giovedì 19 marzo 2015

La Via di mezzo



“Nel mio cuore, tante cose...
che vadano secondo
il muoversi del salice.”
(Bâsho)

“Essere felici o infelici dipende dai semi che abbiamo nella coscienza. Se sono forti i nostri semi di compassione, comprensione e amore, quelle qualità saranno in grado di manifestarsi dentro di noi. Se sono forti invece i semi dell'ira, dell'ostilità e della tristezza, staremo molto male. Per comprendere una persona dobbiamo essere consapevoli del genere di semi che ha nella coscienza deposito, tenendo presente che lei non è l'unica responsabile di quei semi. Della loro qualità sono corresponsabili i suoi antenati, i genitori e la società.

Quando lo comprendiamo siamo in grado di provare compassione per quella persona. Grazie alla compassione e all'amore sapremo come innaffiare i meravigliosi semi nostri e degli altri: riconosceremo i semi della sofferenza e sapremo trovare il modo di trasformarli. Se una persona viene a chiederci consiglio, la dobbiamo osservare in profondità per vederne i semi che giacciono nella parte più interna della sua coscienza. Darle solo un consiglio o un insegnamento generico non l'aiuterà realmente.

Se guardiamo in profondità possiamo riconoscere la qualità dei semi che ha in sé: questo è detto “osservare le circostanze.” Dopo di che le possiamo raccomandare uno specifico sentiero di pratica nel quale poter nutrire i semi positivi e trasformare quelli negativi. Se abbiamo la sensazione di non poter aiutare una persona è solo perché non abbiamo ancora osservato con acutezza i suoi aspetti. Tutti hanno dentro qualche seme di felicità: in alcuni sono deboli, in altri sono forti.

Potresti essere il primo, da molti anni, a toccare i semi di felicità nel tuo amico. La nostra possibilità di essere d'aiuto sta nella capacità che abbiamo di vedere e di innaffiare questi semi salutari. Se vediamo soltanto avidità, ira e orgoglio vuoi dire che non abbiamo osservato ancora abbastanza a fondo. Il filosofo francese Jean Paul Sartre ha detto: “L’uomo è la somma dei suoi atti”. Ognuno di noi è una collezione di azioni, e le nostre azioni sono insieme la causa e il risultato dei semi contenuti nella coscienza deposito.

Quando facciamo qualcosa, la nostra azione è una causa (karma-hetu). Quando porta a un risultato, quello è un effetto (karma-phala, azione-frutto). Ogni atto che compiamo con il corpo, con la parola e con la mente getta semi nella nostra coscienza, che poi vengono conservati e mantenuti in vita nella coscienza deposito. Esistono tre generi di azioni: quelle della mente o pensieri, quelle della parola e quelle del corpo. Il pensiero precede gli altri due generi di azioni. I nostri pensieri nocivi da soli possono fare tremare l'universo, anche se non abbiamo ancora fatto nulla né abbiamo parlato in modo da arrecare danno.

Gli effetti che hanno sugli altri le parole che diciamo sono detti “azioni della parola.” Dipende dalla nostra personale felicità e dalla qualità dei semi che abbiamo nella coscienza deposito se le nostre parole generano sofferenza o innaffiano i semi dell'amore. La locuzione “azioni del corpo” invece, si riferisce ai nostri atti fisici sia dannosi sia benefici. I semi di tutti e tre i generi di azioni sono contenuti nell'ottava coscienza, la coscienza deposito.

Molti praticanti buddhisti recitano ogni giorno i Cinque Richiami alla Memoria. La quinta recita: “Le mie azioni sono i miei soli beni. Non posso sfuggire alle conseguenze delle mie azioni. Le mie azioni sono il terreno su cui poggio i piedi.” Quando moriamo, ci trasformiamo da una forma di esistenza in un'altra e ci lasciamo alle spalle i nostri beni e le persone care: a venire con noi sono soltanto i semi delle nostre azioni. La coscienza non trattiene solo le azioni della mente: anche i semi delle nostre azioni verbali e corporee si trasferiscono da questo mondo a un altro insieme alla coscienza deposito.

Per sapere se una persona è felice è sufficiente guardare i semi che ha nella coscienza deposito. Se vi conserva forti semi di infelicità, ira, discriminazione e illusione soffrirà molto ed è probabile che con le proprie azioni innaffi gli stessi semi negli altri. Se possiede in sé semi robusti di comprensione, compassione, capacità di perdono e di gioia, è capace non solo di provare vera felicità ma anche di innaffiare i semi della felicità negli altri. La nostra pratica quotidiana è riconoscere e innaffiare i semi salutari in noi stessi e negli altri. La felicità nostra e altrui dipende da questo.

Ecco quattro pratiche che si riferiscono al retto sforzo, che è parte del Nobile Ottuplice Sentiero insegnato dal Buddha come via di liberazione. La prima pratica di retto sforzo è impedire che si manifestino i semi non salutari non ancora manifesti. “Non salutari” significa che non conducono alla liberazione. Se vengono innaffiati, questi semi nocivi si manifestano e si rafforzano. Se invece li abbracciamo con la nostra consapevolezza presto o tardi si indeboliscono e ritornano alla coscienza deposito.

La seconda pratica di retto sforzo è aiutare i semi non salutari già sorti nella nostra coscienza mentale a tornare alla coscienza deposito. Di nuovo, la chiave sta nella consapevolezza: se possiamo riconoscere un seme nocivo quando si manifesta nella coscienza mentale saremo in grado di evitare di caderne preda. La terza pratica di retto sforzo è trovare modi di innaffiare i semi salutari conservati nella coscienza deposito che non sono ancora usciti allo scoperto e aiutarli a manifestarsi nella coscienza mentale.

La quarta pratica è mantenere a livello di coscienza mentale il più a lungo possibile le formazioni che già sono nate dai semi salutari. La nostra pratica di retto sforzo è nutrita dalla gioia. Se innaffiamo ogni giorno i semi della felicità, dell'amore, della lealtà e della riconciliazione ci sentiremo pieni di gioia e questo spingerà quei semi a rimanere più a lungo e a rafforzarsi. È importante che sappiamo mantenere costante la pratica.

C'è una storia sul Buddha che illustra questo aspetto. Il Buddha chiese al monaco Sona: “È vero che prima di farti monaco eri un musicista?” Sona rispose di sì. Il Buddha gli chiese: “Che cosa succede se una corda del tuo strumento è troppo allentata?” Sona disse: “Quando la pizzichi non ne esce alcun suono”. Il Buddha chiese: “Che cosa succede se la corda è troppo tesa?” Sona rispose: “Si rompe.” Allora il Buddha disse: “La pratica della Via è uguale. Conserva la tua salute. Sii felice. Non forzarti a fare cose che non puoi fare.”

Per sostenere la pratica dobbiamo conoscere i nostri limiti psicologici e trovare un equilibrio tra sforzo e riposo. Non dovremmo forzarci a praticare: la pratica dovrebbe essere piacevole, gioiosa, nutriente e risanante. Allo stesso tempo dovremmo stare attenti a non perderci nei piaceri dei sensi. La quadruplice pratica del retto sforzo rientra nella Via di mezzo fra i due estremi.” (Thich Nhat Hahn, La via della trasformazione, Mondadori)

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