“Quando lo spirito dimora all‘interno e irradia la sua luce all‘esterno,
e si è spontaneamente differenti dagli altri uomini,
allora si parla di “immortale nello spirito".
Ma l‘immortale nello spirito è anche un uomo.
Poiché dipende dalla coltivazione del proprio soffio vuoto,
e non si lascia sviare dalle argomentazioni,
discussioni e convenzioni mondane;
egli segue la propria spontaneità,
e non è ostacolato dalle false opinioni:
così ha terminato il suo lavoro.”
(T’ien-yin-tzu- Il trattato del Maestro Celeste)
e si è spontaneamente differenti dagli altri uomini,
allora si parla di “immortale nello spirito".
Ma l‘immortale nello spirito è anche un uomo.
Poiché dipende dalla coltivazione del proprio soffio vuoto,
e non si lascia sviare dalle argomentazioni,
discussioni e convenzioni mondane;
egli segue la propria spontaneità,
e non è ostacolato dalle false opinioni:
così ha terminato il suo lavoro.”
(T’ien-yin-tzu- Il trattato del Maestro Celeste)
Si osserva una cesura che separa il pensiero cinese da quello occidentale, esaminando la concezione della vita umana, perché le due modalità di pensiero sono assai distanti. Vi è una frattura che divide le due mentalità che sono radicate su opposte posizioni: è per questo che quando leggiamo che il taoismo è l’Arte di nutrire la vita come igiene e pratica della longevità, restiamo increduli e crediamo di doverne ridere.
L’espressione “nutrire la vita” è molto diffusa nella cultura cinese, e va concepita senza la supponenza dell’esistenza di una scissura tra corpo e anima, quindi dimentichiamo che questa espressione cinese possa avere valore figurato, poiché nel taoismo si praticano delle tecniche per favorire l’immortalità fisica.
Il simbolismo del “nutrire” implica l’ancoramento alla Terra perché tutti gli esseri viventi, ad iniziare dalla più umile pianta, iniziano a vivere quando vengono nutriti da una madre, perciò la Terra è la Grande Madre dell‘essere umano. Noi occidentali possiamo concepire il “nutrire” in modo figurato, perché sappiamo nutrire un desiderio, una speranza, un sogno o un’ambizione, oppure crediamo che la letteratura possa nutrire lo spirito.
Il “nutrire” occidentale è più elevato quando assume connotazioni ideali e spirituali, in cui nutriamo degli ideali per perseguire la nostra vocazione, oppure seguiamo il soffio divino per nutrire l’apparato alato della nostra anima, come voleva Platone. Questi diceva che l’anima, mentre si eleva in seguito al corteggio degli dei, trova il suo nutrimento, cioè la sua pastura, nella piana della verità dove contempla delle realtà vere e proprie: perciò l’anima è nutrita dalla musica e la musica è il suo cibo preferito quindi, per analogia, l’uomo nutre il corpo così come nutre l’anima.
Da questo pensiero separato vengono creati i piani distinti di corpo/anima, e il nostro “nutrire” subisce una scissione per la separazione tra lo spirituale e il materiale dell’uomo, che partorirà l’altro grande sdoppiamento nella scissione tra una dimensione visibile e una dimensione invisibile dell’ordine materiale. E‘ tutta questa catena di errori che ha causato la perdita della concezione olistica dell’esistenza, e della sacralità del cosmo che l‘uomo stenta a ritrovare: è così che nasce il dilemma onnipresente se sia migliore nutrire il corpo oppure nutrire la mente.
Questa sarà la frattura fondamentale a cui dovremo ritornare per rimuovere i partiti presi e le sclerosi della nostra mente, perché è così che si è costruita la schizofrenia occidentale. Ed è nata quando abbiamo avviato a credere che la sola fame che possiamo sfamare sia quella di Dio, e che dobbiamo innalzarci dai nutrimenti carnali perché sono la dannazione umana. Abbiamo costruito degli illusori mondi e delle dimensioni parallele in cui gettare ciò che ci crea troppo imbarazzo: e questa è la divisione primitiva.
La sola fame è riservata alla “Parola di Dio,“ i misteri divini diventano il “nutrimento” mentre il Signore ci offre il “grano delle Scritture” affinché Cristo offra il “pane di vita” sacrificandosi come “carne dell’Agnello,” e qui l’abbuffata sacra diventa antropofagia divina, a cui sono invitati solo pochi e selezionati Eletti. Anche quando il nostro pensiero possiede laicità, rimane in sottofondo la concezione di Origene secondo il quale, se la manna degli Eletti vuoi gustare devi uscire dal mondo, e rinunciare a tutti i piaceri della diabolica carne.
Nella concezione cinese, se penso alla “mia vita” penso al mio potenziale vitale, perché i pensatori cinesi sono dei naturalisti che non vogliono far sottostare la condizione umana a nessuna subordinazione trascendentale, religiosa o rituale. Per i pensatori cinesi, come testimoniato nel testo taoista Liet-tse, nel capitolo Il Giardino del Piacere di Yang Chu, vi è la concezione che “la natura umana è la vita,” e che questa vita si debba condurre secondo la più elevata espressione di feng liu, cioè secondo la più sublime e perfetta eleganza armoniosa.
Nel testo viene fatta una distinzione tra interno ed esterno dell’uomo, da parte del personaggio Yang Chu che è ricalcato sul personaggio reale vissuto anticamente, al quale si fa dire: “Ci sono quattro cose che non permettono alla gente di vivere in pace. La prima è una lunga vita, la seconda la reputazione, la terza il rango e la quarta la ricchezza. Quanti hanno queste cose temono gli spettri, gli uomini, i potenti, e le punizioni. Essi sono chiamati i fuggitivi … e le loro vite sono controllate dall’esterno.”
Quindi, opposti agli uomini fuggitivi che vivono di valori esterni, vi sono gli uomini che vivono in accordo con la loro natura, e che vivono regolati solo da fattori interiori. In un altro passo vi è una conversazione tra Tse-Ch’an, che è un famoso statista vissuto veramente e i suoi due fratelli, seguaci di pratiche taoiste, in cui vediamo il disagio di un rigoroso fratello confuciano davanti alle pratiche taoiste, che sono inconcepibili per il suo inflessibile pensiero.
Alle severe critiche di Tse-Ch’an per la loro vita, a suo parere licenziosa, perché trascorsa ad assecondare le loro tendenze naturali ai godimenti materiali e amorosi, i due fratelli taoisti rispondono che l’ordine del mondo esterno non sempre è assicurato e, seppure garantito, nel tempo non dura. Se l’uomo rimette a posto piuttosto “le sue faccende interne” egli si sentirà sempre libero e a suo agio, al di là delle condizioni del mondo esteriore.
Il loro modo di dare “ordine all‘interno” è in armonia con il cuore umano mentre, negli ordini esteriori, c’è sempre bisogno di principi e di ministri che diano regolamentazioni: è nell’ordinare l’interno che noi siamo chiamati ad accordarci con il nostro essere interiore. I taoisti affermano che per nutrire la vita, è necessario vivere secondo noi stessi e non secondo gli altri, dicono che è necessario vivere secondo la nostra ragione e i nostri impulsi, e mai secondo la regola del mondo.
La vita secondo il feng liu è regolata da “tse-jan” cioè da spontaneità e naturalezza, e non da “ming-chiao” cioè istituzione e regola imposta: tutti i taoisti saranno sempre d’accordo su questo sin dall’antichità. L’idea della vita secondo l’impulso interiore è espressa nella forma più audace nel capitolo Yang Chu, quando dialogano due famosi statisti dello stato di Ch’i dell’epoca antica. Riguardo al miglior modo di dare regola alla vita, e su “come” perseguire questa via nella pratica concreta, così si dice nel testo:
“Kuan Yi-Wu rispose: ‘Il solo modo è quello di lasciarle libero corso, né arrestarla di colpo né inibirla’. Yen P’ing-Chung chiese:’E quanto ai particolari?’ Kuan Yi-Wu rispose: ‘Consenti all’orecchio di sentire tutto ciò che all’orecchio piace, permetti agli occhi di vedere quanto desiderano vedere, lascia che il naso odori quanto gli piace odorare, concedi che la bocca dica quanto gli piace dire, permetti al corpo di godere ciò che gli piace godere, e consenti alla mente di fare quanto gli piace.
Ciò che l’orecchio desidera sentire è la musica, la proibizione di ascoltare la musica si chiama proibizione dell’orecchio. Ciò che gli occhi desiderano vedere è la bellezza, e la proibizione di guardare le cose belle si chiama proibizione della vista. Ciò che il naso desidera odorare è il profumo, e la proibizione di odorare i profumi si chiama proibizione dell’odorato.
Ciò di cui la bocca desidera parlare è il giusto e l’ingiusto, e la proibizione del giusto e dello sbagliato si chiama proibizione dell’intendimento. Ciò che da godimento al corpo è il ricco cibo e l’abito raffinato, e proibire al corpo di goderne significa inibire le sensazioni del corpo. Quanto la mente desidera è di essere libera, e vietarle questa libertà significa inibirne la natura. Tutte queste inibizioni sono la causa fondamentale di tutte le contrarietà della vita, sbarazzarsi di tutte queste cause e goderne fino alla morte, sia per un giorno, un mese, un anno o per dieci anni, ecco cosa io intendo per dare regola alla vita‘.”
Nella filosofia cinese si traccia sempre un confine tra il taoismo filosofico e quello alchemico cioè interiore, ma è una distinzione che va molto sfumata, poiché sappiamo da un loro aforisma che, per il taoista, non esistono mai scissioni dottrinali, ma solamente sette. T’ien-yin-tzu, il Maestro dei Segreti Celesti, avverte: “La Via dell’immortale nello spirito ha come fondamento l’incremento della vita. La base essenziale dell’incremento della vita ha come presupposto il nutrimento del soffio.”
Il termine “ch’i” che è reso come “soffio” equivale al “prana” sanscrito perché nel microcosmo, cioè nel corpo umano, è contenuto il macrocosmo, cioè il ch’i dell’universo: questa concezione sarà immutabile sin dai tempi antichi, infatti già Chang-Tsu accenna all’esigenza di “nutrire la vita” o “yang-sheng” e quindi parla di nutrimento del soffio vitale: è questo il nutrimento che allinea il microcosmo inferiore al macrocosmo superiore ed eterno.
Nella speculazione cinese, il Cielo e la Terra sono gli opposti per autonomasia: il principio maschile, il Cielo yang viene contrapposto alla Terra, che è il principio femminile yin. Il Cielo è ciò che sovrasta tutti gli esseri, mentre la Terra li sostiene: dall’unione delle due entità deriva il “soffio” che è naturalmente duale, perché fornito delle qualità di yin e yang che vanno ben bilanciate e strutturate, per evitare l’insorgere della malattia.
La dualità fondamentale yang e yin allude alla dualità maschile/femminile, e a ogni altro tipo di opposizione che possiamo pensare: luce/buio, attivo/passivo, forza/debolezza, etc … Con il termine “hsin” che significa “cuore e mente” si caratterizza il complesso psicosomatico dell’individuo, il centro organizzatore della sua attività nonché l’elemento affettivo-razionale, perciò l’essenza naturale dell’individuo umano è vivere equilibrato nel cuore e nella mente.
Anche il cuore e la mente sono sottoposti all’influsso dello yin e yang, che sono polarità opposte e complementari, perciò il taoismo scopre le lacerazioni del conflitto interiore ancor prima delle psicologie occidentali, così come scopre che l’equilibrio psichico dipende sempre dalle giuste proporzioni degli elementi interiori che sono in lotta tra loro, nel campo di battaglia interiore dell’animo umano.
Nella situazione ottimale, lo yang e lo yin risultano “shen” cioè spirituali” e “k‘ung” cioè vuoti, perciò sfruttano tutte le loro potenzialità ovvero le divinità e gli spiriti, che sono facoltà naturali che albergano nell’uomo. Per loro stessa natura, i due elementi non appaiono originariamente ben caratterizzati, ma si aprono ad ogni possibilità senza alcuna esclusione e alcun pregiudizio: ecco perché sono vuoti, perché ricettivi e disponibili ad accogliere tutte le potenzialità di futura manifestazione.
Nel Trattato del Maestro Celeste si usa il termine “k’ung” che è tipico anche del buddismo Mahayana, perché nell’alchimia indiana vengono insegnate delle pratiche yogiche che permettono di coltivare le potenzialità latenti dell’essere umano. Tramite queste tecniche s’insegna ad utilizzare le divinità contenute nel corpo dell’adepto, che è una concezione similare a quella della “liberazione dello shen” del taoismo alchemico.
Il pensiero cinese crede che nell’uomo vi siano due anime: p’o e hun. La prima è un’anima di origine terrena, cioè è uno spirito sottile che si esprime nei movimenti corporei e nella natura fisica dell’uomo, mentre la seconda anima ha un’origine celeste, ed è relativa all’intelligenza e alle facoltà umane superiori: P’o è l’anima vegetativa ed animale e Hun è l’anima intellegibile e celeste.
L’Uomo può diventare immortale nello spirito grazie all’azione congiunta delle sue due anime, che esistono in tutti gli uomini, e che rendono tutti passibili d’immortalità potenziale. Alla nostra morte, afferma il taoismo, le due anime si separano perché l’anima celeste deve tornare al Cielo, mentre l’anima terrena deve andare a ricongiungersi alla Terra da cui essa proviene: l’immortale riesce a conservare unite le sue due anime, perciò attinge a delle energie infinite.
“Ritornare alla radice” significa recuperare la radice primigenia della vita, cioè la nostra origine che è la spontaneità e la naturalezza, quindi recuperare il Tao che è la Via per eccellenza. La filosofia buddista lo chiama il “volto prima della nascita” perché entrambi le concezioni hanno un’esigenza comune perseguita tramite vie diverse. E‘ il “vuoto“ come forma di esistenza indifferenziata ed estranea a ogni artificiosità che i taoisti e i buddisti additano al nostro sguardo, perché la nostra origine è nel “filo conduttore della Via“ come dice Lao-Tseu.
Buona erranza
Sharatan
L’espressione “nutrire la vita” è molto diffusa nella cultura cinese, e va concepita senza la supponenza dell’esistenza di una scissura tra corpo e anima, quindi dimentichiamo che questa espressione cinese possa avere valore figurato, poiché nel taoismo si praticano delle tecniche per favorire l’immortalità fisica.
Il simbolismo del “nutrire” implica l’ancoramento alla Terra perché tutti gli esseri viventi, ad iniziare dalla più umile pianta, iniziano a vivere quando vengono nutriti da una madre, perciò la Terra è la Grande Madre dell‘essere umano. Noi occidentali possiamo concepire il “nutrire” in modo figurato, perché sappiamo nutrire un desiderio, una speranza, un sogno o un’ambizione, oppure crediamo che la letteratura possa nutrire lo spirito.
Il “nutrire” occidentale è più elevato quando assume connotazioni ideali e spirituali, in cui nutriamo degli ideali per perseguire la nostra vocazione, oppure seguiamo il soffio divino per nutrire l’apparato alato della nostra anima, come voleva Platone. Questi diceva che l’anima, mentre si eleva in seguito al corteggio degli dei, trova il suo nutrimento, cioè la sua pastura, nella piana della verità dove contempla delle realtà vere e proprie: perciò l’anima è nutrita dalla musica e la musica è il suo cibo preferito quindi, per analogia, l’uomo nutre il corpo così come nutre l’anima.
Da questo pensiero separato vengono creati i piani distinti di corpo/anima, e il nostro “nutrire” subisce una scissione per la separazione tra lo spirituale e il materiale dell’uomo, che partorirà l’altro grande sdoppiamento nella scissione tra una dimensione visibile e una dimensione invisibile dell’ordine materiale. E‘ tutta questa catena di errori che ha causato la perdita della concezione olistica dell’esistenza, e della sacralità del cosmo che l‘uomo stenta a ritrovare: è così che nasce il dilemma onnipresente se sia migliore nutrire il corpo oppure nutrire la mente.
Questa sarà la frattura fondamentale a cui dovremo ritornare per rimuovere i partiti presi e le sclerosi della nostra mente, perché è così che si è costruita la schizofrenia occidentale. Ed è nata quando abbiamo avviato a credere che la sola fame che possiamo sfamare sia quella di Dio, e che dobbiamo innalzarci dai nutrimenti carnali perché sono la dannazione umana. Abbiamo costruito degli illusori mondi e delle dimensioni parallele in cui gettare ciò che ci crea troppo imbarazzo: e questa è la divisione primitiva.
La sola fame è riservata alla “Parola di Dio,“ i misteri divini diventano il “nutrimento” mentre il Signore ci offre il “grano delle Scritture” affinché Cristo offra il “pane di vita” sacrificandosi come “carne dell’Agnello,” e qui l’abbuffata sacra diventa antropofagia divina, a cui sono invitati solo pochi e selezionati Eletti. Anche quando il nostro pensiero possiede laicità, rimane in sottofondo la concezione di Origene secondo il quale, se la manna degli Eletti vuoi gustare devi uscire dal mondo, e rinunciare a tutti i piaceri della diabolica carne.
Nella concezione cinese, se penso alla “mia vita” penso al mio potenziale vitale, perché i pensatori cinesi sono dei naturalisti che non vogliono far sottostare la condizione umana a nessuna subordinazione trascendentale, religiosa o rituale. Per i pensatori cinesi, come testimoniato nel testo taoista Liet-tse, nel capitolo Il Giardino del Piacere di Yang Chu, vi è la concezione che “la natura umana è la vita,” e che questa vita si debba condurre secondo la più elevata espressione di feng liu, cioè secondo la più sublime e perfetta eleganza armoniosa.
Nel testo viene fatta una distinzione tra interno ed esterno dell’uomo, da parte del personaggio Yang Chu che è ricalcato sul personaggio reale vissuto anticamente, al quale si fa dire: “Ci sono quattro cose che non permettono alla gente di vivere in pace. La prima è una lunga vita, la seconda la reputazione, la terza il rango e la quarta la ricchezza. Quanti hanno queste cose temono gli spettri, gli uomini, i potenti, e le punizioni. Essi sono chiamati i fuggitivi … e le loro vite sono controllate dall’esterno.”
Quindi, opposti agli uomini fuggitivi che vivono di valori esterni, vi sono gli uomini che vivono in accordo con la loro natura, e che vivono regolati solo da fattori interiori. In un altro passo vi è una conversazione tra Tse-Ch’an, che è un famoso statista vissuto veramente e i suoi due fratelli, seguaci di pratiche taoiste, in cui vediamo il disagio di un rigoroso fratello confuciano davanti alle pratiche taoiste, che sono inconcepibili per il suo inflessibile pensiero.
Alle severe critiche di Tse-Ch’an per la loro vita, a suo parere licenziosa, perché trascorsa ad assecondare le loro tendenze naturali ai godimenti materiali e amorosi, i due fratelli taoisti rispondono che l’ordine del mondo esterno non sempre è assicurato e, seppure garantito, nel tempo non dura. Se l’uomo rimette a posto piuttosto “le sue faccende interne” egli si sentirà sempre libero e a suo agio, al di là delle condizioni del mondo esteriore.
Il loro modo di dare “ordine all‘interno” è in armonia con il cuore umano mentre, negli ordini esteriori, c’è sempre bisogno di principi e di ministri che diano regolamentazioni: è nell’ordinare l’interno che noi siamo chiamati ad accordarci con il nostro essere interiore. I taoisti affermano che per nutrire la vita, è necessario vivere secondo noi stessi e non secondo gli altri, dicono che è necessario vivere secondo la nostra ragione e i nostri impulsi, e mai secondo la regola del mondo.
La vita secondo il feng liu è regolata da “tse-jan” cioè da spontaneità e naturalezza, e non da “ming-chiao” cioè istituzione e regola imposta: tutti i taoisti saranno sempre d’accordo su questo sin dall’antichità. L’idea della vita secondo l’impulso interiore è espressa nella forma più audace nel capitolo Yang Chu, quando dialogano due famosi statisti dello stato di Ch’i dell’epoca antica. Riguardo al miglior modo di dare regola alla vita, e su “come” perseguire questa via nella pratica concreta, così si dice nel testo:
“Kuan Yi-Wu rispose: ‘Il solo modo è quello di lasciarle libero corso, né arrestarla di colpo né inibirla’. Yen P’ing-Chung chiese:’E quanto ai particolari?’ Kuan Yi-Wu rispose: ‘Consenti all’orecchio di sentire tutto ciò che all’orecchio piace, permetti agli occhi di vedere quanto desiderano vedere, lascia che il naso odori quanto gli piace odorare, concedi che la bocca dica quanto gli piace dire, permetti al corpo di godere ciò che gli piace godere, e consenti alla mente di fare quanto gli piace.
Ciò che l’orecchio desidera sentire è la musica, la proibizione di ascoltare la musica si chiama proibizione dell’orecchio. Ciò che gli occhi desiderano vedere è la bellezza, e la proibizione di guardare le cose belle si chiama proibizione della vista. Ciò che il naso desidera odorare è il profumo, e la proibizione di odorare i profumi si chiama proibizione dell’odorato.
Ciò di cui la bocca desidera parlare è il giusto e l’ingiusto, e la proibizione del giusto e dello sbagliato si chiama proibizione dell’intendimento. Ciò che da godimento al corpo è il ricco cibo e l’abito raffinato, e proibire al corpo di goderne significa inibire le sensazioni del corpo. Quanto la mente desidera è di essere libera, e vietarle questa libertà significa inibirne la natura. Tutte queste inibizioni sono la causa fondamentale di tutte le contrarietà della vita, sbarazzarsi di tutte queste cause e goderne fino alla morte, sia per un giorno, un mese, un anno o per dieci anni, ecco cosa io intendo per dare regola alla vita‘.”
Nella filosofia cinese si traccia sempre un confine tra il taoismo filosofico e quello alchemico cioè interiore, ma è una distinzione che va molto sfumata, poiché sappiamo da un loro aforisma che, per il taoista, non esistono mai scissioni dottrinali, ma solamente sette. T’ien-yin-tzu, il Maestro dei Segreti Celesti, avverte: “La Via dell’immortale nello spirito ha come fondamento l’incremento della vita. La base essenziale dell’incremento della vita ha come presupposto il nutrimento del soffio.”
Il termine “ch’i” che è reso come “soffio” equivale al “prana” sanscrito perché nel microcosmo, cioè nel corpo umano, è contenuto il macrocosmo, cioè il ch’i dell’universo: questa concezione sarà immutabile sin dai tempi antichi, infatti già Chang-Tsu accenna all’esigenza di “nutrire la vita” o “yang-sheng” e quindi parla di nutrimento del soffio vitale: è questo il nutrimento che allinea il microcosmo inferiore al macrocosmo superiore ed eterno.
Nella speculazione cinese, il Cielo e la Terra sono gli opposti per autonomasia: il principio maschile, il Cielo yang viene contrapposto alla Terra, che è il principio femminile yin. Il Cielo è ciò che sovrasta tutti gli esseri, mentre la Terra li sostiene: dall’unione delle due entità deriva il “soffio” che è naturalmente duale, perché fornito delle qualità di yin e yang che vanno ben bilanciate e strutturate, per evitare l’insorgere della malattia.
La dualità fondamentale yang e yin allude alla dualità maschile/femminile, e a ogni altro tipo di opposizione che possiamo pensare: luce/buio, attivo/passivo, forza/debolezza, etc … Con il termine “hsin” che significa “cuore e mente” si caratterizza il complesso psicosomatico dell’individuo, il centro organizzatore della sua attività nonché l’elemento affettivo-razionale, perciò l’essenza naturale dell’individuo umano è vivere equilibrato nel cuore e nella mente.
Anche il cuore e la mente sono sottoposti all’influsso dello yin e yang, che sono polarità opposte e complementari, perciò il taoismo scopre le lacerazioni del conflitto interiore ancor prima delle psicologie occidentali, così come scopre che l’equilibrio psichico dipende sempre dalle giuste proporzioni degli elementi interiori che sono in lotta tra loro, nel campo di battaglia interiore dell’animo umano.
Nella situazione ottimale, lo yang e lo yin risultano “shen” cioè spirituali” e “k‘ung” cioè vuoti, perciò sfruttano tutte le loro potenzialità ovvero le divinità e gli spiriti, che sono facoltà naturali che albergano nell’uomo. Per loro stessa natura, i due elementi non appaiono originariamente ben caratterizzati, ma si aprono ad ogni possibilità senza alcuna esclusione e alcun pregiudizio: ecco perché sono vuoti, perché ricettivi e disponibili ad accogliere tutte le potenzialità di futura manifestazione.
Nel Trattato del Maestro Celeste si usa il termine “k’ung” che è tipico anche del buddismo Mahayana, perché nell’alchimia indiana vengono insegnate delle pratiche yogiche che permettono di coltivare le potenzialità latenti dell’essere umano. Tramite queste tecniche s’insegna ad utilizzare le divinità contenute nel corpo dell’adepto, che è una concezione similare a quella della “liberazione dello shen” del taoismo alchemico.
Il pensiero cinese crede che nell’uomo vi siano due anime: p’o e hun. La prima è un’anima di origine terrena, cioè è uno spirito sottile che si esprime nei movimenti corporei e nella natura fisica dell’uomo, mentre la seconda anima ha un’origine celeste, ed è relativa all’intelligenza e alle facoltà umane superiori: P’o è l’anima vegetativa ed animale e Hun è l’anima intellegibile e celeste.
L’Uomo può diventare immortale nello spirito grazie all’azione congiunta delle sue due anime, che esistono in tutti gli uomini, e che rendono tutti passibili d’immortalità potenziale. Alla nostra morte, afferma il taoismo, le due anime si separano perché l’anima celeste deve tornare al Cielo, mentre l’anima terrena deve andare a ricongiungersi alla Terra da cui essa proviene: l’immortale riesce a conservare unite le sue due anime, perciò attinge a delle energie infinite.
“Ritornare alla radice” significa recuperare la radice primigenia della vita, cioè la nostra origine che è la spontaneità e la naturalezza, quindi recuperare il Tao che è la Via per eccellenza. La filosofia buddista lo chiama il “volto prima della nascita” perché entrambi le concezioni hanno un’esigenza comune perseguita tramite vie diverse. E‘ il “vuoto“ come forma di esistenza indifferenziata ed estranea a ogni artificiosità che i taoisti e i buddisti additano al nostro sguardo, perché la nostra origine è nel “filo conduttore della Via“ come dice Lao-Tseu.
Buona erranza
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