domenica 28 ottobre 2018

La coesione



“Puoi capire che tipo di persona sia,
in base alla creatura che compare più spesso davanti.”
(George MacDonald)

Gli esseri umani sono animali sociali. Ci riuniamo in gruppi: anche questo fa parte della nostra realtà biologica. Qual è il collante che unisce un gruppo di animali? Nel caso di insetti sociali il collante è puramente biochimico: la formica regina, vespa o ape secerne una sostanza chimica chiamata “feromone” che regola tutte le funzioni sociali e sessuali.

Una funzione primaria è l’identificazione di tutti i membri di quella colonia, di quel particolare nido o alveare. Ogni individuo viene marcato con questa sostanza, perciò è possibile riconoscere la sua appartenenza al gruppo. È l’equivalente biochimico di un cartellino identificativo. I roditori, oltre al feromone, usano un segnale olfattivo.

Gli animali che vivono in branco, come pecore, bovini e cervi, sono legati al cosiddetto “istinto del branco” che non è stato realmente compreso, al di là del fatto di riconoscere il ruolo dell’olfatto e il bisogno di un numero ottimale. I mammiferi predatori, come i lupi e i leoni, usano i segnali olfattivi come strumento primario per riconoscere i membri del proprio branco o le proprie prede.

Nei primati l’olfatto è ridotto, e viene utilizzato poco anche il feromone, quindi per identificarsi e comunicare il proprio stato d’animo e le proprie intenzioni, fanno affidamento principalmente sulla vista, il linguaggio del corpo, la mimica, le espressioni e le posture.

Gli studi durati anni sui gruppi di scimpanzé e di gorilla condotti da esperti del calibro di Jane Goodall, Robert Yerkes e Diane Fossey hanno messo in evidenza che ciò che rende una scimmia, uno scimpanzé o un gorilla consapevoli della loro appartenenza a un particolare gruppo è strettamente correlato alla loro relazione con gli altri membri del gruppo stesso.

Proprio come nel gruppo di umani, anche all’interno di un gruppo di scimmie non regna affatto la pace assoluta: la loro quotidianità è pervasa di competizioni, litigi e lotte, nonché da cooperazione, affetto e gioco. I gruppi umani utilizzano tutte le caratteristiche essenziali degli altri gruppi animali.

Dalla nostra posizione, all’apice dell’evoluzione, mimiamo comunque i comportamenti di tutti gli altri animali sociali che vivono sulla terra. Se ti trovi sulla terrazza panoramica dell’Empire State Building e osservi, da quella altezza, le strade di Manhattan, vedrai una colonia di formiche umane. Se osservi il comportamento di bande giovanili, vedrai un branco di ratti umani.

Se osservi la folla di un centro commerciale vedrai mandrie di umani intenti a brucare. Se viaggi in classe economica vedrai esseri umani ammucchiati alla stregua di pecore o mucche. E se osservi dei gruppi di vendita o di marketing al lavoro vedrai l’equivalente umano di un branco a caccia.

Se osservi degli uomini che cercano di rimorchiare delle donne nei bar o in altri ambienti o osservi delle donne che cercano di sedurre gli uomini e di attirarli nelle loro reti, vedrai diversi tipi di predatori sociali solitari.

Ma le analogie non si esauriscono qui; noi incarniamo anche i comportamenti del mondo vegetale: alcune persone si arroccano sui principi come se fossero alberi; altre sembrano erba battuta dal vento; alcune persone hanno una scorza pungente, come i cactus; altre si abbarbicano come edera.

Ma il collante che tiene uniti i gruppi è peculiare dell’essere umano. Infatti, una volta scoperto il numero ottimale per mantenere la continuità da una generazione all’altra, i gruppi hanno bisogno di una dimensione diversa dalla pura biologia.

La forza di coesione del gruppo è la cultura del gruppo stessa, intesa come lingua, utensili, abitudini e totem. Gli uomini danno un senso alla propria vita lasciando alle generazioni successive, eredità colturali oltre che, naturalmente, eredità puramente biologiche.

Persone che condividono le stesse credenze, la stessa filosofia, religione, politica, professione, nazionalità, etnia, ecc., non sono unite da legami biologici, non riconoscono né l’odore, né il feromone dell’altro. E, per rendere chiara l’identificazione visuale non devono necessariamente avere gli stessi comportamenti o vestirsi allo stesso modo.

Ma condividere credenze permette ai gruppi umani di sperimentare la coesione e, purtroppo, anche di denigrare altri gruppi e di giustificare la violenza nei loro confronti. Per ironia della sorte, proprio lo stesso motivo che ci permette di convivere pacificamente in gruppi molto più grandi di quelli che la natura aveva in mente per noi è lo stesso che ci impedisce di convivere pacificamente con gli altri.

Ogni gruppo, infatti, tende a credere di essere il migliore e così percepisce gli altri come “inferiori” e, quindi, come potenziali nemici. Il problema centrale di un conflitto fra gruppi si riduce alla rinuncia all’identità individuale, del pensiero e dell’espressione del singolo, in favore dell’identificazione con lo stesso gruppo.

Perdendo il proprio elemento umano attraverso un’identificazione collettiva, si può fallire nel riconoscere l’elemento umano nelle altre persone che non appartengono al gruppo. Quando si scambia l’identità individuale per una di gruppo, si baratta anche una parte della propria libertà di azione e di pensiero in cambio di una parziale sottomissione alla richiesta collettiva di uniformità di azione.

Arthur Koestler ha chiamato questo fenomeno “identificazione autotrascendente” e ha scritto che: «i mali dell’umanità sono causati non dall’aggressività primaria degli individui, quanto dalla loro identificazione auto trascendente con i gruppi … la vena delirante che pervade la storia non è dovuta a forme individuali di pazzia, bensì alle delusioni collettive generate da sistemi di credenze basate sull’emozione.»

Il vantaggio immediato è la sicurezza: il gruppo ti accoglie, ti permette di esimerti dalla ricerca faticosa del tuo Io, offrendoci un’identificazione confortante e fa appello al tuo istinto di appartenenza. Il gruppo ti fa sentire desiderato e necessario: tutti vogliono sentirsi necessari, e tutti hanno bisogno di sentirsi desiderati.

Barattare l’identità personale con l’identificazione in un qualsiasi gruppo, che non sia l’intera razza umana, crea dei sottogruppi. Prima o poi - tu o qualcun altro - riterrai il tuo sottogruppo primario per la causa umana e gli altri sottogruppi, secondari.

Giungerai a considerare il mondo diviso tra “noi” e “loro”: noi stessi e gli altri; i salvati e i dannati; i fedeli e gli infedeli; i proletari e i borghesi; gli oppressori e le vittime. E sempre, purtroppo, il “noi” è considerato superiore al “loro”. Qualunque pace non potrà che essere temporanea, a meno che non consideriamo gli altri come individui uguali a noi, per il semplice fatto di essere tutti membri della razza umana.

La divisione in gruppi crea inevitabilmente diseguaglianze o l’illusione della diversità. La massima espressione della natura umana si raggiunge trovando la propria identità in quanto essere unico, e non perdendo l’identità personale in una identificazione auto trascendente con i gruppi.

Sii te stesso e sii parte dell’umanità: nessuno sarà in grado di raggirarti o di costringerti a pensare o essere violento in base a semplici differenze di appartenenze o di credenze. Se trovi la tua identità umana indipendentemente dall’identificazione collettiva, scoprirai l’elemento umano anche negli altri, ovunque tu vada e, in cambio, sarai riconosciuto come uomo. (Lou Marinoff, Le pillole di Aristotele, Piemme ed.)

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