Il primo obiettivo dell'operazione “Piombo Fuso” lanciata da Israele il 27 dicembre scorso è fermare il lancio dei razzi sulle città del Negev, ribadisce Dore Gold, presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, ed il secondo obiettivo, “il più importante, la fine del traffico di armi.” Dall'inizio dell'offensiva, il premier israeliano Olmert ripete il mantra nazionale: “Il nostro risultato dev'essere il blocco effettivo dell'Asse Filadelfi” cioè della zona fra Gaza e il territorio egiziano, quindi il pieno isolamento di Gaza.
I proiettili in gergo arabo vengono chiamati “bizer” cioè semi; questi semi cadono come la neve su persone che hanno mantenuto i contatti con il mondo esterno, strisciando come topi, dentro tunnel sotterranei collegati alle oasi egiziane. Due terzi dei prodotti venduti a Gaza provengono dai tunnel in cui lavorano 12.000 persone, secondo l'economista palestinese Omar Shaban. Un giro d'affari sotterraneo da 650 milioni di dollari l'anno che, secondo una ricerca del quotidiano israeliano Ynet ha letteralmente “mantenuto” i 18.000 abitanti di Rafah, la città sulla frontiera egiziana dove tra il 2007 e il 2008 la disoccupazione è scesa dal 50 al 20%.
I tunnel, che in questi momento Israele sta ferocemente distruggendo, sono il duty free della sopravvivenza per 1.500.000 di persone dipendenti in buona parte dagli aiuti internazionali. “Per la prima volta vediamo la fame a Gaza” fa sapere da New York Karen Abu Zayd, responsabile dell'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei palestinesi.
Nei giorni passati il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, aveva saggiamente indicato la soluzione più ragionevole, nel dialogo tra israeliani e palestinesi. Aveva ricordato che essi sono fratelli, figli della stessa terra. Purtroppo manca “Un senso più acuto della dignità dell’uomo. Nessuno vede l’interesse dell’altro, ma solamente il proprio. Ma le conseguenze dell’egoismo sono l’odio per l’altro, la povertà e l’ingiustizia. A pagare sono sempre le popolazioni inermi. Guardiamo le condizioni di Gaza: assomiglia sempre più ad un grande campo di concentramento. …
Non siamo solamente noi cristiani a chiamarla Terra Santa, ma anche ebrei e i musulmani. E sembra una disdetta che proprio questa terra debba essere il teatro di tanto sangue. Ma occorre una volontà da tutte e due le parti, perché tutte e due sono colpevoli. Israeliani e palestinesi sono figli della stessa terra e bisogna separarli, come si farebbe con due fratelli. Ma questa è una categoria che il “mondo”, purtroppo, non comprende. Se non riescono a mettersi d’accordo, allora qualcun altro deve sentire il dovere di farlo. Il mondo non può stare a guardare senza far nulla…
L’alternativa al dialogo è solamente il ricorso alla forza e alla violenza. Ma la violenza non risolve i problemi e la storia è piena di conferme. L’ultimo esempio è quello della guerra in Iraq. Cosa ha risolto? Ha complicato le cose. La diplomazia della Santa Sede sapeva bene che Saddam era pronto ad accettare le richieste delle Nazioni Unite. Ma non si è voluto aspettare. In Terra Santa vediamo un eccidio continuo dove la stragrande maggioranza non c’entra nulla, ma paga l’odio di pochi con la vita.”
L’ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli affari umanitari, ha messo lo Stato ebraico sotto accusa denunciando, sulla base del racconto di testimoni oculari, un episodio risalente al 4 gennaio: a Zeitoun, un quartiere di Gaza città, soldati israeliani avrebbero costretto circa 110 palestinesi, “la metà dei quali erano bambini” a radunarsi in una casa monofamiliare, ordinando loro di rimanere all’interno; ma 24 ore dopo l’abitazione è stata bombardata. I morti sarebbero stati come minimo 30.”
Intanto centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza, in tutto il mondo, per il secondo venerdì della rabbia. Particolarmente violenti gli scontri a Ramallah e a Nairobi, dove si contano diversi feriti. Le similitudini con le vicende del Libano nel 2006 sono allarmanti. In entrambi i casi Israele si è trovato di fronte a due movimenti di ispirazione islamica saldamente radicati nelle rispettive realtà locali, che fanno largo uso di tecniche di guerriglia, per rispondere ad una forza militare, come quella israeliana, dai mezzi infinitamente superiori.
Secondo Rami G. Khouri, direttore del quotidiano libanese “Daily Star” “Hamas e Hezbollah sono i figliastri ideologici del Likud, e soprattutto di Ariel Sharon, la cui adozione della violenza, del razzismo e della colonizzazione come mezzi primari per gestire il rapporto con le popolazioni arabe occupate ha alla fine generato la volontà di resistere. Il trio che sta attualmente portando avanti l’eredità di brutalità di Sharon - Ehud Olmert, Ehud Barak e Tzipi Livni - sembrano geneticamente ciechi di fronte al fatto che quanto più Israele fa uso della forza e della brutalità contro gli arabi, tanto più aspra sarà la risposta sotto forma di movimenti di resistenza più efficaci e dotati di un più ampio appoggio popolare.”
Tutto questo, questo assurdo massacro di innocenti, credo che sia capace di scatenare potenti forze oscure, con cui potremmo essere condannati a confrontarci per decenni. Questa guerra rischia di diventare infinita e combattuta fino all’ultimo sangue e sarà tutto sangue innocente, come quello già versato. Per il momento, le immagini televisive dei cadaveri dei bambini e di altri civili innocenti a Gaza, hanno generato una tremenda voglia di combattere fra i palestinesi ed i loro sostenitori in tutto il mondo arabo ed oltre.
Il ruolo che sta svolgendo l’Egitto mi sembra necessario ma rischioso, perché riguarda non solo la questione palestinese ed il ruolo dei vari paesi di quella regione nella vicenda, ma riguarda anche tutte le future relazioni con l’Iran e la futura leadership del mondo islamico.
E’ vero che il prestigio di Mubarak potrebbe essere accresciuto, qualora riuscisse a conciliare le parti su un’accordo di tregua, ma quanto aumenterebbe il malumore degli iraniani, che aspirano a quella leadership?
Non sarebbe meglio se questo ruolo delicato, sia diplomaticamente che logisticamente, fosse giocato dall’Onu? Perché questo non avviene? Il silenzio è motivato dalla palese impotenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite di fronte a delle politiche nazionalistiche attuate da stati forti, che possono così operare impunemente, con il pieno sostegno degli Stati Uniti e nell’assenso colpevole dell’Unione Europea, e del tutto svincolate, per tacito consenso, dall’obbedienza alle direttive Onu.
Tutti sanno che la migliore soluzione sarebbe l’invio dei caschi blu dell’Onu a Gaza, ma per vedere i Caschi Blu a Gaza, temo saremo costretti ad aspettare ancora a lungo, molto, molto a lungo.
Buona erranza
Sharatan
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