lunedì 30 agosto 2010

Come una canna di bambù


“Dio dice: Se qualcuno cerca di avvicinarsi a Me di un palmo,
Io cerco di avvicinarmi di un cubito.
E se qualcuno cerca di avvicinarsi a Me di un cubito,
Io cerco di avvicinarmi a lui di due braccia.
E se qualcuno cammina verso di Me, Io corro verso di lui.”

(Maometto)


Lavorare sullo spirito significa conoscere sé stessi, conoscere come funziona la nostra mente, imparare a discriminare le nostre emozioni, e dare equilibrio ai nostri sentimenti per vivere con un maggiore benessere. Se osserviamo “dal balcone dell’introspezione” comprendiamo come sia salutare prendersi in giro per le nostre imperfezioni, per le nostre carenze, per le nostre forme maldestre di vivere, e così saremo ancorati alla coscienza divina. Yogananda dice che nel prendersi gioco delle nostre abitudini ci divertiamo come nel guardare un film.

Quando comprendiamo che il mondo è Lyla cioè gioco divino, ci divertiamo e non siamo più turbati da quello che ci appare come bene o male, in quanto entrambi fanno parte dello spettacolo cosmico. Noi dobbiamo sapere apprezzare sia le esperienze negative che quelle positive poiché esse sono sogni e soltanto sogni, e se facessimo solo dei sogni bellissimi non vorremmo mai svegliarci. Noi dobbiamo imparare a fare entrambi i giochi pensando che sono un gioco, ossia una sperimentazione di vari livelli di realtà per poter comprendere la migliore direzione nel cambiamento futuro.

Dio vuole che tutti escano dall’incubo per comprendere che tutto è un grande spettacolo cosmico, lui vuole che noi comprendiamo che siamo una parte di Lui e, per questo manda delle anime illuminate che ci additano i sentieri, infatti loro vengono per svegliarci, ci dicono che stiamo dormendo alla realtà del mondo, e se sappiamo che stiamo sognando allora il sogno svanisce immediatamente. Secondo Yogananda i santi stanno nel mondo per una metà mentre, per il resto, scivolano nella vita restando in Cielo poiché in parte sono desti al mondo, e in parte sono desti in Dio.

Dio sta sognando il mondo e, se entriamo in sintonia con Dio vivremo una vita concreta di ebbrezza divina, e nessuna cosa potrà mai turbarci. Nell’immagine di “essere come una canna di bambù vuota” è contenuto lo stesso concetto di assenza di desiderio, e il costruirci come una cosa ricettiva poiché concava diventando un vuoto che possiede una sua lucentezza e una purezza essenziale, senza pregiudizio o aspettative. Se ci riflettiamo anche l’atteggiamento spirituale di non voler provare dei desideri, è un desiderio esso stesso.

Se guardiamo con attenzione sappiamo che ogni cosa che richiede uno sforzo, e anche l’astensione dal desiderare ci fa ricadere nell’inganno ma questo non avviene se noi diventiamo come la canna di bambù recettiva che non desidera, e che non nutre aspettative. E’ nel desiderio che noi siamo scissi tra quello che siamo e quello che vorremmo divenire e quindi proviamo l’angoscia perché siamo strappati al presente che è il solo centro: lasciarsi andare a questa verità significa divenire la canna che si dispone a contenere, essere la potenzialità per contenere il Tutto.

Se siamo oppressi dalle limitazioni possiamo chiudere gli occhi e ripeterci che siamo parte dell’infinito, che siamo in grado di avere tutto il potere che vogliamo, perché l’energia divina ci da forza. Ma l’unica cosa che Lui non può avere è il nostro amore, dice Yogananda, infatti siamo noi che dobbiamo concederglielo abbandonandoci a Lui. L’uomo ha la libertà di vedere che Dio è sempre giusto, Lui concede ogni libertà ai suoi figli, infatti noi possiamo negarci oppure rifiutarci a Lui: ed ecco il significato della parabola del figliol prodigo che raccontò Gesù.

E il senso della “canna di bambù vuota” è proprio quello dell’insegnamento dell’abbandono e della rinuncia. Molti credono che la rinuncia sia un rinunciare alla propria identità, ma la rinuncia non si rivolge alla propria persona, e l’abbandono è quello della chiusura mentale e finisce ogni separazione dalla vita. La rinuncia è fatta nei riguardi delle false immagini che l’uomo ha riguardo al mondo, perciò si rinuncia ad una chiusura, e si rinasce ad una nuova visione della realtà.

Restare chiusi in un mondo limitato è sempre sintomo di follia o di coma letale: mollare la presa e rinunciare a questo tipo di mente è il principio di una disciplina con cui evolviamo. Chiaramente dobbiamo nutrire un grande amore per l’energia creatrice da cui proveniamo, dobbiamo avere voglia di vivere bene, credere nella bellezza della vita, e saper concepire la bellezza e l’armonia in tutto il Creato, in quanto siamo parte di questo Tutto, e non siamo degli organismi separati dal resto del mondo.

Lo sviluppo del nostro potenziale di vita, e quindi la potenza della nostra energia vitale è dovuto alla coltivazione di queste convinzioni mentre restiamo nel centro, come la “canna di bambù vuota” e non proviamo alcun desiderio e nessuna aspettativa che godere del momento in cui avviene l’abbandono alle chiusure del mondo ordinario. Diceva Yogananda che la mente è come un elastico, per cui più la tendi e più essa ti segue, infatti essa inventa delle strategie sempre più sottili e insidiose per non perdere terreno.

Alla necessità, la mente inventa delle informazioni false o errate con cui ricostruisce i meccanismi che abbiamo disinnescati, infatti il ridimensionamento delle sue strutture viene visto con grande sofferenza, e la rinuncia viene spesso fraintesa dalla mente come un attacco, un impedimento al compimento del suo dovere, cioè la fine della sua esclusiva interpretazione del mondo. L’atteggiamento della mente è il comportamento del generale che si sente ingiustamente privato del comando, infatti noi lottiamo ferocemente prima di rinunciare a coltivare il nostro pensiero.

Il vero problema della personalità egoica, dice Eckhart Tolle, è che vive una “compulsione inconscia di esaltare la propria personalità mediante l’associazione con l’oggetto” che la spinge a ritenersi sovrana, e non serva della consapevolezza umana. La disciplina viene vista come una limitazione ulteriore sebbene essa non indichi affatto il volere la nostra ristrettezza, sebbene non sia una forzatura della nostra volontà, e non preveda alcun sacrificio delle nostre prerogative.

Se ci discipliniamo educhiamo il nostro carattere con l’insegnamento della presenza a noi stessi, e alla nostra semplicità ordinaria celebrando un sentimento di abbandono e di fiducia. Lasciamo stare gli stupidi giochi mentali di volere essere questo o quello, ridendo dell’inganno della negazione del desiderio, e diventiamo come la canna che è flessibile a contenere tutto ciò che viene.

Celebrando il momento in cui si lascia andare ogni aspettativa diventiamo uno stelo flessibile, infatti siamo noi che ci creiamo le nostre difficoltà volendo essere diversi da come siamo, ed aspirando a divenire altro. E’ in questo modo che restiamo ego e il viaggio dentro di noi diventa un inganno, perché viaggiamo sulle vele delle illusioni. E allora smettiamola di giocare alla fune con la mente poiché essa possiede l’adattamento dell’elastico, perciò noi diventiamo una canna, e la tagliamo fuori dal gioco creando un vuoto.

Buona erranza
Sharatan

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