martedì 2 ottobre 2018

Cortesia



“La cortesia è un ramo dell’albero dell’amore”
(Giovanni XXIII)

La cortesia è qualcosa di bello e rende la vita bella, armoniosa. La cortesia è, appunto, “forma”, gesto, comportamento, azione. Ma tutto ciò parte da un atteggiamento interiore, altrimenti la cortesia scade a formalismo, artificiosità, ipocrisia.

Allorché la cortesia decade, viene considerata qualcosa di superfluo, ed è soppiantata dalla rozzezza, dalla grossolanità, allora la vita stessa si degrada e si impoverisce.

Dice Romano Guardini: «La cortesia si premura di allontanare o di sorvolare su ciò che dispiace all’altro, di evitare imbarazzi, di allontanare situazioni tese, di attenuare eventuali situazioni penose. Con la cortesia il più giovane viene indotto a onorare il più vecchio, l’uomo a onorare la donna, il più forte a onorare il più debole.

Non sono se non motivi che moderano i moti dell’orgoglio e della violenza e che alleggeriscono all’altro la vita. La cortesia ha bisogno di tempo. Per essere cortesi occorre indugiare, aspettare, andare per vie indirette; bisogna avere riguardo e perciò porre in secondo ordine se stessi.

Ma tutto ciò significa consumo di tempo e dunque, nella nostra epoca delle scadenze esattamente calcolate, degli apparecchi di precisione, degli alti costi degli impianti e della frenetica concorrenza, viene considerato come qualcosa di inutile, di irrazionale, di falso, anzi di non giusto, con tutto questo muore naturalmente la cortesia …

La cortesia spreca, diciamo meglio, consuma tempo. La vita ama gli indugi, ama far cerimonie. Una vita da cui si levano le cerimonie e le prodigalità si riduce a uno scorrere di funzioni meccaniche.»

Può essere utile e interessante ricordare anche il luogo di nascita della cortesia. Essa è nata a “corte,” nel palazzo del re. La cortesia era, precisamente, il comportamento imposto dal riguardo per la presenza del re.

Occorre tener presente, infatti, che il re, nelle concezioni antiche, era considerato un individuo che si staccava nettamente dagli altri, e si avvicinava al divino. Ecco perché esigeva un rispetto specialissimo, dal momento che lui era, per così dire, la manifestazione dell’Altissimo e la sua irradiazione.

Un’irradiazione che si prolungava verso il basso, toccava anche i gradini inferiori, e abbracciava quindi tutti gli esseri. Per cui una persona che si comportava con cortesia verso un’altra riconosceva nell’altra un riverbero della grandezza del re, e acquisiva anche per sé questo titolo di grandezza.

Possiamo affermare perciò, che è possibile parlare di cortesia soltanto partendo dalla dignità dell’uomo, dal valore “sacro” della persona che quindi deve essere “onorata” quale che sia il suo stato sociale od economico.

Esistono sempre in agguato potenze che tendono a disonorare l’uomo, a fargli violenza. Basti pensare a vari totalitarismi, che pretendono di entrare con prepotenza in quella zona di inviolabilità e intangibilità che è propria dell’uomo (ricordiamo la famosa denuncia e sfida di Giovannino Guareschi, che prigioniero in un lager, contro la sopraffazione sacrilega perpetrata dalla “signora Germania”…).

In una prospettiva cristiana, la cortesia va posta in rapporto a Colui che ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza, e non può tollerare che questa immagine venga profanata, disonorata, o anche semplicemente offuscata.

Un altro motivo si fonda sulla considerazione della vulnerabilità e della fragilità dell’uomo. Per cui ciascuno deve sentirsi responsabile dell’altro, usare estrema attenzione nel “maneggiare” l’altro, perché è delicato, si rompe facilmente. (Alessandro Pronzato, Piccoli passi verso l’uomo: alla ricerca delle virtù perdute, Gribaudi ed.)

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