giovedì 8 maggio 2008

Il trionfo dell’apparenza


Mi sono trovata a leggere un libro veramente gradevole “Il trionfo dell’apparenza: senza più regole, senza qualità, senza pudore, indifferente al fututo. Ma davvero il Terzo Millennio è così vuoto come sembra?” di Pino Aprile, giornalista, scrittore, e ex-direttore del settimanale Gente. E’ un libretto che si legge molto bene, scritto con garbo e chiarezza, ma non per questo leggero o sciocco: è un saggio sul costume sociale della modernità, sul vizio dell’apparire come male sociale primario dei nostri tempi.
L’autore inizia affermando che tutti ci spettavamo grandi cose dal terzo millennio, ma qualcosa non è andata per il verso giusto infatti, verso la fine del Ventesimo secolo è arrivata la Bolla, intesa come una superficie che si espande per racchiudere un nulla sempre più grande. La bellissima metafora è usata per raffigurare l’irrazionale crescita delle quote azionarie delle aziende informatiche, cioè di tutte quelle attività che furono lanciate dall’esplosione del web, e che fece crescere il valore delle aziende informatiche in modo spropositato ed irreale, fino a condizionare fortemente le borse mondiali. Chiaramente fu il forte interesse del mercato, cioè della domanda, a fare lievitare il valore ed i prezzi di beni che si vedevano come preziosi strumenti per guadagni futuri: una scommessa sul domani, degenerata per eccesso di scommettitori e di fiducia.
Così, afferma Aprile “per conquistare una ricchezza a venire, venne bruciata una ricchezza che già c’era” ma poi, passato il primo entusiasmo la bolla si ridimensionò e le aziende tornarono alle quotazioni che corrispondevano al loro valore reale: così tante aziende furono travolte dal tracollo. Ma la bolla non è un fenomeno solamente economico, si afferma, la bolla è un fenomeno che ha investito anche la società e si è scatenata una generale, incontenibile supervalutazione di cose di scarsa importanza, in ogni campo, con l’esaltazione dell’apparente e del futile. Tale fenomeno è una sorta di inflazione del vuoto, a cui il buon Silvio Berlusconi ha saputo dare voce per primo, con una geniale costruzione e manutenzione di facciate mediatiche. La sua nascita in un habitat, come la televisione, che è l’industria dell’immagine lo dimostra, come pure la creazione del suo partito che sembrava “di plastica” come dissero beffardi molti commentatori, ma che ha saputo tenere ed accrescersi, anche recentemente, dopo avere cambiato sigla e immagine. Berlusconi sconcertò per le calze di nylon con cui nascondeva le rughe, per le scarpette con rialzo, per il trapianto di capelli accompagnato da bandana, per i suoi consigli di estetica e di vita ai collaboratori, per il richiamo ad una maggiore eleganza fatto ad una giornalista del TG3 e per altre facezie simili. Comunque, continua Aprile, mentre qualcuno faceva drammi per la sostanza tradita, lui faceva vedere un’apparenza vincente e, seppure molti lo incolpino di avere causato una sorta di involuzione culturale degli italiani, va pur detto che il terreno era fertile per recepire il messaggio. La berlusconiana celebrazione del nulla lucido, ha trovato terreno fertile: il vuoto giusto, al momento giusto, per le persone giuste.
Per Pino Aprile, le bolle sono state ricorrenti nella storia italiana del secondo Novecento: la prima fu quella giudiziaria del dopoguerra con cui l’attenzione isterica ai fatti di cronaca nera, fecero avvertire fortemente l’esigenza di giustizia dopo un lungo periodo che ne aveva vista ben poca. Ci fu poi la bolla degli anni ’60 con cui si cominciò a cercare il superfluo dopo avere patito la mancanza del necessario, accompagnata dalla passione per il gossip; fatti e parole leggere aiutavano a fare rilassare l’animo, una volta usciti dal bisogno. Sia pure gossip, ma autentico gossip avverte Aprile, poichè le cose erano vere come pure erano vere le vicende di Liz Taylor, Titti di Savoia, Mina o Stefania Sandrelli, mentre il gossip di oggi è tutto costruito a tavolino dai vip e dai giornali. Tutto oggi è costruito su effimere fortune e su ricostruzioni sapienti di scenari in cui i fenomeni del divismo: capricci, eccessi, lussi, scandali e spese eccessive, sono sapientemente dosati e calcolati. Mai abbiamo avuto una stagione tanto piena di esibizionismo, di sesso e di possesso, costruito con la malizia dai mercanti di immagine.
Il mito di Atteone spiega bene le insidie dell’apparenza. Atteone, andando a caccia con i suoi cani, vede la dea Diana, che a mezzogiorno, cerca sollievo dalla calura nelle fresche acque di un fiume. La vede con il sole a picco, in pieno sole, in un modo che nulla sia nascosto, ne profana il pudore di donna.
La dea punisce Atteone per avere rivelato ciò che deve restare oscuro ed umbratile della natura umana, e Diana è dea della luna, del mistero e della penombra: dell’incompiutezza dell’anima. Essa è dea del bosco, nella cui penombra germogliano colpe e desideri, e dove il dolore e la paura cercano riparo nella solitudine. Diana è dea del mistero femminile, che nell’ombra si cela e che va intuito, che va vagheggiato e perfino temuto: sensibile e terribile. Tale verità va avvicinata con delicatezza e tutta la comprensione che una tale complessità merita, non con la britalità di una visione totale e brutale. Solo perché si vede tutto si da per scontato di capirne l’intero valore, e mentre si coglie l’apparenza, sfugge il significato della intima essenza. E’ proprio con la punizione della piena apparenza che la dea punisce Atteone e lo trasforma in cervo, ma in modo che solo all’esterno lo sia, pur conservando tutta l’essenza umana. Lui vorrebbe gridare che è un uomo, ma non può farlo perché appare essere un cervo, per cui i suoi stessi cani lo braccano e lo sbranano. Lui stesso cade vittima degli animali che aveva addestrato, lui stesso è artefice della sua fine. Perché se Diana, senza l’ombra non è dea, anche Atteone senza la profondità non è uomo, è animale.
La nostra società ha costruito sulla bolla molti personaggi, ma il meccanismo è sempre lo stesso: più il valore della cosa è minimo, maggiori sono i toni con cui viene presentata, siano essi di entusiasmo, biasimo, ammirazione, dolore, sdegno, etc. Grandi rumori che lasciano poche tracce, così la Bolla di Apparenza nei primi anni del Duemila ha mostrato effetti di grandiose apparenze, per la violenza, la dimensione, il rumore, l’agitazione. Mai come oggi la famiglia viene maggiormente celebrata e mai appare tanto indefinita nella sua essenza, essendo allargata, tradizionale, omosex, di fatto, mononucleare, etc. Mai come oggi viene tanto dichiarata l’attenzione per i bambini e se ne fanno tanto pochi, mai come oggi furono creati più divi e mai ve ne furono così pochi di veri, mai come oggi vi furono così pochi cattolici con la pretesa di controllare così totalmente la vita politica del paese. Mai come oggi, la bellezza è stata tanto celebrata e mai è stata tanto falsa e costruita sui lettini dei chirurghi. Mai ci fu minore visione del futuro e si ebbe maggiore pretesa di costruire su interessi miserabili, mai si celebrarono tanti calibri politici che vediamo non esistere, mai fu a rischio la libertà di informazione come oggi che abbiamo infiniti mezzi di comunicazione, ne mai la propaganda riuscì più profondamente a costruire un’informazione tanto conformista. Ma, come la bolla informatica seppe alla fine tornare alle sue vere dimensioni, anche la Bolla delle Apparenze sembra mostrare dei segni di stanchezza che si registrano nella diffusione del volontarismo, nel bisogno di maggiore stabilità sentimentale, nella stanchezza alle smanie dello star-system, e siccome “non solo gli imbecilli sognano in grande […] alcuni visionari di genio vedono lontano e sentono cose profonde: disegnano, a partire dai nostri errori, possibili domani”.
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami

Nessun commento: