"L'esserci è un ente che io stesso via via sono,
l'essere è via via il mio. "
(Martin Heidegger - Essere e tempo)
Heidegger scrive che la dimensione originaria dell'uomo è lo stato emotivo che connota il nostro esser-ci, infatti ogni esser-ci ha sempre una tonalità affettiva, perché non esiste nessuna dimensione dell'essere che sia privo di tonalità o con una tonalità neutra. Ogni essere nel mondo viene connotato da un tipo di emozione che aggiunge i sentimenti che vengono creati dalla tonalità affettiva che proviamo, come la paura, la gioia o la noia, e così via.
Heidegger dice che il modo con cui ci prendiamo cura del quotidiano non sono modi di essere insignificanti, perché essi connotano un particolare modo di essere, sebbene molti considerano il prendersi cura del loro quotidiano un fatto indifferente.
Il sentimento è il modo in cui ci troviamo nel nostro riferirci all'ente e quindi sono anche il modo con cui ci riferiamo a noi stessi, infatti sono il modo con cui ci troviamo sia rispetto all'ente dell'ente che all'ente di noi stessi. Il sentimento è il modo in cui ci troviamo di volta in volta rispetto alle cose, è il modo con cui ci rapportiamo a noi stessi e riguardo alle cose: il sentimento è lo stato aperto in sé in cui si dispiega la tonalità della nostra esistenza.
L'uomo non è l'essere che si connota per l'attività pensante, ma è l'essere che viene connotato dallo stato del sentimento, perciò il sentimento è la dimensione originaria da pensare e di cui far parte. Il sentimento ha il carattere dell'aprire e del mantenere aperto, ma possiede pure il carattere del chiudere che connotano la nostra predisposizione all'esser-ci. In "Essere e tempo" si dice che il modo di essere originario, cioè l'apertura dell'esser-ci al mondo sono la situazione emotiva e la comprensione.
Il modo di essere fondamentale e la condizione originaria sono l'apertura che riguarda sia l'esser-ci nel mondo fondato sulla situazione emotiva che la comprensione che include anche il linguaggio. La comprensione riguarda l'apertura dell'intera costituzione dell'essere-nel-mondo, e quindi essa è sempre fondata emotivamente. L'esser-ci ha sempre una connotazione affettiva, perciò non riguarda solo una semplice comprensione del mondo o una semplice interpretazione di esso, infatti l'affettività è essa stessa una sorta di comprensione.
Il sentirsi situato è un essere disposto che ci pre-dispone ad uno specifico stato d'animo nel suo corrispettivo riferirsi al mondo e al nostro con-esserci con gli altri. Il sentirsi situato fonda il sentirsi bene o male del nostro modo di esistere, e riguarda l'essere esposto dell'uomo all'ente nel suo insieme: questa gettatezza, che è l'essere esposto fa parte della comprensione dell'ente in quanto ente. Detto questo si comprende bene come la disposizione dell'uomo fonda lo stato d'animo di esso rispetto al suo riferimento di fondo, cioé fonda la disposizione di apertura riguardo a se stesso, al mondo e agli altri.
In qualche modo vi è una "disponente disposizione che fonda " ma che non ha fondamento, infatti è a partire dell'esser-ci che è la gettatezza in cui si trova l'esser-ci, che si comprende e si progetta. L'esser-ci si progetta in un poter essere nell'esistenza che è primariamente fondato su ciò di cui egli ha cura, infatti dice Heidegger, che "l'esser-ci può comprendere se stesso a partire dal proprio mondo." Essendo quindi un'apertura che possiede una sfumatura emotiva, la comprensione dell'esser-ci ha una profonda tonalità affettiva, perciò tutta la nostra comprensione reca la traccia della nostra qualità e della nostra tonalità affettiva.
In ogni nostro sentire si mostra una disposizione fondamentale o un orientamento fondamentale che ogni tonalità emotiva custodisce in sé e da cui trae origine. Perciò il fondamento di ogni sentire è un essere originario in cui l'esser-ci è già aperto in se stesso ancor prima di conoscere e di volere, e al di là della portata del loro aprire, com'è detto in "Essere e tempo." L'apertura originaria è ciò che diciamo comprensione, infatti ogni nostro dire e agire parla del nostro orientamento fondamentale, perché ne è la manifestazione evidente: quello di cui mi occupo, quello che faccio e ciò a cui mi lego sono già in qualche modo io stesso.
Il mio mondo è il mio agire quotidiano, ed è il mio progetto di esistenza, infatti la nostra sensibilità è collegata alla nostra tonalità originaria che predispone ad un determinato sentire, ma anche al modo in cui ci apriamo al mondo e al modo con cui ci manifestiamo con essere. Heidegger ci dice che ogni manifestazione dell'esser-ci è abitato da un orientamento fondamentale che lo distingue da quello degli altri, e questa base fondante si vede dal linguaggio. Il discorso è l'elemento esistenziale dell'esser-ci, perché è l'articolazione del significato in modo che esso abbia una comprensibilità che sia emotivamente collocata nel mondo.
Il linguaggio è co-originario insieme alla situazione emotiva e alla comprensione, perché esso è alla base dell'interpretazione e dell'asserzione. Il linguaggio possiede già una comprensione che è emotivamente situata nell'essere nel mondo, ed è la comprensione in cui si mantiene l'apertura dell'esser-ci nel mondo. L'esprimersi non è il gettar fuori quello che è dentro, ma è l'espressione del rispettivo modo delle situazione emotiva che rivela l'apertura al mondo dell'essere.
La parola degli uomini rivela la memoria della tonalità originaria di cui è intessuto il dire, e soprattutto il modo di parlare è l'indice linguistico che manifesta la situazione emotiva dell'individuo, perciò rivela la sua apertura all'esistenza. L'esser-ci si comprende a partire dal mondo, perciò una manifestazione possiede sempre l'apertura ad una certa "tonalità emotiva." Lo stato emotivo porta l'esser-ci al cospetto del suo essere gettato in modo ben più originario del "come uno si sente" o "come sta" perché l'esser-ci e la tonalità emotiva rappresentano sempre "la maniera in cui io sono sempre primariamente l'ente gettato."
Il carattere esistenziale fondamentale della nostra tonalità affettiva ci rimanda indietro a un modo di essere nel mondo, cioè a quello che siamo stati, infatti la nostra tonalità emotiva si fonda e si temporalizza su un "essere stato" che è l'oblio dell'essere nell'esser-ci. La potenza dell'oblio nelle tonalità emotive del quotidiano è nel fatto che le tonalità emotive nascondono e mascherano il carattere non appropriato dell'apertura emotiva al mondo.
La nostra apertura al mondo, questo "semplice lasciarsi vivere o lasciare che le cose vadano come vogliono " si fonda sull'abbandono all'oblio di sé nell'essere gettato: questo vivere è un fatto non autentico. Le tonalità affettive fondate sul tranquillo vivere ci fissano e stabilizzano, perciò velano la nostra esposizione all'essere. La disposizione non autentica reitera la nostra comprensione emotiva non autentica, cioè la nostra gettatezza, sulla cui base continuiamo a vivere la nostra quotidianità.
Le tonalità affettive accompagnano un commercio quotidiano con l'ente, cioè il nostro vivere immediato in una situazione che assomiglia a quella dell'animale che non scorge alcuna fine e nessuna origine, ma che è immediatamente. L'esser-ci si illude di trovare pace, perciò si immedesima e si identifica con il suo mondo e con ciò di cui si prende cura, ma questa condizione lo incatena. La vita immediata ci lega a delle possibilità limitate di esplorare delle scelte diverse, perché ci relega nel campo del noto, del sopportabile, del decente, del conveniente, e così via.
La vita immediata ci lega sempre ad un mondo che non ci riguarda, perciò la bellezza dell'esser-ci che è la virtù umana rimane nascosta e dormiente. Nello sbocciare dell'esser-ci vi è l'assumere sempre più la nostra natura che ci fa rassomigliare agli dei, e qui si nasconde la formula della serenità che tanto disperatamente gli uomini cercano di avere. Noi siamo immemori della nostra natura divina, perciò non possiamo guadagnare nessuna vera serenità, perché sempre ci affiorerà il dubbio e lo sgomento di chiederci: che cosa ne è stato del nostro esser-ci?
Solo interrogando la pratica del quotidiano si può creare un tempo autentico, cioè il tempo in cui ci liberiamo di ciò che non ci è proprio per rivolgerci a noi stessi, e a quello che ci appartiene veramente. Le interruzioni di prassi sono l'occasione per interrogarci sull'esser-ci vero, per cui tra esse va annoverata l'esperienza artistica che è in grado di elevare. In queste attività risuona il nostro modo di essere fondamentale, cioè quello che ci richiama alla nostra originare, e al nostro modo nudo essere.
Questa determinazione, dice Heidegger, cioè il fatto che l'esser-ci è ciò che via stesso io sono, non indica uno sforzo della volontà ma indica una costituzione e una struttura ontologica dell'uomo. Questa natura contiene in modo grezzo tutto quello che è l'uomo quando si risponde alla domanda su: chi? Secondo Heidegger, il chi: "è quello che, attraverso il mutare dei contegni e dei vissuti, si mantiene identico pur nel riferimento costante a questa molteplicità. In sede ontologica, lo intendiamo come quello che, in e per una regione conchiusa, è via via costantemente sottomano, che in un senso eminente sta al fondamento, insomma: il soggetto.
Il quale, proprio in quanto medesimo nella molteplice alterità, ha carattere del sé. Si può benissimo rifiutare la sostanza psichica, come pure la cosalità della coscienza e l'oggettualità della persona." Ma se l'io è una determinazione essenziale dell'esser-ci, essa va interpretata in modo totalmente esistenziale, perciò il sé non deve essere concepito solo come una maniera d'essere dell'ente. Questo non risolvere il quesito, ma equivale alla "dissoluzione del vero e proprio "nocciolo" dell'esser-ci, perciò piuttosto dobbiamo concepire che la sostanza dell'uomo non è lo spirito come sintesi di anima e corpo proprio, bensì l'esistenza."
Buona erranza
Sharatan
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