sabato 23 maggio 2009

La nobile banalità dell’eroe


Immersi nei luoghi oscuri che sono celati nell’animo umano, ragionando sulle materie brute e sui sentimenti di crudeltà che esso è in grado di ospitare, sapendo che vi sono forze che ci possono assoggettare, sembrerebbe facile dire che siamo un crogiuolo di forze capaci di farci abiurare a tutte le nostre migliori prerogative quali: la premura, la gentilezza, la cooperazione e l’amore.

Ma poi abbiamo visto che, anche se siamo in preda alle emozioni, alle situazioni e, anche se siamo governati da sistemi che non sempre agiscono per il bene del singolo e della comunità, possiamo imparare a essere dissidenti perchè non siamo schiavi del potere e delle situazioni, e possiamo resistere. C’è chi lo ha fatto e può testimoniarlo, ma ci resta il sospetto della nostra piccolezza perché non siamo eroi.

Gli eroi sono degli esseri speciali che compiono azioni eccezionali, sono uomini simili agli dei, così eccezionali che trascendono ogni legge. Sono spiriti magnifici che posseggono coraggio e integrità d’animo, sono superiori alle mediocrità della vita comune e capaci di imprese memorabili che nessuno sarebbe in grado di compiere. Così si esprimeva Aristotele, creando un ideale di eroismo maschio e sprezzante, naturale conseguenza di una dote individuale innata. L’eroismo nasce da una matrice possente che è aliena al vivere normale, essa è una luce, un’ideale elevato che si colloca in un luogo lontanissimo da quello del comune mortale: l’Olimpo delle divinità greche.

In realtà, nella psicologia, c’è il difetto di basare le indagini solo sull’aspetto peggiore della natura umana. Questo elemento non deve essere visto come fattore in detrimento della disciplina, perché essa sorge per la normalizzazione dei comportamenti individuali devianti, cioè nasce per eliminare i fattori dannosi alla società e al buon vivere civile.

Oggi invece conosciamo psicologie positive, strategie d’aiuto che analizzano le virtù, cioè le tendenze divine dell’essere umano. Ogni pensiero che si basa su interpretazioni di tipo darwiniano perciò andrebbe archiviato, perché reputa l’uomo derivato dalla natura animale, mentre invece ogni forma vitale possiede una scintilla divina da alimentare ed elevare: questo è il motivo della sacralità della vita.

Pensare all’uomo come forma animale evoluta, equivale a giustificarne lo sterminio e la rovina, tanti sono gli esempi di ferinità moderna, perciò dovremmo vedere il prossimo come un fratello addormentato, come una scintilla coperta da uno strato di cenere, una brace latente, ed un potenziale fuoco di divino splendore. Molto spesso non è facile farlo, ma non per questo dovremmo arrenderci, come insegnano le leggi della resistenza e dell’erranza.

Nello stereotipo dell’eroe concorre l’immagine del guerriero coraggioso, di uno che si assume dei rischi, che è noncurante di morire al fine di una nobile causa: senza dubbio l’eroismo è una sorta di status sociale che deve essere riconosciuto dagli altri. Ma qui già dovremmo riflettere, perchè gli stessi kamikaze palestinesi che sono visti come assassini dagli israeliani, vengono considerati dei martiri eroici per i loro fratelli palestinesi: insomma questi valori sono culturalmente e storicamente mutevoli e variabili.

I fatti eroici devono essere testimoniati, scritti e tramandati per poter essere ricordati, perciò è impossibile per chi non sa scrivere poter narrare la sua versione dei fatti: in effetti i poveri, gli analfabeti ed i popoli indigeni hanno pochi eroi conosciuti.

Ma non tutti gli eroi sono stati santi o guerrieri, non tutti hanno offerto il sacrificio della vita per servire una causa, anche se l’eroe è certamente chi trascura il rischio fisico per una nobile causa e chi sacrifica ad essa la sua intera vita, come Madre Teresa, Mandela, Gandhi e tanti altri, senza tacere però della miriade di “pseudo-eroi” creati dai media per indottrinarci con ideologie di massa.

Vi sono poi gli eroismi delle persone comuni, di coloro che affermano di non avere fatto niente di eccezionale, di aver fatto cose normali, che invece sono state grandi, enormi, che hanno voluto compiere atti memorabili di cui non si sono mai pentiti perché non avrebbero potuto fare altrimenti: essi dicono di non essere eccezionali ma di essere solo persone comuni.

A Città del Messico il 3 ottobre 1968 la piazza di Tlatelolco (ribattezzata piazza delle Tre culture) è ricoperta da centinaia di morti, quasi tutti studenti: l’esercito ha sparato dagli elicotteri e dai tetti del ministero degli Esteri, per ordine del presidente messicano Gustavo Diaz Ortaz. L’eco della strage sarà enorme in tutto il mondo, ma l’indignazione non impedisce la regolare apertura dei giochi olimpici, che iniziano a Città del Messico il 12 ottobre del 1968, pochi giorni dopo la strage di piazza delle Tre culture.

In febbraio gli Stati Uniti avevano votato a favore della partecipazione ai giochi del Sudafrica, paese in cui vigeva l'apartheid, ma una valanga di “no” di 32 stati africani e la minaccia di boicottaggio da parte degli atleti neri, li persuase a ritirarsi; così Città del Messico ospita i giochi più politicizzati della storia olimpica.

Furono i neri americani a occupare la scena con 10 record mondiali, e il culmine fu la premiazione dei due velocisti neri Tommie Smith e John Carlos, oro e bronzo nei 200 metri piani. Salirono sul podio scalzi, e ascoltarono il loro inno nazionale chinando il capo e sollevando i pugni chiusi con le mani guantate di nero, comunicando al mondo la loro solidarietà con il movimento del black power che in quegli anni lottava per avere eguali diritti negli Stati Uniti.
In maniera non violenta attuavano la disobbedienza civile tanto agognata da Martin Luther King, assassinato il 4 aprile 1968 a Memphis: la denuncia del razzismo americano, la dissacrazione della retorica olimpica e tutta la potenza della lotta dei neri statunitensi occuparono la scena mondiale.

Smith e Carlos furono sospesi dalla squadra americana con effetto immediato, ed espulsi dal villaggio olimpico. L’America bianca al loro ritorno si dimostrò ostile, negandogli un lavoro e riducendoli in condizioni difficili, fino a minacciarli di morte. La madre di Smith morì d’infarto, quando gli agricoltori locali gli spedirono ratti morti e letame, e la moglie di Carlos si suicidò perchè duramente provata, sia fisicamente che moralmente, dalle condizioni di emarginazione sociale.
Dobbiamo aspettare il 2005, per vedere nel campus della San Jose State University, una statua che li raffigura durante la famosa cerimonia di premiazione olimpica, e che gli rende onore per il loro eroismo civile.

Potremmo allora accettare una prospettiva intermedia per cui gli eroi sono delle persone comuni, che hanno saputo compiere imprese eccezionali. La spinta che li ha portati ad agire eroicamente è stata il tempo e il luogo, perchè una situazione agisce da catalizzatore e ci incoraggia ad agire, ci spinge ad entrare in gioco, oppure una situazione può ridurre il nostro autocontrollo e spingerci ad attuare una contromossa.

E’ interessante notare che questi anomali hanno più volte rifiutato la denominazione di eroi, dicendo di avere fatto solo quello che era necessario. Affermano che chiunque avrebbe agito come loro, oppure hanno difficoltà a comprendere come altri non l’abbiano fatto.
Nelson Mandela ha detto:”Non sono un messia, ma un uomo comune che è diventato un leader a causa di circostanze straordinarie” e le stesse parole sono state usate anche dagli eroi comuni e sconosciuti, che hanno fatto gesti eroici di ogni tipo.

Queste sono le frasi dell’eroe comune, del combattente di ogni giorno, di colui che apre la porta, che offre la precedenza, che offre il suo soccorso come buon samaritano e che può salvare migliaia di perseguitati quando arrivano le notti della ragione, così comuni nella nostra storia umana.
Questa è una banalità positiva che si oppone a quella negativa, alla “banalità del male” proclamata da Hanna Arendt: alcuni atti si compiono perchè è giusto che siano fatti.

Allora possiamo concludere pensando che ognuno può fare il bene ed il male, entrambi possono uscire fuori da noi in condizioni eccezionali, quando una situazioni svolge un ruolo determinante e ci si ritrova ad avere saltato il confine tra inerzia ed azione. Importante è credere che tutti siamo degli eroi latenti, e che l’eroismo è una capacità innata del genere umano e non una qualità rara di pochi eletti.

Buona erranza
Sharatan

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