domenica 7 giugno 2009

In viaggio come uno straniero...



“L’Universo è un grande uomo,
e l’uomo è un piccolo universo”
Detto sufi

Nella cosmologia sufi si narra che quando il tempo non esisteva, Dio creò il mondo: “Ero un tesoro nascosto; ho voluto essere conosciuto, e allora creai il mondo” (Hadith 70). La prima cosa creata fu dunque, lo Spirito e nel Corano (18, 84) è detto: “ Ti interrogheranno riguardo allo Spirito. Rispondi: lo Spirito procede dal Comandamento del mio Signore.”

Secondo una leggenda sufica di origine persiana, Dio creò lo Spirito nella forma di un pavone e gli mostrò la sua immagine nello specchio dell’Essenza divina. Intimorito dalla possente immagine, il pavone emise delle gocce di sudore da cui nacquero tutti gli altri esseri, e la ruota del pavone imita il dispiegamento cosmico dello Spirito. Lo Spirito è il Calamo supremo, con cui Dio registra tutti i destini sulla Tavola custodita, che corrisponde all’Anima Universale, in cui è scritta tutta la storia della creazione, dall’origine fino alla fine dei tempi.

L’uomo fu creato per ultimo, perciò racchiude in sé la perfezione ed è il simbolo delle forze che ci accostano alla natura divina: questo spiega perchè egli sia il fine ultimo delle cose, perchè sia il rappresentante della divinità ed il naturale fruitore della Creazione.
Ciò avvenne, dice il Corano, perché l’uomo accettò di portare “il pegno della fede” che cielo e terra avevano rifiutato; tale pegno è costituito dal deposito dei segreti divini che costituiscono la conoscenza esoterica.

Per questo l’uomo è molto più che la sua forma esteriore, e la sua essenza più intima è velata dalla corporeità: nell’uomo sono racchiusi tutti i mondi divini e naturali, perché egli è come un libro in cui sono illustrati i segreti delle cose. Dio ha bisogno dell’uomo per conoscere Sé stesso, e l’uomo ha bisogno di Dio per conoscere la sua essenza.

Ciò implica che egli si dovrà reintegrare alla sua primitiva unità, facendo ritorno alla purezza e all’innocenza che rappresentano la condizione celeste, così come insegna Cristo, quando disse che, se non saremo come fanciulli, non avremo accesso al Regno dei Cieli. Il fine del sufismo è il conseguimento di questa reintegrazione, mediante l’integrazione di corpo, mente e spirito, ognuno al suo livello.

L’uomo è vicario di Dio sulla terra, e può raggiungere la felicità rimanendo fedele alla sua natura, ed essendo veramente se stesso. Così l’uomo deve trarre profitto da ogni cosa materiale in modo da avvicinarsi al mondo spirituale: il corpo è il ponte ad un’altra forma di esistenza, perché “l’apparenza è il ponte verso la Realtà”. Perciò l’uomo sa che ogni cosa del mondo è il simbolo di una realtà più elevata, ma che i segni possono essere letti solo se conosciamo le chiavi per interpretarli.

Così l’uomo vive come uno straniero ed un viandante, e la vita umana è una condizione temporanea, poichè la natura umana è teomorfa e deve tornare alla sua fonte originaria: è questa la questione che sta più a cuore al sufismo. La sola Via è quella di coloro che tendono al ritorno alla loro Essenza Divina, perché, afferma Rumi: “ Nell’istante in cui tu fosti dato a questo basso mondo, sorse la scala per la quale tu potessi ascendere.”

L’etica sufi vuole realizzare l’uomo perfetto, perciò deve eliminare gli ostacoli che ottundono la visione della Realtà autentica e divina. Il centro di tali impedimenti è il nafs, l’anima o “se individuale” da cui derivano passioni ed impulsi egocentrici. Più l’uomo si affida al suo nafs, maggiore diviene il senso di separazione dai suoi simili e dalle cose, perché l’uomo, dicendo “Io” ignora il filo sottile che lo unisce all’Eterno. I sufi lo chiamano il se dispotico, perché esso è autoritario ed impone all’uomo la resa incondizionata alle sue passioni e ai suoi desideri.

Spesso non siamo consapevoli di coltivare certe tendenze negative nel nostro intimo, come l’orgoglio, l’arroganza e l’invidia, e le imputiamo al mondo esterno e alle circostanze. Se facciamo autocritica invece possiamo riconoscerle come nostre, come prodotte dal se dispotico, che è il peggiore nemico dell’uomo: sradicare tali tendenze, affermano i sufi, è come muovere le montagne, perciò il nostro se dispotico va addomesticato ed utilizzato, fino a distruggere la falsa individualità, per fare emergere quella vera, quella divina.

L’intera via sufica si potrebbe riassumere come un viaggio alla conoscenza di se stessi, perciò comporta, necessariamente, una scienza dell’anima. Le passioni umane vanno eliminate, in modo che il nafs non possa esercitare la sua influenza, e il dolore ed il piacere non possano più di dare sofferenza: avviene una vera e propria “morte nella vita” o piuttosto un “morire prima della morte.”

Così l’uomo si trova in Dio e la sua essenza si discioglie nel Creatore, così si realizza l’unità e l’illuminazione. In seguito l’uomo dovrà ridiscendere nel mondo materiale, pur restando sempre in compagnia di Dio. Allora un sufi può compiere qualsiasi lavoro, senza fare intuire la sua maturità spirituale a coloro che non ne saprebbero trarne vantaggio, ma dovrà fornire a tutti un modello di purezza e di nobiltà di spirito.

Sul ruolo dell’elemento tentatore, Shayṭān o Satana, il ribelle, l’avversario, il nemico, il Corano narra che Iblis si rese colpevole di disobbedienza nei riguardi di Dio: infatti si rifiutò di inchinarsi davanti ad Adamo, dicendo che una nobile creatura di fuoco come lui non si sarebbe inchinato mai davanti ad una creatura di fango. Dio lo fece precipitare negli inferi, perché Adamo era l’immagine di Dio.

Nel Corano si chiede aiuto a Dio “contro il male del sussurratore furtivo che sussurra nel cuore degli uomini” che è Iblis, il simbolo delle pulsioni e degli istinti corporei. Questo tentatore non va soppresso ma addestrato ed addomesticato, perché le trappole della via sufica sono costituite dal nostro se dispotico e dalla nostra attrazione per il mondo materiale.
Se sappiamo bene imbrigliare i nostri istinti e le nostre passioni, anche la materialità del mondo ci apparrà in modo diverso. Il mondo svela e copre nel contempo, ed è pronto a nascondere i misteri agli stolti e a rivelarli ai sapienti amanti della conoscenza, diventerà diverso se cambiamo prospettiva.

Anche la ricerca affannosa dei valori spirituali può divenire un velo che ci ottunde la vista, al pari dei desideri materiali, perché colui che procede nel sentiero può divenire presuntuoso ed orgoglioso, e ritenersi superiore agli altri, al punto che il desiderio bramoso del divino può essere pericoloso come il desiderio delle cose materiali.

Uno dei veli più insidiosi è la conoscenza intellettuale, frutto dello studio libresco, se non diviene anche un vissuto pratico, perciò anche lo studioso, che polemizza e discute a vuoto, diviene vittima di Shayṭān. La vera conoscenza avviene primariamente nell’interiorità, come dice Rumi: “Il libro dei sufi non è composto di inchiostro e lettere; non è nient’altro che un cuore bianco come la neve”.

Gli eruditi, come “bestie da soma cariche di libri” credono di poter dominare tutta la conoscenza materiale, ma non si può fingere di “conoscere il fuoco senza essere il fuoco” e questo avviene quando di vuole conoscere la divinità usando solo la mente. Dio non è il mondo ma lo trascende, pur essendovi contenuto: questo, che appare un paradosso logico, è invece la verità della realtà divina, e dimostra come sia insufficiente ogni approccio mentale, perciò la simpatia dei sufi va alla conoscenza pratica imbevuta di valori spirituali.

Buona erranza
Sharatan

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