giovedì 28 maggio 2009

Interiormente con Dio, esteriormente con gli uomini



“Cerco sinceramente
Colui che non si può trovare”
Rumi

Vi è un gruppo di persone che chiamano Sufi. Guardati in modo esteriore, vestono di lana grezza, per cui il loro nome forse viene dal termine arabo suf, che significa lana grezza. Coloro che li vedono vivere estranei alle ansie del mondo, sereni e in pace con se stessi, che in arabo si dice suffah, li credono sufi per questo motivo. Ancora altri, dallo sguardo più acuto, li vedono nella profondità del cuore e li ammirano perché sono i puri di cuore, che in arabo si dice safa, e come tali li onorano. Altri, che li conoscono ancor meglio, li vedono nel Giorno del Giudizio di fronte all’Eterno, pronti in prima fila, che è detta saff-i-awwal, immersi nella gioia dell’Eterno: tutte queste etimologie sono egualmente vere.

Parlare del sufismo è difficile, perché è un pensiero che non si fa ingabbiare, come dimostra l’etimologia multeplice, che ci propone Abd al-Qadir al-Jilani ne “Il segreto dei segreti”per spiegare il loro nome. Il sufismo non si può nemmeno definire una religione, perché essi ammoniscono di non aderire ad alcun culto per non dovere trascurare gli altri, ma il sufismo non è nemmeno una filosofia, sebbene abbia la sua visione del mondo, e che tra i suoi aderenti siano annoverati i più grandi filosofi e teologi islamici.

Il sufismo è un ecumenismo, è un universalismo, è un sentiero di scoperta del nucleo più profondo, più autentico ed esoterico di ogni religione, perciò è stato detto che i sufi sono come api che suggono il nettare da ogni fiore. Esso è un metodo rigoroso di addestramento mentale, una concezione psico-pedagogica di vita che si appella alle facoltà interiori dell’uomo, affinchè possa divenire un individuo autentico, che ha realizzato la sua essenza. L’uomo, afferma il sufismo, deve eliminare i suoi pregiudizi mentali e culturali, in modo da poter scoprire la scintilla divina nascosta nel suo cuore: il sufismo è la meta ideale di un importante programma di rieducazione.

Dopo avere raggiunto un certo livello di consapevolezza, un sufi è esteriormente un uomo comune, perfettamente inserito nella società, ma dentro di sé sarà profondamente diverso. Egli si voterà ad un lavoro comune, con impegno e dedizione, cosicchè la nobile condotta ne rispecchi la maturità intima. Così il sufi realizzerà il perfetto equilibrio tra l’interno e l’esterno, con piena soddisfazioni di entrambi le esigenze: essendo impeccabile dentro e fuori.

I sufi sono stati chiamati “Gli Amici” in allusione alla loro relazione con Dio, oppure “Le Genti della Verità” o “Il Gruppo” o anche “Cristiani esoterici” per la loro profonda affinità con le dottrine cristiane. Essi si appellano al Patto di Allenza tra Dio e gli uomini, un patto stipulato sotto gli auspici dell’amore reciproco: Dio è ovunque e controlla ogni azione dell’uomo, perciò essi si comportavano come se fossero perennemente al cospetto di Dio.

I sufi credono che ogni conoscenza si debba convertire in azione, per potere conciliare l’intenzione con le opere: senza conoscenza l’azione è monca, ma senza intenzione, cioè senza adeguata disposizione d’animo, ogni atto rituale è privo di valore. D’altro lato, senza le opere, non sappiamo saggiare le vere disposizioni interiori: questi sono principi pratici, da applicare alla vita quotidiana, non delle vuote speculazioni filosofiche.

Essenziale è l’Amore per Dio a cui i sufi si votano assolutamente e per sempre. Affermano che, se viviamo e agiamo pensando alle ricompense e alle punizioni, allora ci allontaniamo da Dio, perché vediamo solo la separazione e non l’unione: la volontà divina è assolutamente la migliore per l’uomo, e anche le avversità servono a riavvicinarci a Lui. Distaccandoci dal nostro io limitato e parziale, e riponendo piena fiducia nella bontà del disegno divino per la nostra vita, sapremo accantonare ogni contrarietà dell’esistenza.

Anche se i primi sufi furono degli asceti, in seguito iniziarono a valorizzare il mondo materiale dal punto di vista spirituale, perché anche la realtà delle cose e le attività quotidiane aiutano ad accostarci alla divinità. La corporeità non è un velo, ma è un modo per godere i migliori frutti dell’operato di Dio, grazie al quale ogni creatura partecipa di Lui. Per questo amore, i sufi furono distinti in “ebbri” cioè intossicati e alimentati dal pensiero del Divino, e “sobri” che non rinunciavano ai rapporti sociali e che li valorizzavano in senso spirituale.

Era un sufi anche al-Gazali, il maggiore teologo islamico, che fece apprezzare il sufismo negli ambienti intellettuali più raffinati, il quale insistette sull’aspetto della conoscenza del sé, mentre dobbiamo a Ibn-Arabi lo sviluppo del concetto dell’Unità dell’essere e a Fariddun Attar il tema del viaggio, cioè dell’erranza della Creatura che vuole tornare al suo Creatore.
Ma siano essi sufi ascetici, innamorati o metafisici, pur sempre il sufismo è una consapevolezza interiore che, a prescindere dal credo religioso, si lascia penetrare da ogni concezione mistica con cui venne a contatto: particolarmente cara è la figura di Gesù che i sufi amano intensamente e che li fa chiamare anche “cristiani mascherati.”

Islam significa “pace” e “sottomissione” e implica l’abbandono totale ed assoluto a Dio e alla sua volontà. L’uomo cerca sempre il ritorno al Creatore, ed ogni azione umana dimostra questa ricerca. I sufi non si sottraggono alla Legge, ma vi aggiungono la prospettiva interiore ed esoterica, per cui i loro messaggi si ampliano sempre con significati più profondi di quelli prettamente letterali.

Osservando i Pilastri della Legge, intendono il concetto di digiuno sia esteriore ma maggiormente come interiore, cioè come abbandono dei preconcetti e dei pregiudizi, piuttosto che come pura e semplice astensione dal nutrimento. Riguardo alla preghiera, non se ne pretende la corretta esecuzione, ma la sincera disposizione interna, sebbene il sufismo usi tecniche molto superiori alla preghiera, cioè il dhikr, che è una meditazione di tipo yogico. La Mecca non è quella geografica, ma è il nostro cuore, e la jihad è la guerra contro i nostri istinti e le nostre passioni: tutte le loro interpretazioni sono dei mòniti a coltivare l’interiorità, cioè l’aspetto esoterico della Legge.

Ogni volta che l’Islam chiama ad interpretazioni restrittive e rigide della Legge, i sufi sono in prima fila nel richiamare agli aspetti interiori e spirituali: di fatto un sufi non si sente mai vincolato alla Legge, soprattutto dopo essersi accostato alla Realtà Autentica e, anche se di fatto essi sono esteriormente conformisti, interiormente, sono sempre aderenti al Nucleo della Realtà. Il loro motto programmatico fu “interiormente con Dio, esteriormente con gli uomini” e rimasero sempre fedeli.

Più volte furono perseguitati ed uccisi per la loro simpatia all’universalismo tollerante dell’Islam, ma resistettero, perché nel Corano si afferma che Dio non distingue tra i suoi inviati, e lascia che ogni popolo osservi i suoi rituali, perché tutti coloro che credono alla fine saranno salvati (Sura 2,62) ed essere ebrei o cristiani è irrilevante davanti a Dio.

I sufi si spingono a proclamare l’unità di tutti i culti perché, malgrado le strade diverse, la ricerca è sempre una. Rumi dice che, alla fine, ci ritroveremo tutti alla stessa meta e allora vedremo che non esiste più alcuna differenza tra le varie religioni, perché tutti verremo sommersi dal Grande Oceano dell’Amore Cosmico.

Buona erranza
Sharatan


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