sabato 12 luglio 2014

La pillola del risveglio



Il prefetto Dong non aveva compiuto 40 anni quando una febbre maligna lo portò alla morte in pochi giorni, e quella non fu che l’ultima disgrazia di tutte quelle che si erano accanite su di lui. La prima sventura fu la morte della moglie avvenuta durante il parto del primo figlio deceduto con la madre.

Il prefetto si era risposato con una giovane che si era rivelata un’amabile moglie, ma ora il matrimonio finiva prematuramente con la sua morte. La giovane vedova era inconsolabile, perché la morte del marito la colpiva in modo doppio. Non solo perdeva un uomo eccezionale ma anche un marito piacente, buono e virtuoso che la lasciava senza avere avuto un erede.

Per i cinesi di quei tempi non c’era disgrazia maggiore di morire senza lasciare degli eredi che coltivassero il culto degli antenati e mantenessero dei buoni rapporti con il Mondo dell’Aldilà. Per tutto il giorno e la notte la giovane vedova aveva vegliato sulla salma piangendo tutte le sue lacrime.

All’alba si era appisolata accanto al corpo del defunto, ma quando i primi raggi di sole penetrarono tra le imposte della finestra, il morto emise un gemito e poi il cadavere si mise a sedere. La donna si svegliò di soprassalto e vide che il morto la stava fissando, perciò urlò di terrore credendo di vedere la possessione del corpo da parte di uno spirito maligno.

Al frastuono e alle grida della vedova che avevano spezzato il silenzio del mattino accorse tutta la casata. Davanti agli occhi sbalorditi dei familiari e dei servi accorsi, il morto disse: “Ho tanta sete, datemi da bere!” L’uomo si sistemò meglio sui cuscini quando i servi gli portarono un the al ginseng.

Mentre stava sorseggiando la bevanda, il risorto chiese che si prendesse nota di quello che avrebbe detto, perché avrebbe raccontato uno strano sogno. Il prefetto raccontò che la notte passata, all’incirca verso la terza veglia, aveva sentito qualcuno che lo chiamava dall’esterno. Era uscito sulla veranda e aveva visto che le sentinelle giacevano addormentate, poi aveva visto un uomo in giardino.

Lo sconosciuto era vestito come un funzionario di rango elevato e stava accanto ad una carrozza bianca trainata da cavalli dal manto candido come la luce della luna. Il funzionario gli aveva detto che lo chiamavano per una convocazione ufficiale, perciò doveva andare subito con lui. Senza dargli neppure il tempo di mutarsi di abito, l’aveva afferrato per un braccio serrandolo con una stretta di ferro.

L’aveva fatto salire nella carrozza che era partita veloce come un fulmine. Avevano superato il portone aperto della prefettura e si erano lanciati a folle velocità nel buio della notte. Appena fuori, era sorta una nebbia lattiginosa che aveva coperto la vista del paesaggio fuori dal finestrino.

Avevano viaggiato a lungo, e quando la nebbia si era dissipata Dong aveva visto che la carrozza era arrivata ai piedi di un’alta muraglia color grigio ferro che cingeva una grande città. Quando erano arrivati davanti a un grande portone vide che era affiancato da due alte torri in cui vi erano infilate delle lance con teste mozzate e pelli umane scorticate che sventolavano come macabri vessilli.

Il portone si era aperto e fecero ingresso nella città che era disposta lungo grandi strade su cui si affacciavano molte abitazioni, templi, palazzi e uffici pubblici. Il carro si era fermato davanti ad un palazzo che sembrava un tribunale dove il prefetto dovette salire lungo uno scalone monumentale, sempre accompagnato dalla sua misteriosa guida.

Quindi fu accompagnato nel salone delle udienze dove c’era una lunga scrivania dietro alla quale sedevano tre giudici e uno scriba che prendeva nota delle udienze e leggeva i grandi registri. Un giudice disse rivolto all’impiegato: “Cancelliere, leggeteci il registro nero alla pagina del prefetto Dong funzionario dell’Impero di Mezzo!”

Il cancelliere iniziò a consultare un volume che sfogliò più volte, girando e rigirando le pagine, ma senza successo. Allora il giudice sbottò: “Allora cosa aspetti? Sbrigati che oggi siamo pieni di casi!” L’attesa divenne eccessiva perfino per la burocrazia e la pazienza celeste, perciò il magistrato divenne più nervoso: “Cancelliere, allora? Vuoi farti un sonnellino sulle pagine di quel registro?”

E mentre il giudice gridava faceva svolazzare nervosamente l’ampia manica della tunica contro il pover’uomo che rigirava le pagine senza trovare il nome del prefetto. Il giudice diventò amichevole: “Se non lo trovi, allora guarda nel registro dei Casi Controversi. Il tribunale è pieno di lavoro perciò la pratica sarà fuori posto!”

Il cancelliere consultò un libro rosso e disse: “Eccolo! L’ho trovato finalmente, Vostro Onore! Il Prefetto Dong è stato funzionario onesto e integerrimo dell’Impero di Mezzo. Uomo virtuoso, onesto, marito esemplare e personaggio notevole per compassione e gentilezza. È un caso raro di integrità morale nell’amministrazione del potere. Ha fatto sempre del bene come ha potuto e si è prodigato per aiutare senza discriminare nessuno e senza premettere il vantaggio personale. Muore prima di aver celebrato il 40° compleanno e senza lasciare eredi.”

Dopo la lettura della nota, i giudici parlarono tra loro poi il presidente disse in tono solenne: “Deve esserci un errore! Siamo davanti alla negligenza imperdonabile di un funzionario dello Stato Civile del Destino. È chiaro che c’è un’ingiustizia! Un uomo meritevole non può morire senza lasciare eredi, e per giunta nel fiore degli anni. Se non poniamo rimedio al caso si rischia di creare un precedente negativo per tutta l’umanità, perché si può dissuadere dal fare il bene. Abbiamo deciso di presentare una mozione a Sua Maestà Yan Luo, il Re degli Inferi. Intanto che attendiamo l’esito, si porti il prossimo caso!”

In quel mentre il prefetto pensò bene di chiedere qualche delucidazione alla sua guida: “Perdonatemi per la mia curiosità, ma adesso che succede? Da come capisco siamo nel tribunale infernale. Devo pensare di essere morto? E adesso cosa mi vogliono fare, voi credete che mi succederà qualcosa di male?”

Il messaggero gli mise una mano sul braccio e gli rispose: “State tranquillo, per voi va tutto al meglio. Siete un uomo fortunato. La vostra pratica è capitata nelle mani giuste. Siete davanti al migliore dei 24 tribunali infernali, perché questi sono giudici molto benevoli e onesti. Siete stato inserito nel registro rosso in cui sono messi gli uomini virtuosi che sono in condizioni irregolari rispetto al destino. Qui non servono le monete d’oro, gli incensi, le preghiere o le raccomandazioni, perché nulla influenza questi giudici. Avete le migliori speranze di tornarvene a casa.”

Mentre gli diceva questo, le guardie portarono un mandarino che vestiva con una veste di seta rossa e che ostentava i dischi di giada che attestavano il rango di alto funzionario. Il presidente del tribunale celeste ordinò allo scriba: “Cancelliere, illustrateci la pratica!”

Il cancelliere aprì il registro nero e lesse una nota: “Zhen Li, ministro della giustizia dell’Impero di Mezzo. Ha tramato per allontanare i suoi colleghi e per fare carriera. Ha approfittato della sua carica per arricchirsi e per aumentare il suo potere. È colpevole di corruzione, concussione, falsa testimonianza, diffamazione, atti di lussuria, rapimento, tortura e condanna a morte di innocenti. Morto nel suo letto senza mostrare il minimo rimorso.”

I giudici si consultarono e sentenziarono: “Avendo disonorato il sacro ufficio dei doveri assegnati dal Figlio del Cielo, il presente Zhen Li viene condannato a subire tutte le torture che ha inflitto agli altri. Sarà rinchiuso per 4 cicli terrestri nel 9° cerchio inferiore degli Inferi. In quel soggiorno potrà purificare i suoi 5 elementi, poi dovrà reincarnarsi sotto forma di cane poi come asino e infine in una famiglia povera!”

Il condannato protestò furiosamente e professò la sua innocenza affermando di essere vittima di un errore giudiziario. Poi urlò che aveva diritto di ricorrere in appello contro l’ingiusta condanna e arrivò a minacciare i giudici, perciò accorsero le guardie infernali e alcuni demoni con teste di porco, di cavallo e di rettile che immobilizzarono il forsennato perché si dibatteva come un ossesso. Quando lo ebbero legato e imbavagliato per bene, il giudice gli disse:

“Sappiate che ogni particolare della vostra vita è esatto. Vita, morte e miracoli di ogni vita sono scritti nei nostri registri. A noi non sfugge nulla di quello che fanno gli uomini. La lista delle azioni umane è minuziosamente verificata prima che si istruisca il processo della vita che si è conclusa. La nostra giustizia è implacabile ma è giusta, perché il merito viene premiato e il delitto è sempre punito. Ma, ora per rinfrescarvi la memoria e porre fine alle proteste che venga portato lo Specchio della Verità!”

Un addetto portò uno specchio in cui il condannato dovette rivedere gli orrori e gli odiosi crimini di cui si era reso colpevole. Poi, con un ampio svolazzo della sua manica il giudice fece portare via il condannato. In quel momento arrivò un messaggero con un plico che consegnò al giudice. Il magistrato aprì il messaggio, lo lesse e poi fece cenno al prefetto Dong di avvicinarsi per ascoltare la sentenza:

“Ricevo la risposta di Sua Maestà Yan Luo, il Re degli Inferi. Sua Maestà mi informa che ha mandato il vostro dossier al Celeste Imperatore in persona, e che la Sua Serenissima Grandezza nella sua Immensa Benevolenza e Saggezza ha deciso di rimandarvi indietro. Avete una proroga di vita di 2 cicli di 12 anni da vivere ancora nella presente incarnazione, e poi vi si concede anche una degna discendenza.” Dong concluse il racconto dicendo: “Dopo quelle parole sono svenuto e mi sono risvegliato nel mio letto con mia moglie che urlava!”

Dopo un anno dalla resurrezione, il prefetto ebbe la gioia di avere la nascita di un figlio che, a sentire l’indovino, aveva i segni di un alto destino. E, in omaggio allo strano sogno del padre, al bimbo fu messo il nome di Dono del Cielo. Il prefetto Dong fece di tutto perché quel figlio tanto desiderato fosse degno erede delle sue aspirazioni, perciò cercò di inculcargli i più alti e nobili principi. Ma il rampollo si mostrò allergico allo studio dei classici e poco amante della pratica delle virtù paterne.

Il giovane Dono del Cielo preferiva frequentare le taverne e gozzovigliare con i vagabondi. Invece di studiare si ubriacava insieme ai poeti libertini e ai giocatori da bisca. Aveva un carattere impulsivo e arrogante, perciò teneva testa ai rimproveri del padre che cercava di richiamarlo al dovere. Il genitore lottava ma poi cedeva, perché amava troppo quel figlio così lungamente atteso.

Con il dispiacere di tutta la famiglia, il ragazzo fu bocciato agli esami di letterato, perciò il dono del cielo si dimostrò essere, con il tempo, un dono avvelenato. Il prefetto restò vittima del suo buon cuore e fu troppo debole perciò non riuscì a fronteggiare le maldicenze dei colleghi invidiosi.

Quindi cadde in disgrazia, perse l’incarico prestigioso e fu trasferito in una remota provincia per svolgere un incarico più oscuro e meno remunerato. Il figlio finì per rovinarlo facendo ingenti debiti di gioco che il padre volle onorare perdendo così anche le ultime sostanze. E come era stato promesso, quando furono trascorsi 24 anni dalla misteriosa resurrezione, il prefetto passò a miglior vita.

Divenuto capofamiglia, Dono del Cielo pensò che fosse meglio correggere il suo tenore di vita. Ormai era troppo povero per riprendere gli studi perciò pensò che fosse meglio cercare un lavoro per mantenere la famiglia. Cercò e bussò a tutte le porte ma la sua cattiva fama era diffusa e nessuno gli diede un lavoro, neppure modesto.

Una notte vagava solitario e disperato quando incrociò un anziano eremita dai capelli bianchi. Il vecchio sembrava un taoista errante che camminava appoggiato ad un bastone tutto ritorto. Quando si incrociarono, lungo la strada, il vecchio lo fissò e poi lo chiamò per nome e gli disse:

“Io vi riconosco! Un tempo vostro padre, il prefetto Dong, mi salvò la vita. Io mi chiamo Tan Jinxuan e non l’ho dimenticato. Vedo che siete messo male, perciò andate nella capitale dello Shanxi e presentatevi a mio nome dalla famiglia Huang. Là vive una fanciulla chiamata Fiore di Giada. Io sono suo padre e so che vi è stata destinata e che vi porterà fortuna. Sarei onorato se divenisse vostra sposa.”

Dono del Cielo restò immobile per lo stupore. Quando si riscosse vide che lo sconosciuto era scomparso nel buio di un vicolo. Il giovane prese la strada che lo portava nella ricca famiglia degli Huang, i cui membri furono molto stupiti di sapere che il ragazzo aveva incontrato l’anziano Tan che si era ritirato sulla montagna sacra degli Immortali ormai da molto.

Non avevano più sue notizie da tanti anni che lo credevano morto, ma la descrizione che il ragazzo fornì era esatta. Dono del Cielo, per pudore, omise di rivelare la promessa di sposare Fiore di Giada. Passarono i mesi e, non volendo deludere i suoi ospiti, il ragazzo si applicava con scrupolo nell’assolvere ai suoi doveri. Si conquistò la stima generale tanto da farlo apparire come il perfetto marito della figlia maggiore che sembrava in età giusta per maritarsi.

La ragazza si chiamava Fenice e rispondeva perfettamente ai canoni di bellezza validi in quei tempi. Era un esempio di virtù e di bellezza, di grazia e di premura. Era dolce ma anche vivace e affettuosa, e poi si muoveva come un flessuoso salice. La sua pelle era bianca come una pesca vellutata, le sue labbra erano rosse e aveva piccoli denti candidi come perle. I suoi occhi erano neri e profondi come due perle nere rubate dal tesoro del re Drago dei Mari del Sud.

I due giovani sembravano avere attrazione reciproca e sembravano intendersi a meraviglia. I genitori aveva fatto degli accenni velati su un parere favorevole, perciò c’era stata più di un'allusione velata alla loro possibile unione. Dono del Cielo faceva gli orecchi da mercante perché si sentiva obbligato alla promessa fatta al suo benefattore, cioè di sposare Fiore di Giada.

La cosa procedeva così, finché si arrivò alla cena di una sera in cui il discorso cadde apertamente sul matrimonio. A quella cena era presente tutta la casata degli Huang perciò Dono del Cielo si trovò incastrato, e fu costretto a svelare il suo segreto. Alla rivelazione scoppiò una risata generale, e poi la bella Fenice spiegò: “Scusaci tanto Dono del Cielo se ridiamo così, ma la cosa è troppo curiosa. Devi sapere che il mio vero nome è Fiore di Giada e che io sono la figlia di Tan Jinxuan. Dopo la morte di mia madre, mio padre era diventato troppo povero per allevarmi e mi fece adottare da suo cugino Huang che mi ha cambiato nome per allontanare la sventura che sembrava accanirsi sulla mia famiglia. Come vedi il nostro matrimonio è veramente predestinato!”

E il matrimonio avvenne in pompa magna per accrescere la felicità di tutti. L’unione con Fiore di Giada segnò la svolta positiva per Dono del Cielo a cui la nuova posizione economica permise di riprendere gli studi. Il risultato fu che venne sempre promosso con ottimi voti, perciò si classificò primo dei diplomati della provincia.

Questo successo gli permise di andare nella capitale per tentare il concorso da mandarino che superò con le congratulazioni di tutta la commissione. Ebbe un parere così encomiabile che fece carriera fino a essere notato dal Figlio del Cielo che gli affidò il ministero della Giustizia. Ma la sua carriera era avanzata in modo tanto veloce che lui fu travolto dall’ebbrezza del potere.

La posizione che aveva conquistato rinvigorì la sua presunzione e gli ridestò l’antica arroganza. Una volta che ebbe ritrovato l'orgoglio e la prepotenza passate volle vendicarsi di chi aveva rovinato il padre. Perseguitò chi lo avevano perseguitato, li rovinò a sua volta e li fece destituire, esiliare o condannare a pene capitali.

Molti di quelli che lui rovinò, si suicidarono. Le persecuzioni gli fecero nascere il timore di restar vittima di complotti o cospirazioni. Voleva la carica di Primo Ministro perciò si mise a complottare arruolando una squadra di spie che si infiltrò in tutti gli ambienti tenendolo informato sui segreti di tutti.

E senza esitazione, usò ricatti e manipolazioni di ogni tipo finché il giovane ministro si trasformò in un’abile volpe della politica. La sua influenza si estese al punto che entrò nelle simpatie dell’Imperatrice e del gineceo imperiale. Più si sentiva vicino alla carica che voleva più fingeva disinteresse, perché sfruttava l’arma della retorica mandarina di dissimulare sempre i propri obiettivi.

E venne il giorno in cui un mendicante si presentò alla porta del suo palazzo e chiese una udienza, ma le guardie lo volevano cacciare. Però quello, mentre era scacciato vide che Dono del Cielo usciva in cortile e stava per salire in carrozza. Lo chiamò urlando: “Ehi, Dono del Cielo! Guardami, sono io, sono il tuo vecchio amico! Ti voglio parlare e questi sbirri mi vogliono cacciare!” Il ministro si girò per guardare chi fosse quello che aveva gridato e vide un misero accattone, perciò fece un gesto infastidito per cacciarlo.

Ma il mendicante urlò ancora più forte: “Sei diventato troppo famoso vero? Il figlio di Dong non ha tempo per parlare con un vecchio amico. Cosa fai, ora ti puoi permettere di disprezzare le vecchie conoscenze, e solo perché sei famoso? Mi fa male vedere come la nostra vecchia amicizia sia rinnegata. Vostra Eccellenza è diventata un ministro con la veste rossa e la cintura di giada! Ti ricordavo più modesto quando si beveva e si rideva insieme!”

Il ministro credeva di avere incontrato un compagno di bisbocce di cui non si ricordava, ma quel passato non era molto adatto da riportare in vita nella sua attuale posizione perché non voleva scandali. Allora decise che era meglio lasciar passare il seccatore e cercare di liquidarlo senza fare troppo rumore. Credeva di poterlo liquidare con qualche moneta d’oro senza far sapere gli affari suoi a tutti.

Quando lo vide meglio, Dono del Cielo vide un uomo strano che usava un ramo ritorto come bastone. Il suo viso era incorniciato da una barbetta sale e pepe e dal ciuffo di una capigliatura tutta impolverata che era coperta da un rozzo berretto che teneva inclinato verso una tempia. Il suo vestito era logoro e polveroso, perciò Dono del Cielo pensò che fosse un povero diavolo caduto in miseria.

Lo sconosciuto gli rivolse un sorriso complice e poi disse: “Vedo che l’oblio è un nettare per questo mondo così mutevole. Eccoti incastrato in una situazione molto incresciosa. Non c’è che dire, non te la passi bene. E no, proprio per nulla! Hai proprio preso un pessimo andazzo che rischia di portarti fuori strada.

Puoi ringraziare il tuo vecchio amico che è accorso in tuo aiuto. Io ho ritrovato la strada, anche se ho impiegato due terzi del tempo che ho vissuto. Ma non restiamo qui dove ci possono vedere.” Lo strano mendicante si guardò intorno e poi lo trascinò in un angolo della veranda dove riprese a parlare:

“Ecco qui siamo al sicuro da occhi e orecchie indiscrete! Travestito così sono irriconoscibile, ma lo sai il rischio che sto correndo in nome della nostra vecchia amicizia? Per te sto infrangendo un divieto celeste, perché in linea di diritto, non dovrei aiutarti. Ma io non vedo l’ora che ti risvegli alla vera Realtà e che tiri fuori la testa dalla melma delle illusioni e compia la tua missione. Adesso rischi di dover vivere molte vite per salvarti, e ci vorrà troppo tempo prima che torniamo a gozzovigliare al Banchetto degli Immortali. Senza di te rischierei di annoiarmi troppo, perciò eccomi qui!”

Il ministro guardava lo stravagante personaggio con molta compassione per via di quella follia generosa e affettuosa. Il timore dello scandalo lo frenava dal farlo scacciare in malo modo. Poi vide che il mendicante estraeva una scatoletta da cui prese una pillola rossa e continuò: “Ecco guarda, l’ho fabbricata nel mio forno alchemico, apposta per te! È una Pillola del Risveglio, fatta con cinabro purissimo. Non devi fare altro che prenderla e l’occhio del tuo Spirito si aprirà. Forza, mandala giù!”

Dono del Cielo guardò le sue dita sporche e poi farfugliò un cortese rifiuto. L’uomo gli disse: “Ma quanto sei scemo! Il tuo Spirito è così ottenebrato da rifiutare il consiglio di un vecchio amico?" Il ministro aprì allora le sue labbra disgustate come se volesse dire qualcosa, e il mendicante ne approfittò per lanciargli in bocca la pasticca.

La pillola gli si sciolse subito in bocca, e Dono del Cielo sentì un fuoco liquido che scendeva in tutto il corpo. Sembrava che un magma incandescente gli scorresse nelle sue vene, finché venne l’esplosione! Poi tutte le cose furono diverse. Tutto diventò così chiaro e luminoso che lui si ricordò chi era veramente e quello che doveva fare su questa terra.

Riconobbe il suo vecchio amico e insieme scoppiarono in una bella risata mentre si abbracciavano felici. Avevano le lacrime agli occhi per la gioia di essersi ritrovati, poi il ministro invitò l’amico a cena in casa sua e trascorsero la notte a ricordare i bei tempi in cui vivevano nel Palazzo di Giada che è il più gradevole soggiorno dei Beati.

I frutti della terra sono dolci ma non possono eguagliare l’ambrosia contenuta nelle Pesche dell’immortalità. Dono del Cielo e il suo amico erano stati due giovani Immortali addetti al servizio dell’Imperatore Celeste. Il primo come ciambellano di corte e il suo amico come coppiere. Insieme si erano ubriacati e avevano riso e corteggiato tutte le dame celesti superando i limiti della convenienza.

Avevano folleggiato senza posa tra le Dame dell’Imperatrice di Giada, finché il loro servizio divino ne aveva risentito. L’Imperatore, indignato, li aveva esiliati e condannati a incarnarsi nel mondo per compiere una sacra missione, e non sarebbero potuti ritornare senza avere assolto a quel compito.

La missione del ciambellano ora ministro era quella di aiutare il Figlio del Cielo a restaurare l’amore della virtù e della giustizia nel Paese di Mezzo. La missione del suo amico era quella di dover accompagnare al risveglio e alla fusione nel Tao tre dozzine di mortali. Lui aveva concluso la sua missione, ma prima di partire aveva visto dov'era il suo amico.

Aveva visto che l'amico era rimasto intossicato dalle emozioni umane e che quei veleni lo stavano lentamente sommergendo. Se continuava in quel modo rischiava di errare a vuoto per molte vite. Per questo aveva deciso di aiutarlo prima di tornare nella corte celeste. In effetti, dopo la visita dello strano mendicante, Dono del Cielo rinunciò alle sue trame e fece carriera in modo onesto.

Diventò il Primo Ministro e il primo consigliere dell’Imperatore di Mezzo onorando la memoria del padre. Perseguitò i favoritismi e la corruzione, risollevò l’amministrazione statale e la consolidò con il cemento della giustizia, dell’equità e dell’integrità. Per molti decenni il Paese di Mezzo fu un santuario di pace, giustizia e prosperità.

Furono favoriti i poeti, i pittori e gli artisti, perciò Dono del Cielo trasformò in realtà la promessa del suo nome. Il ciambellano riebbe l'amico, e siccome l’avventura terrestre gli aveva dato quella briciola di saggezza che gli mancava, riuscì a fare carriera. Secondo certi medium, sembra che ora sia primo ministro e che viva con Fiore di Giada nella loro casa stellare sulla riva del Fiume d’Argento che è il nome cinese della Via Lattea.

Buona erranza
Sharatan

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