“La sofferenza nasce dall’immaginare, temere o sperare in un’altra situazione rispetto alla situazione presente. Se aderissimo alle cose per ciò che sono, non ci sarebbe altro che energia.
Di solito, la mente non è in uno stato di calma che le permette di vedere la realtà per come è. E’ muta per una sorta di fretta, di urgenza, di febbre, di desiderio, di sete, di avidità, d’irritazione, che le fa perdere il suo stato naturale. E’ sempre agitata dai pensieri. Non appena siamo interamente presenti non proviamo più il bisogno di andare altrove e la mente smette di agitarsi.
Lascia che la mente si riposi nel suo stato naturale. Placa il desiderio, la fretta, la precipitazione. Vedrai le cose per come sono. Se tu non avessi né desiderio né avversione, dunque nessuna sofferenza, non vorresti mai abbandonare l’istante. Non avresti la fretta. Saresti uno. Saresti a riposo. Saresti in pace.
La disciplina dell’istante è un apprendistato della pace. Sentire le emozioni equivale a restare nel presente, a non avere fretta di sottrarvisi. Abbiamo fretta perché soffriamo. La fretta è un segno di mancanza, di dipendenza. Dimostrare nell’istante è il segno dell’indipendenza più grande.
Se tutte le avversioni e tutti i desideri (la fretta dell’avversione e del desiderio!) sono pensieri e se tutti i pensieri sono vuoti, come sogni, allora la persona che vedesse il vuoto dei pensieri e delle percezioni al momento in cui sorgono, non sarebbe mai presa dalla fretta di lasciare l’istante presente. Tutto le risulterebbe uguale.
Non confondiamo l’indifferenza con l’equanimità, né il disinteresse con il disinteressamento. Che i fenomeni si riflettano con chiarezza sulla superficie piatta della tua mente, piuttosto che lasciare che vi si sollevino le onde dell’avversione e del desiderio. Le onde dell’avversione e del desiderio sono fenomeni come altri.
L’istante è una scintillante bolla di sapone nella quale puoi infilarti non appena la tua mente non è più resa irta dalle spine dell’avversione e del desiderio. Ogni istante è sacro e richiede una lentezza sacra.”
Pierre Lévy - Il fuoco liberatore, Edizioni Luca Sassella, 2006
Il capitolo della presenza, pp. 95-97
Di solito, la mente non è in uno stato di calma che le permette di vedere la realtà per come è. E’ muta per una sorta di fretta, di urgenza, di febbre, di desiderio, di sete, di avidità, d’irritazione, che le fa perdere il suo stato naturale. E’ sempre agitata dai pensieri. Non appena siamo interamente presenti non proviamo più il bisogno di andare altrove e la mente smette di agitarsi.
Lascia che la mente si riposi nel suo stato naturale. Placa il desiderio, la fretta, la precipitazione. Vedrai le cose per come sono. Se tu non avessi né desiderio né avversione, dunque nessuna sofferenza, non vorresti mai abbandonare l’istante. Non avresti la fretta. Saresti uno. Saresti a riposo. Saresti in pace.
La disciplina dell’istante è un apprendistato della pace. Sentire le emozioni equivale a restare nel presente, a non avere fretta di sottrarvisi. Abbiamo fretta perché soffriamo. La fretta è un segno di mancanza, di dipendenza. Dimostrare nell’istante è il segno dell’indipendenza più grande.
Se tutte le avversioni e tutti i desideri (la fretta dell’avversione e del desiderio!) sono pensieri e se tutti i pensieri sono vuoti, come sogni, allora la persona che vedesse il vuoto dei pensieri e delle percezioni al momento in cui sorgono, non sarebbe mai presa dalla fretta di lasciare l’istante presente. Tutto le risulterebbe uguale.
Non confondiamo l’indifferenza con l’equanimità, né il disinteresse con il disinteressamento. Che i fenomeni si riflettano con chiarezza sulla superficie piatta della tua mente, piuttosto che lasciare che vi si sollevino le onde dell’avversione e del desiderio. Le onde dell’avversione e del desiderio sono fenomeni come altri.
L’istante è una scintillante bolla di sapone nella quale puoi infilarti non appena la tua mente non è più resa irta dalle spine dell’avversione e del desiderio. Ogni istante è sacro e richiede una lentezza sacra.”
Pierre Lévy - Il fuoco liberatore, Edizioni Luca Sassella, 2006
Il capitolo della presenza, pp. 95-97
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