mercoledì 1 aprile 2015

L’Uomo con il Megafono



“La natura umana partecipa della sciocchezza
più che della saggezza.” (Francesco Bacone)

George Saunders ci chiede di immaginare un uomo in mezzo ad un campo nel 1200, e di pensare a quello che può pensare un uomo del 1200 che sta in un campo. Cosa gli girerà nella testa? Con chi ce l’avrà? Da chi si starà difendendo? In parole povere, dice Saunders, chiediamoci se tra la sua vita e la nostra notiamo una qualche differenza. Abbiamo molte cose in comune con lui perché siamo entrambi occupati in un dialogo mentale con le persone che conosciamo, infatti parliamo internamente con genitori, coniugi, figli e con i vicini di casa.

Ma se ci riflettiamo meglio vediamo che, la differenza tra lui e noi esiste. E la differenza riguarda il numero e la natura delle conversazioni che intratteniamo con tutti quelli che non conosciamo. L’uomo del 1200 di sicuro parla interiormente con i suoi dei, i suoi avi oppure con gli esseri mitologici o con i personaggi storici della sua epoca: ma tutto questo lo facciamo anche noi.

C’è una categoria che l’uomo del 1200 non conosceva, ma che noi conosciamo, ed è composta da tutte le persone lontane che entrano nella nostra mente, che agiscono con fini diversi e usano l’alta tecnologia. Questa è la differenza tra l'uomo del 1200 e quello moderno ma, obietta Saunders, sarà un bene o un male questo? Non lo sappiamo, e al momento limitiamoci a notare la differenza.

Ora continuiamo l’esercizio di immaginazione e immaginiamo una festa. Gli ospiti della festa fanno parte di vari ceti sociali perciò non sono delle persone qualsiasi. Sono tutte persone che hanno avuto le loro esperienze, persone che lavorano e che vantano di avere competenze. Tutti gli ospiti stanno conversando tra loro su molti argomenti che li appassionano molto.

Si scambiano delle opinioni correggendo il punto di vista degli altri. Se vengono alla superficie le preoccupazioni o le paure nascoste, se ne accorgono però pensano: “Oh meno male, ma che bello!” perché sentono che le esperienze sono condivise. Sentono che le loro paure vengono alleviate da quelli che ci sono già passati. A un certo punto, entra un uomo con un megafono. Non è l’uomo più intelligente della festa e non è neppure quello più navigato, mai possiede un megafono!

Ora mettiamo che l'uomo inizi a parlare nel megafono, parla della bellezza delle mattine di primavera. E sapete cosa accade? Accade che tutti gli ospiti iniziano ad ascoltarlo sia perché sarebbe impossibile non farlo (a causa del volume del megafono), ma anche per un fatto di buona educazione. Perciò, dopo un pochino, tutti gli ospiti cominciano a parlare della bellezza della primavera.

Qualcuno gli darà ragione e altri gli daranno torto, ma siccome l’Uomo col Megafono fa un gran rumore, sono tutti costretti a reagire ai suoi stimoli. Appena l’Uomo col Megafono cambia l'argomento lo fanno pure gli altri. Se inizia a usare l'intercalare: “in fin dei conti” anche gli altri iniziano a usarlo. Tutte queste reazioni non dipendono dalla sua intelligenza, neppure dalla sua competenza o da qualche potere di preveggenza o dalla sua padronanza del linguaggio, ma derivano “dal volume e dall’onnipotenza della voce narrante”.

La principale caratteristica del personaggio è il predominio, perché l’Uomo col Megafono sovrasta tutte le altre voci, e la sua retorica diventa quella di riferimento. Rapidamente l’Uomo col Megafono avrà guastato la festa, perché tutti smettono di credere al loro valore di ospiti e iniziano a credere che esistono solo per reagire a lui. Smetteranno di parlare di quello che li interessa e inizieranno a parlare di quello che interessa l’Uomo col Megafono. Inizieranno a diventare passivi, non avranno fiducia nelle proprie sensazioni e crederanno solo a quello che sentono dire.

Potrebbero anche non accorgersi che iniziano a parlare e pensare nel suo stile, perciò tutto quello che è importante per l’Uomo col Megafono sarà importante anche per loro. Ricordiamo, dice Saunders, che l’Uomo col Megafono non è più intelligente di loro, che non è bravo a parlare e che non possiede neppure un’esperienza adeguata. Ci potrebbe andare peggio di così? Certo che si.

Sarebbe possibile che l’Uomo col Megafono non pensi a quello che dice, perciò che apra bocca e che dia fiato. Ipotizziamo che debba urlare per farsi sentire, perciò che debba anche limitare la complessità dei suoi discorsi. Poiché deve intrattenere tutti gli ospiti è costretto a privilegiare, il tono concettuale-didascalico o il tono ansioso-polemico, oppure il pettegolezzo o l’argomento futile.

Solitamente si crede che il linguaggio sia un prodotto del pensiero. Si crede che si deve formulare il pensiero e poi si potrà scegliere il linguaggio che possa esprimere il pensiero. E si è provato che la qualità del pensiero viene condizionata dalla qualità del linguaggio. Ogni volta che tentiamo di esprimere ciò che pensiamo comprendiamo meglio ciò che vogliamo esprimere. Ma l'oratore logorroico ha imposto un lessico ristretto che ha saputo limitare la qualità e la quantità dei pensieri.

In sostanza, dice Saunders, L'Uomo col Megafono è riuscito a imporre un tetto massimo d’intelligenza alla festa. Ora immaginiamo che un uomo sia seduto in una stanza e che senta qualcuno che gli urla dalla finestra. La voce che urla parla delle condizioni della casa del vicino. La mente del tipo seduto inizia a immaginare cosa è avvenuto, ma quali fattori condizioneranno il suo pensiero? Proviamo a dirli:

1) la chiarezza del linguaggio (meno il linguaggio è confuso, sconnesso e pieno di termini gergali e meglio è)
2) gli intenti dell’informatore (nessuna intenzione è preferibile ad avere troppe intenzioni e troppo diverse)
3) il tempo e la cura che viene messa per avere un resoconto fedele di ciò che è avvenuto
4) il tempo che viene concesso per spiegare, analizzare e approfondire.

Ora facciamo due ipotesi: una positiva e l'altra negativa. L’ipotesi positiva è quella in cui l’informazione offra il vero quadro della situazione. L’informazione è scritta, riveduta e corretta nel lungo periodo di tempo per verificare che sia veritiera. Ipotizziamo che sia verificata da persone competenti e disinteressate che danno un resoconto lungo, denso e dettagliato che esprime ogni aspetto della questione nella sua complessità.

Poi ipotizziamo che sia attuata l’ipotesi pessimistica in cui l’informazione è scritta da persone non troppo competenti. Queste persone non possiedono delle informazioni di prima mano, inoltre lavorano sotto pressione e perseguono l’intento di distorcere la cose a loro vantaggio. Ora abbiamo avanzato l’idea che esiste un fenomeno che era latente nei mezzi di informazione, e che oggi è diventato dichiaratamente smaccato.

Se dobbiamo inventare qualcosa di falso dobbiamo inventare anche un modo nuovo di esporre i fatti. Per fare molte ore di trasmissione usando fatti scemi come quello del cane che ha defecato nel vaso, dice Saunders, è necessario operare dei ritocchi. Per dire tutte le scemate che sono necessarie per dare l’impressione che la notizia del cane che ha defecato nel vaso sia importante, si deve trattare quel caso come una cosa seria.

Bisogna chiamare l'esperto in cacche di cane e dobbiamo fargli fare una stima della taglia del cane e delle sue condizioni psicologiche mentre si accingeva a defecare nel vaso. E il fatto, in apparenza ridicolo, inizia a gonfiarsi e ci fa distorcere la percezione. Questo accade con il continuo sfruttamento di casi morbosi, di scandali minori e altre notizie ridicole che sono gonfiate fino all’inverosimile. A quel punto il gioco è fatto!

Il discorso è stato degradato talmente che siamo diventati bersagli facili. E nelle ore di bisogno e di paura, dice Saunders, ci siamo trovati con un armamentario mentale rozzo e iperbolico, perciò abbiamo iniziato a usarlo anche per discutere le cose importanti. È così abbiamo deciso di invadere la casa del vicino! In un attimo siamo a Baghdad, guidati dall’Uomo col Megafono che gridava che iniziava un conto alla rovescia contro il Malvagio.

Accadeva che l’Uomo col Megafono aveva spento il cervello o, almeno, aveva annullato una parte di cervello. Si era spenta la parte più curiosa, la parte che avrebbe dovuto aiutarci a decidere se quella era la scelta più intelligente e moralmente più valida. Si era spenta la parte che capiva che si sarebbe combattuta una guerra vera che avrebbe ucciso le persone vere. Dov'erano andati i nostri dubbi?

Si è parlato di tattiche e di logistica ma non si era valutata la moralità di quella invasione. Abbiamo dimenticato il monito di Gandhi: “Che differenza fa per i morti, gli orfani e gli sfollati se la distruzione viene portata in nome del totalitarismo o nel sacro nome della libertà e della democrazia?”

E sorge il dubbio se, date alcune condizioni, la stupidità umana non finisca per prevalere contagiando gli intelletti più brillanti, e possa abbassare il cervello di tutti? Saunders sospetta che siamo stati resi più ottusi e più tolleranti verso la fuffa. Siamo stati minati nella nostra capacità di costruire delle frasi ambiziose, di creare dei concetti che siano densi di significato, e di saper ridere di cose stupide e insensate.

L’informazione deficiente ha il suo costo anche quando viene data senza secondi fini. Il costo dell’informazione deficiente è direttamente proporzionale all’onnipotenza del messaggio. Dicono che la mente umana, all'inizio, è come una tabula rasa e poi nasce l’idea e cominciano i guai perché la mente scambia l’idea del mondo per il mondo.

Dopo aver confuso l’idea con il mondo, la mente fa una teoria e, sulla base di quella teoria, si precipita ad agire. Poiché l’idea è un’approssimazione del mondo l’azione è catastrofica o benefica secondo la distanza che la separa dalla realtà. Il compito dei media è quello di fornire questi simulacri di mondo con i quali creiamo le idee: la costruzione è chiamata narrazione. L’Uomo del Megafono è un narratore nato anche se le sue storie non sono il massimo!

Le sue storie non maturano bene, nascono troppo in fretta e si rivolgono a un pubblico troppo vasto. Le storie migliori nascono dalla spinta verso la libertà, sono storie complesse perché devono farci riflettere. Ci devono rendere più umili e devono farci immedesimare con quelli che non conosciamo e aiutarci a immaginarli meglio. Se li immaginiamo vediamo che essi sono sostanzialmente come noi.

Una cultura che possiede una immaginazione ricca riesce a vedere dimensioni diverse dalla sua, perciò ha un maggior rispetto per la guerra. Possiede una maggiore consapevolezza della legge e delle conseguenze, anche involontarie, delle sue azioni. Possiede una maggiore dimestichezza del mondo perciò sa che all’aggressore si risponde sempre con inattese forme di violenza e di aggressività.

Una cultura che immagina in termini complessi, dice Saunders, è una cultura umile che sa agire con prudenza. Essa agisce quando deve agire, ma il più tardi e il più cautamente possibile, perciò vede che ha un esiguo spazio di manovra nel negozio di porcellane in cui è capitata. Ma come è potuto essere che ci siamo ridotti così?

Secondo Saunders avvenne che alcuni elementi della destra americana hanno iniziato la deriva mentale riattivando l’antica vena americana della retorica semplicistica, sciovinista, che è fondata sulla paura e sul clima di terrore dell’11 settembre, e che fu contagiata dai media. Ai tempi avvenne così, ma ancora oggi sta andando così, e così sarà per il futuro se la malattia non sarà debellata.

Si rischia che, a ogni attentato, si rinforzi sempre più lo schema malato, e si dirà che non si deve cadere nel permissivismo e nei discorsi senza censure, perché così si incoraggerebbe il terrorismo. Siamo arrivati alla frutta? No, forse non ancora suggerisce Saunders, nel bel saggio: “Il megafono spento: cronache da un mondo troppo rumoroso” di Minimum Fax ed.

Buona lettura
Sharatan

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