martedì 26 maggio 2009

Essere come gli dei

Da secoli la Chiesa afferma che l’uomo nasce nel peccato, vive nel peccato e non può sottrarsi alla sua natura peccaminosa. Facendo una continua predicazione in tale senso, ha sempre più diminuito la speranza ed il desiderio di sfuggire ad una natura imperfetta e corrotta. Sia pure ammettendo che l’uomo sia capace di crudeltà, però non è scritto da nessuna parte, che gli esseri umani debbano fatalmente essere vittime delle loro bassezze.

Gesù ha detto: ”Siate perfetti come perfetto è il vostro Padre Celeste” per cui è assai difficile che potesse incitare degli esseri tanto imperfetti e crudeli, ad un ideale, ad una vetta così sublime. A chiunque volesse obiettare ricordando la colpa del peccato originale che ha causato la caduta dell’uomo, potrei facilmente ricordare che la caduta riguarda la “condizione” umana e non la sua “natura.” Questa cosa non può avvenire perché Dio soffiò nel primo uomo, plasmato in argilla, un “soffio vitale” che lo rese vivente: perciò l’uomo possiede in sé un soffio divino a cui non può abiurare, essendo la sostanza della sua intima essenza.

Gesù ci ricorda questa discendanza e filiazione divina nella preghiera del Padre Nostro, ma questo non è bastato perchè i cristiani si sentissero e si comportassero veramente come figli di Dio. Per secoli si sono sentiti avvinti da un rapporto di timore ad una figura divina che possiede tutti i tratti del Dio geloso e vendicatore dell’Antico Testamento, senza pensarlo come il Padre amoroso e compassionevole che è stato predicato da Cristo.

Tutti coloro che non sono consapevoli del proprio stato di divinità latente, sono perciò condannati allo smarrimento e alla disperazione dovuto all’assenza della divinità. Non è possibile alcun risveglio e alcuna mobilitazione se non si perviene alla piena fiducia della nostra natura divina. Nello splendido Sermone della montagna, è lo stesso Cristo che afferma: ”Siate perfetti come perfetto è il vostro Padre Celeste” ”(Mt. 5,48) e anche “Chi crede in me, compirà anch’egli le opere che faccio io, anzi, ne farà di migliori.”

Perché allora vogliamo trascurare questo prezioso insegnamento? Perché esso non viene messo in luce in modo adeguato? Alla prima domanda potremmo rispondere ricordando la profonda pigrizia ed inerzia a cui tende la natura umana, sempre presuntuosamente ancorata al suo modo abituale di ragionare, e che preferisce vivere rassicurata nella sua cecità. Ma dovremmo anche ricordare che la comprensione della realtà è illusoria, e che è falsata dallo suo “strumento per pensare”, cioè dalla nostra mente cartesiana e logica: questo tipo di mente è tanto pesante e densa che non si fa raffinare con facilità.

Alla seconda domanda potrei rispondere ricordando che la Chiesa nega la dottrina della reincarnazione, senza la quale la teoria della reintegrazione degli esseri non sarebbe possibile. La"vittoria" del Bene sul Male, della Luce sulle Tenebre si compirà con il ritorno delle cose nel Divino, cioè con la riassimilazione degli esseri purificati e rigenerati nel Divino che li aveva emanati. E’ questa la Grande Opera universale. “Le illusioni momentanee, battezzate col nome di creature, di esseri, di mondi, scompariranno. In quanto Dio è Tutto, e Tutto è in Dio, benchè Tutto non sia Dio! L'Assoluto non ha tratto niente da un Nulla illusorio, che non potrebbe esistere al di fuori di Lui, senza essere Lui stesso.”

Gesù era cosciente della sua essenza e della sua missione spirituale sulla terra, perché aveva preparato la sua incarnazione. Nel vangelo di Giovanni invece si riferisce di un dialogo intercorso tra Giovanni Battista e gli inviati dei Giudei: “E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu?”. Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: “Che cosa dunque? Sei Elia?”. Rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”. Gli dissero dunque: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Rispose: “Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. Essi erano stati mandati da parte dei farisei.”(Giovanni 1, 19-25): da ciò si desume la familiarità con la teoria della reincarnazione.

Tutta la vita e la predicazione di Gesù ci spingono al risveglio alla nostra vera essenza divina, e la parabola del figliol prodigo ci testimonia delle celebrazioni che avvengono nei Cieli, quando uno dei figli perduti finalmente ritorna a casa. Questo ritorno ha inizio con il risveglio dal mondo dei dormienti, perché la peggiore schiavitù che si può infliggere all’uomo è mantenerlo nell’ignoranza e nell’inconsapevolezza della sua dignità e della sua natura divina.
Un essere in possesso di tale consapevolezza diventa capace di cose grandi e questo fa paura al potere costituito, perché nessun soppruso si tollera se ci si reputa figli di tale padre: pretendiamo il massimo rispetto da tutti perché ne abbiamo diritto.

Gesù insisteva nel proclamare l’origine divina dell’uomo, allora gli scribi cercarono di lapidarlo. Ma Gesù disse loro: “Vi ho mostrato molte buone opere che vengono dal Padre mio, per quale di esse mi lapidate?” I Giudei gli risposero. “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia: perché pur essendo tu un uomo, ti fai simile a Dio." E allora Gesù li guardò e rispose: “Non sta forse scritto nella vostra legge: Io vi ho detto che siete dei?” E allora quelli non seppero rispondere e lo lasciarono andare.

In realtà questa divinità è già scritta nell’Antico testamento e più volte, tale teoria ricorre nei vangeli, insieme alla dottrina della reincarnazione, come nel caso del cieco nato, infatti i discepoli domandarono a Gesù: “Chi ha peccato, quest'uomo o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?” (Giov. 9, 2)
La divinità viene raggiunta nel corso di più vite, ma non viene preclusa a nessuno, perchè è una nostra condizione naturale, dobbiamo solo riconoscerla e rivendicarla.

Credere in questa fraternità universale, in una comune e nobile origine, permetteva a Gesù di avvicinarsi a chiunque e di parlare con chiunque, senza lasciarsi condizionare da pregiudizi o limitazioni di casta, così proclamava un’uguaglianza spiritale ben superiore all’uguaglianza sociale che pure pretendeva. Sicuramente il messaggio che ci consegna è quello di credere in un’essenza divina che tutti abbiamo e che tutti possiamo ricordare, e da cui nessuno viene mai escluso.

Chiaramente il senso non è quello di “credersi un dio” perché sarebbe la strada per il ricovero in una clinica psichiatrica, ma piuttosto è quello di fare un percorso di consapevolezza lastricato di umiltà, amore e generosità sia verso se stessi che verso gli altri: questo sarebbe già un’ottimo inizio.
Nella mente umana regna sempre una grande confusione dovuta alla coesistenza della natura terrena con quella spirituale, perché esse viaggiano in direzioni opposte; dovremmo invece affrontare il lavoro della loro riconciliazione, della loro armonizzazione per ottenere sempre maggiori salti di consapevolezza cosciente.

L’esempio che può essere fatto, attingendo al campo della musica, è quello di uno strumento, che deve essere accordato in modo sempre più raffinato per poter eseguire partiture di crescente difficoltà. Per questo dovremmo coltivare il nostro animo leggendo dei libri, ascoltando della musica, ammirando un bel paesaggio, meditando e coltivando la nostra creatività nel modo più adeguato per i nostri talenti. Dovremmo nutrirci di bellezza, così da avvertire in noi il lampo che illumina e riscalda il nostro essere.

Coltivare solo una delle nostre due nature non ha senso, mortificarne una a scapito dell’altra non è certo la strada migliore. Educare all’elevazione delle nostre due nature appare assai più conveniente. Per evolvere è necessario un grosso lavoro sulla nostra sensibilità: è così che la nostra materia psichica può divenire più sottile, più flessibile, più pura, vibrando in modo diverso e permettendoci di percepire meglio il livello divino e preservandoci dalle cattiverie, dalla stupidità e dalle offese che potrebbero ferirci; ad esse non presteremo più alcuna attenzione.

Chi è veramente sensibile non è vulnerabile, per cui è superiore alla malevolenza, alla volgarità e alle brutture, perché si sente naturalmente attratto solo dalla luce, dalla bellezza e dalla felicità: questo significa essere come gli dei. Questi argomenti di Omraam Mickhael Aivanhov, il mio primo maestro spirituale, credo che meritino tutta la nostra riflessione.

Buona erranza
Sharatan

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