venerdì 8 maggio 2009

L'arte dell'empatizzazione multipla



David Hume, nel “Trattato sulla natura umana” (1739) scriveva: “Non c’è qualità della natura umana più notevole, sia in sé e per sé, sia per le sue conseguenze, della nostra propensione a provare simpatia per gli altri, e a ricevere per comunicazione le inclinazioni e i sentimenti altrui, per quanto diversi e addirittura contrari ai nostri. […] In generale possiamo osservare che le menti umane sono specchio l’una dell’altra, non solo perché riflettono reciprocamente le loro emozioni, ma anche perché questi raggi di passioni, sentimenti e opinioni si riverberano fino a svanire pian piano, insensibilmente.” Questo sentimento i filosofi dell’antichità lo chiamavano simpatia e gli stoici la ritennero il legame che unisce tra loro le cose e le tiene o le fa convergere nell’ordine del mondo. Plotino la mise alla base della magia, come pure così tutti i più grandi maghi rinascimentali.

Adam Smith nella “Teoria dei sentimenti morali” (1759) inizia così: “Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe alle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla. Di questo genere è la pietà o compassione, l’emozione che proviamo per la miseria altrui, quando la vediamo oppure siamo portati a immaginarla in maniera molto vivace.” Questa compartecipazione è il nucleo della moralità, ed è frutto di una cognizione prodotta da “un immaginario scambio di posto con chi soffre.”

Darwin ne “L’origine dell’uomo” riprende sia Hume che Smith, affermando che la simpatia è l’elemento fondamentale degli istinti sociali. “un uomo che non possedesse traccia di questi istinti sarebbe un mostro innaturale” e afferma: “Siamo così spinti ad alleviare le sofferenze altrui, in modo da alleviare nello stesso tempo i nostri sentimenti dolorosi.” Così la simpatia è alla base anche dei sentimenti di rimorso, pentimento, dolore e vergogna, come ripensamento sulle azioni compiute, assieme al proponimento di fare diversamente per il futuro. Darwin riteneva che la simpatia fosse innata perché osservabile anche negli animali, che fosse il prodotto della evoluzione e della selezione naturale, a vantaggio delle comunità umane, qualora ne sperimentino gli effetti positivi di aiuto e di difesa.

Già da subito, nel sentimento di simpatia, si evidenziano due aspetti: la componente mentale definita da Hume “capacità di entrare nei sentimenti altrui”, e la capacità di provare le emozioni dell’altro rappresentandole come immagini della nostra mente: così le emozioni simpatetiche diventano il requisito per la nostra educazione morale. Questa capacità di saper assumere il punto di vista dell’altro, di poterne assumere il ruolo, a livello cognitivo viene denominato empatia. Il termine viene usato dallo psicologo americano Edward Titchener per tradurre il termine Einfuhlung, che era usato nei testi di estetica per indicare il venire assorbiti dall’oggetto artistico che si sta osservando. Freud usa Einfuhlung per indicare il processo che ci permette di comprendere gli altri, e lo introduce nella psicanalisi.

La capacità di “leggere la mente” o di “mentalizzare”, alla luce delle nuove scoperte della neurobiologia sembrerebbe attribuibile, in primo luogo alla presenza nella mente umana di meccanismi innati che generano credenze circa gli stati mentali a partire da determinati input percettivi, in secondo luogo da un determinato funzionamento mentale di tipo strutturale. La teoria dei neuroni specchio, dimostra che i neuroni si attivano sia se facciamo un’azione, sia se la vediamo eseguire da altri, e spiega neuropsicologicamente i comportamenti per induzione, su cui si basano i comportamenti imitativi, come già intuito da Hume.

La teoria freudiana, attiva lo studio sull’empatia e lo rapporta alla moralità solo per affermare che vi è un conflitto tra le inclinazioni naturali dell’individuo e le esigenze della vita sociale. Quindi i genitori devono modificare tali atteggiamenti naturali, prima addestrando i figli ad obbedire agli ordini e poi, tramite la creazione di regole a cui obbedire, creano un modello condizionato di comportamento. Ciò permette di interiorizzare gli atteggiamenti morali senza l’intervento di nessun controllo esterno. Perlopiù la scena educativa e psicologica, verrà occupata da questa concezione per metà Novecento, fino alla proposta di Martin Hoffman che, all’inizio degli anni ’60 estese il suo studio del comportamento morale all’altruismo e alla considerazione per gli altri, ed incluse il dispiacere empatico tra le emozioni moralmente rilevanti.

Hoffman spiega che l’empatia non ci spinge a condividere le emozioni degli altri in modo imparziale, ma è vulnerabile rispetto a due tipi di distorsioni o “bias” cioè, quello di familiarità che ci fa empatizzare con i membri del nostro gruppo (etnico, religioso, professionale, etc.), e quello con cui abbiamo vincoli di parentela, di amicizia e di affinità intellettuale. Il suo lavoro viene considerato rivoluzionario perché ritiene che il bambino sia capace di azioni morali e di comportamenti di cura, mettendo in crisi la teoria psicanalitica che reputa il bambino come essere immorale, un perverso polimorfo.

Le ragioni evoluzionistiche, egli afferma sono molto forti, infatti gli esseri umani hanno i geni per il mutuo aiuto, altrimenti i popoli cacciatori e raccoglitori non sarebbero sopravvissuti. Così resta, sebbene il mondo competitivo ed indifferente verso il prossimo, della fine del 20. secolo, faccia supporre che ognuno pensi soprattutto a sé stesso. La teoria di Hoffman è invece che l’empatia è la scintilla da cui nasce l’interesse umano per gli altri, il collante che rende possibile la vita sociale e che ha permesso l’evoluzione e la sopravvivenza umana: nell’uomo vi è una “etica del prendersi cura” che si relaziona con il concetto di giustizia, cioè con la base del comportamento morale.

La larga diffusione del senso di colpa nella società occidentale, per Hoffman, ha ridotto gli esseri umani a “macchine per il senso di colpa” piuttosto che individui in cui l’empatia per gli altri sia incorporata in un principio morale congruente, in modo che l’empatia sia stabile e strutturata. Alla base di gran parte dei principi di giustizia c’è il senso di reciprocità, per cui le buone azioni dovrebbero essere ricompensate, le cattive andrebbero punite e le pene dovrebbero essere proporzionate ai delitti: poichè il concetto di reciprocità va accompagnato sempre dall’empatia.

L’importanza dell’interiorizzazione morale è primaria, e la motivazione morale interna è per Hoffman quella che:
• Ha un carattere irresistibile ed obbligatorio
• È qualcosa che nasce dall’interno
• Ci fa sentire colpevoli quando compiamo azioni che danneggiano gli altri
• Ci fa tenere conto delle necessità degli altri anche quando vanno in conflitto con i nostri interessi.
L’ipotesi di Hoffman è che la socializzazione a favore dell’uguaglianza, debba essere insegnata fin dalle fasi più precoci della vita, perché solo l’empatia è innata. Il codice morale invece, deve essere costruito con dei valori, e questi valori sono di tipo familiare e sociale.

Crescendo, la persona inizia a riflettere e ragionare su tali valori, quindi può analizzarli, interpretarli, confrontarli e contrapporli e infine può accettarli o rifiutarli, cioè può creare un proprio sistema di principi morali generali che si auspica abbiano anche un forte carico emotivo. Una volta che abbiamo interiorizzato i principi di cura e di giustizia, e ci impegniamo affinchè tali valori siano rispettati, ci rendiamo conto che abbiamo la scelta e il controllo della situazione. Questo ci infonde il coraggio delle nostre azioni, e abbiamo raggiunto un nuovo livello, cioè sappiamo agire sulla base di principi interiorizzati che diventano affermazione di noi stessi.

La combinazione di empatia, reciprocità e giustizia hanno valore universale e non tengono conto delle variabili culturali e razziali. Nella nostra società multirazziale, dovremmo creare la coscienza della profonda unità del genere umano, conclude Hoffman, e addestrarci all’arte della “empatizzazione multipla” che può ridurre la tendenza ad attribuire motivazioni negative alle persone estranee al proprio gruppo, e può rendere più civile la vita di una società multiculturale.

Buona erranza
Sharatan

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