo stesso. L’eroe è colui che vive e supera il dolore della disgregazione uscendone trasformato e vittorioso. Ma lavorare sul nostro interno richiede un grosso lavoro sulla nostra ombra sia positiva che negativa a cui va applicato un procedimento alchemico di purificazione e rielaborazione.
Per tornare alla nostra fonte e recuperare le risorse dell’Io sano bisogna tornare all’interno di noi stessi, al nostro vero Sé, il nostro vero Buddha interno e la nostra vera fonte risanatrice. In questo consiste il risveglio individuale, nell’abbandono delle nostre parti non sane e nella scoperta di quelle che ci rendono felici e realizzati, perché il futuro è dentro di noi molto tempo prima che accada, come diceva il poeta Rilke.
Conoscere sé stessi è quindi una vera e propria conquista, è veramente il viaggio avventuroso immaginato da Thoreau, solo che, una volta intrapreso non si può più tornare indietro. Io immagino questa conquista come un ritorno a casa, un riconoscimento della nostra vera essenza, spesso rinnegata per ignorata o per paura. Se comunemente si ritiene che un percorso di consapevolezza costituisca solo un atto di egocentrismo e di asocialità, in realtà questa accezione è funzionale solo alla paura sociale che si prova di fronte agli individualismi, alle persone intellettualmente dotate e consapevoli, molto più accorte e meno disposte a subire le imposture. Dice il filosofo Anacleto Verrecchia che “le forti intelligenze sono autonome e non si lasciano facilmente plagiare” e la ferma determinazione è una qualità indiscreta e scomoda per un’epoca di millanterie e sopraffazioni.
E’ quindi inevitabile che un anticonformismo potente, basato sulla fiducia di sé e sull’adesione critica ai modelli sociali prevalenti, unito ad un alto profilo morale, richiedano una forte convinzione personale ed una piena centratura sul proprio essere, un vero e proprio viaggio da eroe, come direbbe Campbell.
Potrebbe quindi sembrare inevitabile abbracciare la via della conoscenza come via di solitudine, ma io credo che questo non sia inevitabile se riusciamo a vivere con gli altri sapendoli accettare per come sono, senza imporgli le nostre idee. Tutte le filosofie orientali insegnano che è necessario apprezzare la complementarietà degli opposti ed accettare anche persone molto diverse da noi, ma per farlo è necessario coltivare un distacco pacificato cioè essere nel mondo senza essere del mondo. Se non dobbiamo cambiare gli altri, possiamo però cambiare come gli altri influiscono su di noi e questo ci permetterà di vivere in maniera più serena ed armoniosa.
Sicuri di noi stessi possiamo continuare la nostra strada di ricerca e scoperta personali, senza adeguarci al modo di vedere comune, senza timore di potere sentirsi isolati, esclusi o manipolati dalle altrui aspettative che ci indicano come “dovremmo” essere. Una persona che non realizza sé stessa diventa rabbiosa, accidiosa e vendicativa perché l’essere umano che non si sente riconosciuto e quindi amato diviene un essere infelice che riversa la sua infelicità su coloro che gli sono vicni. Colui che si stima poco ha bisogno di continue conferme, di complimenti e di gratificazioni, per cui è disposto ad accondiscendere alle altrui volontà anche se non sono le proprie, ma a prezzo della sua felicità. Alla lunga il gioco non paga perché tutto ciò che rifiutiamo, come afferma Freud, finisce per divenire nostro nemico e le istanze rinnegate, deviando il loro corso, diventano bombe a tempo. Soffrendo della negazione di noi stessi, si vive allora proiettando sugli altri le nostre responsabilità o distruggendoci con l’infelicità. Non abbiamo il coraggio di dirci che il vero problema non sono gli altri ma siamo solo noi stessi, che non abbiamo il coraggio di affermare la nostra volontà e di proclamare la libertà di essere.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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